Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

martedì 26 novembre 2013

Un fatterello (di cosa si parla quando si parla di amicizia?)

Un fatterello avvenuto domenica mattina che mi sono scordato di menzionare nel mio precedente racconto sulla Maratona di Firenze 2013.
Siamo sotto la Torre della Zecca, abbiamo fatto le foto di rito, ci stiamo preparando a recarci a lasciare il sacco con quello che ci servirà al termine.
Fatte le ultime scelte, riposto guanti e cappellino, non fa abbastanza freddo, chiudo il sacco tirando la cordicella rossa e tenendolo così sollevato: mentre l’apertura si serra, circa cinque centimetri più in basso, si apre uno sbrano per tutta la larghezza. Il sacco è chiuso ma una grande bocca aperta mi mostra il suo contenuto.
Non panico ma smarrimento, sì. Fossi stato più preoccupato per la gara avrei potuto interpretare questo evento come un antico aruspice e leggerci un preconio di sventura. Ma le mie aspettative riguardo alla gara sono modeste, il problema resta puramente pratico: come lasciare un sacco aperto sballottato tra centinaia di altri sacchi.
Di fronte a me c’è casualmente Dritan che ha appena finito di appuntarsi il pettorale con i quattro spilli da balia di ordinanza. Lo guardo senza dire nulla, l’immonda bocca aperta del mio sacco parla da sé. Non dice niente neanche lui ma mi prende il sacco e comincia a cercare un modo per fare un nodo al di sotto della breccia. Non sono buono a fare nodi, io, e il sacco è piuttosto rigonfio. Mi presto docile a tenere stretto il collo del sacco e lascio che lui elabori un intricato nodo plurimo. Dopo qualche minuto di silenzio ho in mano un salsicciotto all’apparenza ben sigillato.
Non ricordo di averlo ringraziato, spero di averlo fatto, sicuramente devo averlo ringraziato, ma potrei anche non averlo fatto: in quei momenti la solidarietà, la comunione è tale che aiutare e essere aiutato è tutt’uno senza bisogno di chiedere o di ringraziare.
Ci siamo salutati poco dopo, stringendoci la mano, con una stretta intorno al pollice, di quelle strette alla pari che non possono stritolare le dita, e augurandoci un “in bocca al lupo”.
Un fatterello, ho detto. Niente più.


PS: Giusto per sicurezza: Grazie Dritan!

domenica 24 novembre 2013

L’altra maratona (ce n’è di gente strana)

L’avevo detto che avrei partecipato per il piacere dell’evento, per condividere l’atmosfera della partenza con gli amici e i colleghi, e per gustarmi la festa nelle strade di Firenze.
Ringrazio il Signore, Allah, gli dei del Walhalla o la Forza per averci concesso una giornata splendida da un punto di vista atmosferico: cielo sereno e temperatura mite con poco vento. Questo ha contribuito fortemente a conferire un’atmosfera ridanciana e festosa alla comitiva, eravamo un gruppo nutrito per la foto di rito prima dell’ingresso alle gabbie, e a tutti gli undicimila in generale: aspettare sotto la pioggia battente o sferzati dal vento insidioso e fustigatore di fine novembre non sarebbe stato altrettanto piacevole se pur più epico.
Detto ciò non avevo grandi aspettative.
“Metti le mani avanti”, mi ha detto facendomi gli auguri venerdì pomeriggio.
“No è realismo” ho ribattuto io. Ma lui avrà avuto la conferma che mettevo le mani avanti.
Se avessi proseguito quella sorta di preparazione di riparazione che stavo portando avanti con cocciutaggine oggi avrei dovuto fare trenta chilometri: sono partito più piano, avevo la tartaruga invece della lepre, (Simone, che ringrazio, è stato ferreo nel tenere la media che avevamo concordato e frenandomi con tenacia) e ne ho fatti trentatré ma poi mi sono fermato dopo che gli ultimi chilometri stavo procedendo in “modalità critica” o “con i remi in barca”, incapace di qualunque azione guidata e poi avevo pure cominciato a zoppicare e il primo insegnamento, che è soprattutto un impulso intrinseco di salvaguardia, è quello di arrivare integro all’arrivo, mi ha fatto desistere.
Luigi aveva detto che il richiamo dello scooter sarebbe stato troppo forte passando nei paraggi della partenza. E continuerà sotto sotto a pensarlo.
Non voglio qui piagnucolare per il fatto che non ho terminato la gara ma riportare quei piccoli momenti che mi hanno fatto godere la festa a partire da prima della partenza fino a che ho resistito.

Innanzitutto sono orgoglioso che uno dei partecipanti più ammirati nell’area della partenza fosse un collega e facesse parte del nostro gruppo: se avete visto un tizio con i capelli lunghi e spettinati su un pigiama di flanella a righe celesti e blu pensando che si fosse appena alzato da letto con indolenza oppure appena evaso dalla Cayenna, quello era Giancarlo. Alcuni fortunati si sono beccati in testa prima i pantaloni poi la giacca del pigiama prima dello sparo. Un onore a suo dire. Confermo pertanto che, come hanno protestato due delusi runner foresti, non ha corso in pigiama.

Poi visto che al trentacinquesimo chilometro non sarei stato con loro in ogni caso ho sparato la barzelletta idiota (dell'importanza della barzelletta idiota sotto sforzo ne ho parlato varie volte) prima della partenza:
cosa dice la supposta al razzo?
“Beato te che vai in cielo!...”
L’avevo detto io che era idiota e pertanto ben si adattava al momento topico della corsa. Anche se a ben pensarci pareva riferirsi a un colloquio prima di una partenza.

All’Indiano ero ancora in forma e quando qualcuno ha chiesto a qualcun altro perché si chiamasse così, mi sono intromesso e ho raccontato la storia del marajà morto e del fatto che fosse stato sepolto al congiungimento di due fiumi, Mugnone e Arno, come ricordava il monumento. Il gruppo di veneti che mi circondava ha ringraziato soddisfatto per la parentesi culturale.

Non mancava il runner abbigliato da capo tribù pellerossa agghindato con il tipico diadema di penne sulla testa e un gonnellino che voleva essere indianesco. Sul lungarno Santa Rosa l’abbiamo sorpassato che si stava fermando e non ho resistito: “Guarda Toro Seduto!”

In via Mannelli mi ha superato alla mia sinistra un francese, lo sentivo parlare già mentre si avvicinava, poi l’ho osservato mentre mi superava, non aveva nessun accanto e neppure un auricolare all’orecchio e quindi non stava parlando al telefono. Ovviamente non mi sono trattenuto:
“C’est grave bavarder tout seul!", gli ho detto.
Al che si è girato e mi ha guardato strano: in quel momento un tizio ci ha superato sulla destra ricongiungendosi a lui. Io e Simone siamo scoppiati a ridere mentre spiegavo loro l’equivoco ma non mi sono sembrati apprezzare. Peraltro lui che fosse francese lo si poteva intuire anche dall’abbigliamento, fuseaux neri e maglia grigia: se girate per Parigi sembra che gli unici colori ipotizzabili addosso a un uomo di qualunque età siano il nero e il grigio. Ma anche il tizio amico suo con cui parlava era ben francese per il verso opposto: mutandoni bianchi lunghi e sventolanti con piccoli orsetti colorati (non ho registrato il resto dell’abbigliamento perché mi sono fissato sugli orsetti). Drôle d’un français!...

Non lo conosco, è amico di un collega, poi abbiamo scoperto che Ema lo conosceva. Comunque per ovvie ragioni di riservatezza meglio che non sappia neppure il suo nome. Ci ha raggiunto la prima volta alle Cascine dopo che aveva avuto un diverbio con il sorvegliante dei bagni pubblici che reclamava il pagamento di un obolo per farlo entrare e quindi si era visto costretto a “fare le sue cose” (lui non ha usato perifrasi nel raccontarcelo) dietro un cespuglio. Dopo un po’ ci ha salutato e se ne andato avanti. Qualche chilometro dopo mentre stavamo ammirando l’astronave galattica che è atterrata qualche anno fa accanto alla Leopolda, lo intravedo sgattaiolare furtivo attraverso un cancello socchiuso del cantiere. Ce la ridiamo e proseguiamo. Dopo Ponte al Pino ci risorpassa in compagnia di un amico suo, ci saluta confidandoci che aveva fatto anche una terza sosta, oltre a quella che avevamo osservato a sua insaputa. Purtroppo poi mi sono fermato quindi non ho avuto altre occasioni di rivederlo passare: perché rientrando in un consesso urbano abitato di domenica mattina sarei stato veramente curioso di sapere dove si fosse fermato. Tenuto conto che, a quanto mi è dato sapere, aveva fatto tre soste in ventisette chilometri, stimerei che gliene sarebbero state necessarie un altro paio. L’argomento non è avvincente però non mi ero mai posto il problema e soprattutto non pensavo che, avendo un problema del genere, uno si mettesse a correre una maratona.

Intorno allo stadio ho fatto qualche chilometro spinto solo dal desiderio di vedere da vicino il Mandarino, come l’ha definito Simone: giacca e pantaloni di tessuto giallo lucido, un copricapo tondeggiante rosso da cui spuntava una lunga treccia nera. Quando l’ho superato, di sottecchi l’ho guardato in volto: non era affatto cinese ma anzi aveva un aria vagamente nordica.


La morale? Correre una maratona è un modo faticoso per divertirsi la domenica mattina ma quanto a stranezze può valer la pena.

sabato 9 novembre 2013

Corri, str.nzo! (cos’è l’amicizia?)

In inglese ce l’avrei avuto un titolo che suonava bene: Somewhere under the rain oppure Somewhere along the river. Perché non: Somewhere along the river under the rain? Insomma, ci avrei dovuto lavorare ma il punto di partenza era sicuro: somewhere. Come si fa a cominciare un titolo con Da qualche parte? Si perde ogni possibilità di poesia e allora niente. Chissà perché non abbiamo anche noi una parola come somewhere: abbiamo ovunque che fa il paio con wherever che, tanto per cambiare, ha un’altra musicalità. Però almeno la parola c’è. Questo per giustificare un titolo un po’ forte, che però a me piace e prima o poi riutilizzerò per qualcosa di più strutturato. 
Tutto perché mi sono messo a ridere ripensando alla porzione di dialogo che l’ha generato:
Runner A: “Io rallento!”
Runner B: “Corri, stronzo!”
Runner A: “Ma non vedo niente!?!”
Runner B: “Non c’è niente da vedere.”

Il dialogo è vero.
Vi potreste porre alcune questioni.
Per esempio quale dei due Runner sia Ema e quale sia io. Purtroppo chi mi conoscesse non avrebbe dubbi.
Potreste anche chiedervi perché il Runner A non vedesse niente. Non era buio, dato che erano le undici di mattina, ma per circa un chilometro abbiamo corso dentro le cascate del Niagara, per terra un tappeto di foglie celava il suolo e, tenuto conto dei recenti infortuni sia del Runner A che del Runner B, il non vedere niente era un problema non irrilevante.
Infine vi chiedereste per quale motivo il Runner B sia così tagliente, drastico, tombale, nonché cattivo, tralasciando la volgarità dell’improperio in sé.
Non per giustificare il runner B ma si trattava di una sorta di gioco di ruolo in cui ognuno recita la propria parte calandosi nella situazione e seguendo una sceneggiatura improvvisata ma non casuale.
E quasi a dimostrazione che stessero creando un copione all’impronta, lì sotto quella pioggia scrosciante, senza neanche un provvidenziale cappellino, il Runner B subito dopo aver emesso l’ultima parola dello scambio, seguito da un breve silenzio, ha aggiunto, fuori dal copione: “Questa la scrivo!”
Ops, mi sono tradito.

Comunque il tema di oggi non è la linguistica comparata né l’improvvisazione teatrale durante la corsa, bensì l’amicizia. I gesti semplici dell’amicizia, non pensate a azioni eroiche.
Come già diffusamente menzionato sto recuperando da un infortunio. Oggi avevo in programma un lungo che sapevo sarebbe stato duro da affrontare. Emanuele si era offerto di correre almeno una parte insieme e ieri sera Luigi si è offerto di condividerne una decina di chilometri. Mettendo insieme i chilomentri e gli orari ho disegnato un percorso che mi ha permesso di correre con l’uno e con l’altro, e un chilometro tutti e tre assieme mentre mi sfottevano per le scarpe che ho appena comprato negli Stati Uniti facendole recapitare in hotel a un collega in trasferta, dato che che non sono ancora arrivate in Europa. Di nascosto a Elena!...
Anche a questo servono gli amici, a fare due chiacchiere (certe volte non mi ricordo neppure di cosa abbiamo parlato), a distrarre l’altro dalla fatica, a costringerlo a riprendersi in un momento di crisi, a parlare di cose serie mentre non ci sente nessun altro.
Una banalità lo so. Ma queste piccole cose riescono sempre a meravigliarmi.
Se qualcuno mi chiede perché mi piace correre, sollevando l’angolo della bocca come a significare che non possa piacermi davvero far fatica per tanto tempo di seguito, io parto per spiegarglielo ma poi lascio perdere. Troppo banale.

PS: un tizio incrociandoci ci ha fatto il segno “V” con le dita della mano e ci ha detto: “Two weeks!”. Sì: mancano solo due settimane alla Maratona di Firenze.

mercoledì 6 novembre 2013

Summa Marathonae Florentiae: (quasi) tutto sulla Maratona di Firenze


[Aggiornato il 7/11/13]
Quest’anno è andata così: piccolo infortunio a inizio preparazione con postumi che hanno vanificato la preparazione stessa, ergo: se riuscirò a correre la maratona di Firenze sarà per godermi l’atmosfera e arrivare in fondo. Non riuscirò a non invidiare i miei amici e rimpiangere di non essere con loro a condividere le stesse aspettative e le stesse tensioni anche se poi ognuno di noi avrebbe vissuto una gara diversa, magari condividendone una parte. E invece no. Godermi l’atmosfera. Me ne devo ricordare.
Questo è anche il motivo per il quale ben poco ho scritto di corsa in questo periodo.
Però ogni tanto mi piace sedermi e fare il punto, fare ordine sul tavolo. E stavolta mi sono soffermato a pensare proprio al fatto che non avevo scritto niente sulla maratona che si sta avvicinando. Per il motivo appena menzionato. E mi sono reso conto che col passare del tempo ho scritto molto sulla maratona, e su quella di Firenze in particolare.
Ho pertanto deciso di raccogliere in un unico post tutti i riferimenti ai racconti e alle considerazioni disseminati tra i vari post pubblicati negli anni, una sorta di summa (non theologica), con l’impegno a tenerlo aggiornato in modo che possa servire come guida, personale, alla maratona. Di Firenze e non solo.

Nel 2010 ho scritto un racconto in soggettiva della gara, chilometro per chilometro, in pratica un racconto lungo che ho centellinato in puntate come un feuilleton ottocentesco: La maratona di Firenze 2010 chilometro per chilometro
Resta ancora valido a parte i primi due chilometri del percorso che sono nel frattempo cambiati dato che la partenza è stata spostata dal Piazzale Michelangelo alla Torre della Zecca.

Nel 2011 ho pubblicato, previo permesso dell’autrice, il tema in classe di mia nipote Sofia sulla maratona al cui arrivo aveva assistito: è stato per mesi il post più letto di questo blog. Con la conseguente riflessione su che scopo avesse sforzarmi a pensare e scrivere elaborate prose e ardite descrizioni se poi bastava il tema di una bambina di quarta elementare a sbaragliare ogni mio altro esito compositivo (La maratona di Firenze 2011 – Tema in classe)

Nonché qualche immagine che ha impresso la mia memoria durante la gara: La Maratona di Firenze 2011: Tre folgorazioni di bellezza nel buio di fatica


Nel 2012 mi sono sorpreso per la sistematicità e la programmaticità con cui mi sono disposto all’opera: partendo alcune settimane prima della maratona di Firenze ho elencato i temi inerenti il prima, durante e dopo la gara che avrei voluto affrontare raccogliendo suggerimenti che rappresentavano il distillato di almeno tre anni di esperienze, delle vere e proprie pillole di saggezza (l’umiltà non è mai stata il mio forte):

Verso la Maratona di Firenze 2012 – Pillole di saggezza non saccente

Verso la maratona - Pillola 1: L'allenamento

Verso la maratona - Pillola 2: L'alimentazione (prima)

Verso la maratona - Pillola 3: La preparazione mentale (imagerie)

Verso la maratona - Pillola 4: Il giorno prima (l'irrinunciabile check list)

Verso la maratona - Pillola 5: L’atteggiamento mentale in gara

Verso la maratona - Pillola 6: l'alimentazione (durante)


Non sono riuscito però a limitarmi al programma (neppure la misura è mai stata il mio forte) e ho aggiunto anche gli ultimi pensieri prima di:

Verso la maratona - Alla fiera dell'Expo

Verso la maratona - Ultimo pensierino

Per tacere di un ricordo indelebile del durante:

Il "cinque" dei bambini e uno striscione fantastico (ancora sulla maratona di Firenze 2012)


Nel 2013 una raccomandazione sulla domenica prima (sebbene non a proposito di Firenze):

Solo quindici (la domenica prima)