Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

domenica 11 ottobre 2015

Breakfast overrated? Not at all! (La colazione prima del lunghissimo: una dolorosa riflessione)

Se dicessi che la colazione è sopravvalutata, lo so già che molti di voi, se non tutti, storcererebbero la bocca, anzi la state già storcendo, guardate che poi vi rimane la bocca storta! O almeno così mi diceva la mamma da piccolo.

Tutto è cominciato davanti alla macchinetta del caffè l’anno scorso, chiacchierando con un ultra-runner inflessibile e espressione massima di understatement. Mentre io ammettevo, a maratona fatta (e fatta male) che il mio problema continuava a essere la crisi del 30° (o addirittura del 25° se allenato poco) chilometro, quando chiaramente accadeva qualcosa di irreversibile nel mio fisico. Oramai è conoscenza comune che si tratti del cambio di combustibile da un mix a predominio di glicogeno a un mix di quasi soli grassi allorquando la scorta di glicogeno si è esaurita (e ci sono calcoli abbastanza ragionevoli per calcolare quanto glicogeno si può accumulare in base al proprio fisico e quanti chilometri sono necessari per esaurirlo, guarda caso comunque intorno al trentesimo chilometro).
Il trucco sarebbe quello di abituare il proprio fisico a consumare un mix di glicogeno e grassi fin da subito in modo da consumare più lentamenti il primo e quindi posticiparne l’esaurimento.
Sì perché l’altro trucco di fare dei rabbocchi in corsa non dà risultati garantiti, dipendendo dai tempi di assimilazione da parte del nostro fisico, e comunque l’apporto energetico aggiunto è molto limitato rispetto alle necessità in corsa (in base ovviamente alla nostra corporatura).
Allora davanti alla macchinetta del caffè il “maestro”, lo chiamo così scherzosamente ma è una stima reale, mi dice: dovresti allenarti prima, durante i lunghi: non fai colazione e ceni leggero la sera prima...
Io sgranai gli occhi ma il ragionamento mi sembrò logico: l’esercizio non pretende di abbattere il muro, anzi cerca di attrarlo a me, per incontrarlo prima e imparare a conoscerlo, non garantirsi un gran vantaggio con colazione abbondante né cercare di allontanarlo con palliativi (gel).

Mesi dopo...
La prima prova con un 25km. Poi la conferma con un 28km. La fame non si avverte, se non un accenno, in un qualche momento tra il quindicesimo e il ventesimo chilometro, che però sparisce presto. Nessun calo se non, come per me abituale, quello fisiologico negli ultimi chilometri, quelli eccedenti il lungo precedente, nel caso di un 28km se la domenica prima ne avevo fatti 25, è quasi matematico che al ventiseiesimo chilomentro rallento senza quasi accorgermene.
È allora che la presunzione ha preso corpo e ho cominciato a vantarmi con gli amici: io faccio i lunghi senza mangiare né prima né durante...
Quando poi programmo trenta chilometri e dopo venti mi si spengono tutte le lucine e mi trovo a procedere a andatura lenta per altri dieci chilomentri e mi rifiuto di estrarre il gel che mi sono portato dietro per sicurezza, come conforto psicologico, non si sa mai, potrei fermarmi in aperta campagna quando finisce la benzina, dimostro che la mente è forte e mi fa resistere (il gel resta nel taschino) mentre la carne, come nei più triti luoghi comuni, è debole e si conferma tale. Spero soltanto che questi dieci chilometri di passione, la vibrazione del Garmin al termine di ogni chilometro cos’è se non la successiva stazione di una laica via crucis, testimonianza della sofferenza passata e presente e occasione di sollievo perché la fine si sta avvicinando, spero soltanto - dicevo - che questi dieci chilometri di passione siano serviti al mio corpo per abituarsi a funzionare con il combustibile più scarso, una volta che il buon glicogeno è terminato. Però se per bruciare grassi devo andare a un passo che non ha niente a che vedere con quello che stavo tenendo solo un attimo prima e finisco superato da chi fa jogging domenicale alle Cascine, senza offesa a chi fa jogging domenicale alle Cascine, forse l’allenamento non è stato così utile...

Dopo due settimane un altro trenta: stavolta ceno con abbondanza di carboidrati e proteine, a colazione, sebbene non abbia fame, ingurgito due fette di pane tostate con 50g di bresaola conditi con un filo d’olio e arricchiti da scaglie di parmigiano, il tutto fluidificato da una caffè lungo e un succo d’arancia mischiato a Pre-gara Ethicsport. E parto. Verso il diciottesimo chilometro mi succhio un gel enervit (anche stavolta senza sentirne alcun bisogno). Ai venti chilometri annuncio a Filippo e Ema: su, l’allenamento comincia adesso! Perché scuotono la testa? Poi verso il venticinquesimo chilometro vediamo in lontananza un famigerato cavalcavia: vedi Filippo quel cavalcavia? L’allenamento vero comincia lì! Con la coda dell’occhio vedo ancora teste che ruotano da destra a sinistra e viceversa.
Quando però all’inizio della salita breve ma brusca ho sentito l’energia di forzare l’andatura e poi dopo la discesa riesco a mantenere un passo più sostenuto ho capito che qualcosa era cambiato.
Certo in queste due ultime settimane mi sono ulteriormente allenato ma la questione era più interiore: non lo so se la sofferenza precedente mi abbia aiutato a guadagnare autonomia comunque mi piace pensare di sì, in ogni caso per un allenamento serio l’alimentazione è fondamentale.

La morale: mi veniva da dire che capisci quanto sia importante qualcosa solo quando ti manca e poi la ottieni di nuovo, però non volevo essere sentenzioso. D’altra parte di parla solo di corsa.


Riferimenti 
Una summa sui post sull’alimentazione prima della maratona la trovate in:
Mentre della mezzamaratona ho parlato in:


giovedì 8 ottobre 2015

Il runner-gagà ma senza le ghette (ancora sul correre con la pioggia)

Prendo spunto da un commento di una lettrice a un post sul correre con la pioggia (Sotto la pioggia (con un trucco stupido che non è un trucco))che mi chiedeva dell’esistenza di copriscarpe impermeabili. Immagino che questa curiosità sia nata dalla considerevole acquata che molti di noi che correvamo a Firenze (ma non solo) si sono presi la scorsa domenica mattina.
Ammetto che non mi ero mai posto il problema ma questa domanda mi ha fatto venire in mente l’inconveniente riscontrato da Gigi sempre domenica mattina: un fastidio dentro la scarpa che cercava di risolvere invano tirando ben bene il calzino: a fine allenamento si è reso conto che non era il calzino la causa bensì addirittura la soletta che, oramai completamente molle, si era arricciata...

Tornando dunque alle ghette, a me veniva in mente solo quegli oggetti che servono a coprire completamente scarpa e caviglia usati da chi corre nel deserto, oppure quelle per i ciclisti che però hanno un uso limitato del piede.
Facendo una piccola ricerca in rete (Parole chiave utilizzate: spats, gaiters, shoe covers) mi sono reso conto che ci sono problematiche simili per chi fa trail, con rami e sassi che imprescrutabilmente si ostinano a voler entrare nelle scarpe di chi corre. Però in questo caso non aiutano a non inzuppare la scarpa e dunque il piede perché si limitano a sigillare la caviglia con la scarpa, e anche se fossero impermeabili tutta l’acqua che arriva dal suolo tramite schizzi e pozze passerebbe comunque tramite la scarpa. A meno di avere scarpe in goretex. A questo riguardo mi ricordo di aver verificato un inconveniente pure peggiore: una volta riempite di acqua (mai messo un piede in una pozzanghera?) le scarpe in goretex restano piene, mentre le normali scarpe da corsa perlomeno si svuotano...
Ho anche trovato menzione di ghette (Shark) che promettono di farti correre anche nell’acqua senza problemi ma le informazioni tecniche sono minime e insoddisfacenti, anche le foto non sembrano relative a scarpe da running ma più da ciclismo. Sospendo il giudizio.
Mi sono imbattuto in vari forum sul tema ma senza soluzioni interessanti: c’è chi suggerisce di usare delle normali cuffie da doccia, di quelle che si trovano in albergo, per farci delle ghette... vabbè, allora va bene tutto ma noi stavamo pensando a qualcosa che non disturbi la corsa in sé altrimenti basta mettersi delle galosce e siamo tutti contenti.

Conclusione: a meno che qualcuno non trovi (e provi) una soluzione valida io continuo a correre con le scarpe normali (non in goretex) e con calzini sottili in modo da ridurre al minimo l’acqua che può essere trattenuta.


La morale: io sono solito abbinare maglietta e calzini, mentre i pantaloncini possono andare a contrasto. Se rinuncio alle ghette, sia pure a malincuore, resto un runner-gagà?