Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

sabato 27 giugno 2015

Monsieur Spitzweg s’échappe (sorsata di birra che continua a non convincermi)

È un racconto di una trentina di pagine, l’ho trovato incluso in una racconta di tre racconti che hanno lo stesso protagonista un certo Monsieur Spitzweg. Stavo per scrivere un certo noioso Monsieur Spitzweg e mi sono trattenuto poi ho pensato che mi ero trattenuto e che se l’avevo pensato un motivo ci sarà stato e quindi l’ho scritto. Ora dovrei motivarne la ragione, del noioso, intendo.
Alcuni di voi si ricorderanno “La prima sorsata di birra e altri piccoli piaceri della vita” (1998) che fece conoscere Delerm anche qui da noi, un classico tormentone, il libro carino che si legge d’un fiato, una prosa poetica che piace al palato, di facile beva, come dicono i sommelier a sottintendere che poi resterà ben poco da ricordare di quel vino.
Ho cercato di dimenticarmi questo precedente e di leggere questo racconto in quanto racconto sulla corsa. Effettivamente si tratta di un racconto che parla della corsa sebbene e lo stile dell’autore e il personaggi descritti mi facciano pensare di leggere un romanzo di fine ottocento. Però facendoci attenzione le vicende si svolgono oggigiorno e quindi la sensazione è di osservare attraverso una foschia che dona un’aura antica a tutto quanto viene narrato.
In breve sintesi questo Spitzweg, scapolo, impiegato alle poste, per rimettersi in sesto riesuma dell’abbigliamento sportivo di epoca giovanile e, comprate delle scarpe da running in un negozio specializzato (unico momento incontestabilmente contemporaneo), si mette a correre. Finché qualcuno non gli butta lì, come succede a chiunque cominci a correre: a quando la prima maratona? Al che dopo un primo recalcitrare, come succede a chiunque continui a correre, l’idea non sembra più tanto peregrina. Spitzweg si pone come obbiettivo, come succede a chiunque si decida correre la prima maratona, di portare a compimento la maratona della sua città, in questo caso Parigi. Si prepara e la corre. Senza tanti fronzoli: per dare un’idea il racconto della gara in sé occupa esattamente due pagine. Non mi lamento: l’autore dà prova di non voler sfracassare i cabbasisi dei lettori con cronache dettagliate. D’altronde il racconto è breve.
Quattr’ore, due minuti e trentasette secondi, il risultato del nostro: un tempo peraltro onesto per una prima maratona anche se, cammin facendo, il nostro si era posto come obbiettivo di stare entro le quattro ore, obbiettivo che non si capisce bene da dove nasca se non dalla rotondità del numero, che basterebbe cambiare unità di misura del tempo e non avrebbe più alcun senso.
Comunque dopo l’impresa l’interesse per la corsa si affievolisce e, come succede talvolta a chi corre una maratona, non ci sarà una seconda volta: non vuole essere vittima di una fissazione e si rende conto (e qui il passaggio mi pare molto rapido e poco sostanziato) che stava solo lottando contro il tempo e che questa lotta non può essere puramente atletica (boh).
Pertanto decide che deve meditare e, presa una settimana di ferie, se ne va in un’abbazia benedettina in Normandia. Terminata la soddisfacente e silenziosa settimana gli basta scambiare due parole con un monaco al negozio dei ricordini per decretare che anche questo mondo è contraddittorio e quindi se ne torna al suo tranquillo tran-tran tutto soddisfatto.
La morale: non esageriamo con il movimento né con il pensamento.
Boh. Diciamo che, sebbene la medietà possa essere un ragionevole ideale, mi pare che qui l’autore faccia un racconto a tesi, in cui vuole dimostrare qualcosa ma si scorda qualche saggio imperativo della narrazione (show, don’t tell) e spera di cavarsela spruzzando qua e là della foschia anticante.
Anche questa sorsata di birra mi ha lasciato un retrogusto troppo amaro: non mi ha convinto neppure la seconda volta. Non ce ne sarà una terza, Monsieur Delerm.

Monsieur Spitzwed s’echappe
(nella raccolta « Monsieur Spitzweg »)
Philippe Delerm
Mercure del France
1998

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domenica 14 giugno 2015

Pacco, doppio pacco e contropaccotto (non ci sono più i nipoti di una volta)

Partiamo dall’inizio e dai mezzi di comunicazione che come vedremo hanno giocato un ruolo non secondario in questa piccola ma curiosa vicenda.

A inizio anno Filippo espresse il proposito di partecipare alla sua prima maratona in autunno e mi chiese una mano nel prepararla. Entusiasta e quasi paternamente (ziisticamente non mi pare che esista) commosso dalla richiesta accettai e anzi proposi di partire da una mezzamaratona in primavera (e anche quella sarebbe stata la sua “prima volta”) a cui poi sarebbe seguita la maratona in autunno. Anche Ema aderì immediatamente (fatto salvo il diritto al ringambo, di cui si merita il titolo di maestro emerito, del quale vedremo alcuni risvolti nella vicenda di cui prima o poi arriverò a parlare). A quel punto formai un gruppo in Whatsapp, “Correre in Famiglia”, che sarebbe stato il canale di comunicazione per fissare ritrovi, scambiare programmi, condividere pensieri e considerazioni. Anche questo particolare è pertinente.
La mezzamaratona primaverile è stata portata a termine ma, come molti di coloro che corrono abitualmente possono immaginare con facilità, gli infortuni hanno frastagliato gli allenamenti, a rotazione, dei vari membri del gruppo, e oggi sarebbe stata la prima occasione, da quasi due mesi, per correre nuovamente tutti e tre insieme.
Per aumentare le variabili in gioco, si era aggiunto Gigi di ritorno da una vacanza in Giappone e che, nonostante bronchite, aerosol e antibiotici, era disponibile a qualunque corsa avessimo programmato.
Quindi da tre o quattro giorni avevo cominciato a programmare questa uscita comunicando con gli uni e con l’altro tramite Whatsapp: scambi di gruppo con Ema e Filippo e individuali con Gigi. Altro dettaglio da tenere a mente.
Mentre Filippo aveva imposto la domenica mattina ma era incerto sull’orario, Ema aveva cominciato a frapporre non meglio identificati impedimenti, ma dicendosi disponibile, nel caso in cui avesse potuto, ad aggregarsi dove e quando avessimo fissato. L’arte del rimgambo: non potevi rinfacciargli che rinunciava dato che in principio lui non aveva rinunciato, anzi aveva espresso tutta l’intenzione di partecipare, purché gli impegni  glielo avessero consentito. Se poi non lo avessimo visto, ce lo aveva detto! Su quali fossero poi questi impegni, si era mantenuto sul vago ma alla fine aveva buttato lì che il problema consisteva nel fatto che sabato sera avrebbe fatto “ultra-tardi” che per un padre di figli pre-adolescenti difficilmente può voler dire le sei di mattina, ma quell’”ultra” lasciava un’alea di pretesa commiserazione che non potevi, per cortesia, mettere in dubbio. Un maestro, come avevo anticipato.
Alla fine si era addivenuti a una soluzione condivisa: domenica mattina alle 9.00 davanti alla facoltà di Agraria alle Cascine.
Casualmente sabato sera, complice il saggio di canto di Elena e la successiva pizza di gruppo a cui avevo di buon grado acconsentito, sono andato a letto tardi e, forse a causa di difficoltà digestive acuitesi con l’età, ho spento la luce dando un occhio alla sveglia: le due e mezzo!, domattina quando suonerà alle otto proverò un dolore atroce.
Così è stato e, mentre preparo la colazione, accendo lo smartphone e vedo un messaggio di Filippo che, a mezzanotte e quaranta, sul gruppo di Whatsapp annunciava di essere ancora da amici e di non farcela, ringambando. Resto senza parole, butto lì che non avevo letto il messaggio ieri sera anche se – senza passarmi neanche per un attimo l’idea di ringambare, a me! – mi ero addormentato dopo le due e mezzo.
Ema si inserisce: “Sono già alle cascine muoviti!”
“Devo fare colazione”, rispondo subito, poi guardo l’ora: sono le 8.35, Ema manco veniva, mi sta prendendo in giro:
“A te non ti parlo” e chiudo lì.
Visto il rincoglionimento oggettivo e sapendo che Gigi voleva partire più tardi possibile, gli mando subito un messaggio spiegando la situazione e concordo un posticipo di mezz’ora: 9.30 ma partendo da casa mia anziché da Agraria più comodo per entrambi.
Durante la nostra oretta di corsa, dopo il racconto del suo viaggio in Giappone, gli ho infine riassunto quanto sopra: non c’è più religione, ma ti rendi conto questi nipoti di oggi, non hanno più spirito di sacrificio, nessun senso deontologico, ti giuro che neanche avevo preso in considerazione la possibilità di rinunciare perché ieri sera alle due e mezzo non mi ero ancora addormentato, e loro...
“Marcoooo!”
Mi giro verso il triangolo di prato tra la scuola di Agraria e l’ippodromo, dove gruppi di peruviani stavano già approntando i tavoli e le cucine da campo per il pranzo domenicale.
“Marcooo!” grida ancora un tizio tarchiato con la maglietta bianca che mi saluta con la mano.
Con Gigi ci fermiamo:
“Chi sei?” urlo di rimando
Poi alle sue spalle vedo un tizio con un cesto di capelli che mi saluta: Ema!
“Fava!” dico mentre deviamo verso di lui.
Cos’era successo? Si era svegliato inaspettatamente presto e, per farci una sorpresa (dopo il "pacco" voleva farci il "doppio pacco"), era venuto all’appuntamento senza dire niente. Quando aveva visto lo scambio si era inserito per farmi che capire che lui c’era. Aveva interpretato la mia risposta nel senso che, dovendo io fare colazione, avrei un po’ tardato e ci aveva aspettato fino alle 9.30. Dopodiché aveva fatto un giro verso ponte vecchio ipotizzando che ci fossimo mancanti e che probabilmente avremmo fatto un giro sui lungarni, con la speranza di incrociarci in qualche punto.
Il caso ha voluto che avesse parcheggiato lì e ci avesse visto mentre beveva un integratore. Quindi incontrare ci siamo incontrati ma in pratica alla fine della rispettiva corsa.

La morale?
Almeno duplice:
Uno. I nipoti di oggigiorno supereranno gli zii (e già lo hanno fatto) ma gli zii continueranno a scuotere la testa e a sostenere che non ci sono più i nipoti di una volta.
Due. La comunicazione: se invece di usare la tecnologia sopraffina affidandosi a messaggi forzatamente ridotti e malinterpretabili, fossimo ricorsi a una impegnativa ancorché vetusta ma semplice telefonata forse sarebbe stato meno buffo ma avremmo corso tutti insieme.

Ma forse è giusto così, i nipoti fanno i nipoti, gli zii fanno gli zii, ci si perde e ci si ritrova con lo smartphone come (da quasi vent’anni) con gli sms e (prima ancora) con il telefono fisso.


La mia vera morale? Raccontare storielle e, possibilmente, riderne. Ma senza perderci (e prenderci) sul serio.


Epilogo (dopo le morali di coda)
Io e Gigi trotterelliamo via sul prato passando tra i tavoli già allestiti per il pranzo:
"Ciao Marco!"
"Ciao!" mi giro e sorrido al giovane ristoratore peruviano dalla voce possente.


sabato 13 giugno 2015

Putain, s'il fait chaud! (Caz.o che caldo!)

"Putain, s'il fait chaud!" ha detto Michel mentre facevamo stretching. L’ho imbeccato, perché ultimamente sono pigro, me ne approfitto e tra noi parliamo quasi sempre in italiano. Lì per lì ho detto “caz.o che caldo!” E poi “tu diresti Putain!...” e lui ha soffiato fuori tutto insieme “Putain, s'il fait chaud!”
Sarà stato quasi l’una e mezza di una calda giornata di giugno. 

Eravamo arrivati negli spogliatoi dubbiosi e già sudati: 
“Facciamo pochi chilometri” ho buttato lì. 
E poi ho rincarato: “Restiamo nel parco cercando di correre solo all’ombra”. 
“Sì sì”, ha annuito convinto lui. 
Poi negli spogliatoi sono arrivati gli altri, quelli dello stormo, e loro non restano ‘al chiuso’ nel parco neppure se nevica o le lucertole evitano il sole. 
Io guardo Michel e gli sussurro, meno convinto: “Noi stiamo dentro, vero?”. 
Lui annuisce anche se con gli occhi più grandi. 
“Voi dove andate”, faccio casuale. 
“Andiamo al laghetto”, risponde Fabrizio, il capo-stormo, come a dire: che vuoi fare... 
Effettivamente la loro alternativa è il giro del cimitero di Bolgiano e in quel caso il percorso è completamente al sole... 
Riguardo Michel e gli dico a mezza voce: “Il giro del laghetto è tutto all’ombra... che dici?” 
Non mi ha neppure risposto. Ci siamo bagnati i capelli, ho calcato in testa uno dei miei cappellini e via in stormo.
Al ritorno dopo una generosa innaffiatura alla fontanella ci siamo messi all’ombra a fare stretching.

Questo il breve racconto che solo un paio di anni fa mi sarebbe sembrato inconcepibile: correre con il solleone non è salutare!, mi dicevo. Non ha senso, mi dicevo.
Ecco, un senso può averlo, a trovarlo.
Supponiamo che tu voglia fare una gara in cui la corsa a piedi si svolge verso le due o le tre del pomeriggio nel periodo primaverile o peggio estivo: andrà messo in conto che il caldo e il sole faranno parte delle difficoltà da affrontare.
"Ma chi te lo fa fare!?!" 
Questa è un'altra storia: per adesso supponiamo che.
L'allenamento per questa ipotetica gara non sarà teso solo a essere in grado di correre una certa distanza più velocemente possibile (magari dopo aver fatto qualcos'altro prima, ma questa è un'altra question e ci sono altri allenamenti specifici), ma dovrà prepararti a farlo nelle condizioni di gara, ossia con il sole, e il caldo, e l'umidità, e la ventilazione (o mancanza di ventilazione), che troverò al momento della gara.
Ecco che un'attività apparentemente insalubre, o comunque non molto sensata, comincia a prendere senso, ci stiamo allenando a sopportare il caldo durante la corsa.
Paradossalmente: meno male che fa caldo e noi possiamo allenarci in pausa pranzo!
La morale? Il mondo è bello perché è vario.

mercoledì 10 giugno 2015

Les athlètes dans leur tête (Recensione estorta con l’inganno)

Dove l’abbia trovato menzionato non lo ricordo. Fatto sta che avevo questo titolo tra i libri, sulla corsa, da leggere. Non è stato facilissimo ma l’ho trovato (tanto per cambiare non mi risulta sia stato tradotto e pubblicato in italiano).
Innanzitutto è una raccolta di racconti e da come si può arguire dal titolo si parla di atleti in generale per cui non mi ha meravigliato ritrovarmi a leggere racconti su ciclisti, sciatori, rugbisti, saltatori con l’asta, eccetera. In ogni caso ero fiducioso dato che tra le varie discipline non poteva mancare la corsa, sia pur declinata in qualcuna delle sue specialità: c’è un racconto che ha come protagonista un centometrista, uno un quattrocentometrista e un terzo su un fondista non meglio specificato, ma si capisce che fa gare in pista, che si rovina con il doping. Quindi la mia lettura, pregiudizievolmente in attesa di un racconto su un maratoneta o qualcosa di simile, è rimasta in uno stato di sospensione di racconto in racconto fino alla delusione finale. D’altra parte di racconti sulla corsa, come ho detto, ce ne sono, pertanto è stato sciocco rimanere delusi, come se quella non fosse corsa, solo per il fatto che per me la corsa è tale solo dai dieci chilometri in poi. Sicuramente c’è chi, all’opposto considera vera corsa quella che permette di andare davvero al massimo della velocità assoluta e quindi su distanze forzatamente più brevi. E quindi in questa raccolta costui avrebbe trovato almeno un paio di racconti in sintonia con il suo modo di intendere la corsa. E sarebbe rimasto meno deluso di me.
Alzando la testa, senza pregiudiziali di sorta, devo ammettere che si tratta di racconti leggibili e un’opera di narrativa sullo sport interessante. Non per nulla ha vinto il « Grand Prix de littérature sportive » nel 1988 e il « Prix Goncourt de la nouvelle » nel 1989. Peraltro Paul Fournel, appassionato ciclista, non è nuovo a scrivere sull’argomento sportivo e in particolare sul ciclismo.

PS: Dalla quarta di copertina apprendo che Fournel è presidente dell’Oulipo. A parte il fatto che ignoravo esistesse ancora questa gloriosa istituzione mi è parso curioso e meno inusuale il suo interesse per argomenti non prettamente letterari. Per chi non sapesse cos’è l’Oulipo se lo può andare a cercare ma soprattutto un consiglio che esula dalla corsa: Queneau. Sicuramente  oramai datato ma autore fondamentale (“Esercizi di stile” è stato fin da subito un riferimento per autori e studiosi come Calvino e Eco).

Les athlètes dans leur tête
Paul Fournel
Éditions du Seuil
1988 (1994 con un racconto aggiuntivo)

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