Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

domenica 26 febbraio 2012

Tutto in testa (o comunque tanto)


Presa diretta, respiro ansimante, immagine traballante, anzi leggermente ma periodicamente saltellante. La camera inquadra Viale delle cascine che si avvicina lentamente a noi.
Voce fuori campo, quasi un urlo, in lontananza sulla sinistra:
- Quanti?
La camera ruota rapidamente di novanta gradi a inquadrare due tizi, uno con una maglia arancione, che si stanno cambiando vicino a un’auto nel piazzale del Re.
Il protagonista prende fiato e risponde, urlando:
- Trentatré!
- Roma?
- Sì!
- Forza!

A uno spettatore ignaro parrà uno scambio in codice tra iniziati, probabilmente il fuggitivo grazie alla corretta parola in codice ha trovato accoglienza amica, e viene lasciato passare indenne. Se avesse detto “ventotto” oppure “no” dopo “Roma” sarebbe stato falciato da una smitragliata e l’ultima inquadratura sarebbe stato il viale delle cascine, stavolta immobile, visto da terra, ruotato di novanta gradi, radente asfalto. Buio.

Ecco a parte la drammatizzazione cinematografica forse eccessiva, lo ammetto, e il what-if dell’ipotetico ignaro spettatore, questa scena si è svolta esattamente in questo modo.
Se non ci fossero stati quei due tizi, ovviamente due runner come me, che avevano riconosciuto in me (forse dall’andatura incerta e trascinata?) un loro pari che stava concludendo di volontà un lunghissimo, forse ce l’avrei fatta lo stesso, però mi hanno alleviato l’ultimo chilometro e mezzo (avevo allargato: non ero ancora a trentatre chilometri...) trasmettendomi una carica inaspettata: ogni centinaio di metri mi chiedevo a voce alta: Quanti? E poi mi rispondevo: Forza! E mi veniva un sorriso sul viso che contrastava con la maschera di fatica che sicuramente vi albergava. Chi mi ha sentito (ammesso che non fosse un’altro della nostra stessa specie) avrà pensato che ero matto: parlavo da solo ripetendomi parole sconnesse: “quanti?... Forza!”. D’altra parte quella domanda mi tornava in mente come un mantra e l’idea che avessero voluto trasmettermi, con la loro solidarietà (non richiesta), quella piccola spinta di cui avevo bisogno, mi commuoveva (la fatica gioca brutti scherzi, direte voi...). Che non fossi uno che stava finendo un giretto da pochi chilometri era evidente per loro perché sicuramente anche loro erano appena passati nella mia stessa condizione, ma erano in due e io in quel momento ero solo, questa sarà stata la molla che ha fatto gridare uno dei due, invece di starsene zitto e godersi il meritato riposo.
Purtroppo erano lontani e io non ero in condizioni di fare deviazioni, né questo era il loro intento né la loro aspettativa, ma mi dispiace non poterli riconoscere (da lontato ho distinto solo la maglia arancione di uno dei due, niente più) e mi sarebbe piaciuto e mi piacerebbe ringraziarli.
Lo faccio qui: un grazie al runner ignoto che saluta il suo simile e addirittura lo incoraggia se necessario.
La morale? Due.
L’allenamento è una conditio sine qua non, non si discute, ma poi una buona parte della corsa (non saprei quantificare) è nella nostra testa. Quindi curiamola nello stesso modo.
E se assistete a una gara non lesinate un applauso e non vi sentite idioti a gridare dei perfetti sconosciuti: bravi, forza, manca poco! sappiate che li avete aiutati, anche a voi non sarà sembrato gran cosa.

sabato 25 febbraio 2012

Divagazione sulla memoria e sul raccontare (non solo di corsa)


Un collega con il quale ho pranzato qualche giorno fa, dopo che ci eravamo conosciuti casualmente nello spogliatoio dopo la corsa, parlando dei miei racconti, si stupiva per la quantità dei dettagli che riesco a riportare nei miei resoconti di corsa, e citava per esempio qualche particolare non propriamente ortodosso che io ho confessato di aver osservato durante la maratona (durante i primi chilometri, La maratona di Firenze - 6), e mi chiedeva come facessi a ricordarli con tale precisione. Usavo un registratore? Li scrivevo subito dopo?
Effettivamente è una cosa che stupisce anche me (davvero, non è falsa modestia) tenendo conto che, restando all’esempio molto calzante della maratona di Firenze del 2010, mi sono messo a scrivere vari mesi dopo l’evento. Comunque mi rendo conto che di solito per scrivere di qualcosa, soprattutto se impegnativo, ho bisogno di averci messo del tempo in mezzo, sia per trovare il piacere di ripensarci, sia per avere quella distanza necessaria per stupirmi come un osservatore esterno.
Certo per rivivere quelle quattro ore e quei quarantadue chilomentri mi sono anche aiutato: ripercorrendo il percorso sulla cartina, rivedendo le foto e soprattutto spezzando in piccoli tratti, non per niente ho diviso il racconto in capitoli da cinque chilometri. Dopodiché mi sono messo con calma e ho rivissuto e rivisto quello che mi era successo dall’inizio, chilometro per chilometro, ho rivisualizzato, in senso letterale, quello avevo vissuto forzandomi a riviverlo,  e “sbobinandolo” subito dopo, pezzo per pezzo, senza stare a guardare troppo la forma, perché l’importante era riscavare, raccogliere e depositare in salvo da qualche parte ogni minimo ricordo. Poi, una volta riesumato un ricordo, lo si può descrivere meglio, si può raffinare la scrittura, ma lo sforzo di ricordare è stato fatto e non ci si perderà più energia. Sì, perché questa attività di rivisitazione è faticosa, certo meno faticosa dell’atto stesso di correre quei quarantadue chilometri, ma comunque non è un dono che piove dal cielo: mi rendo conto che è un approccio che ho sempre avuto nel raccontare, e che, una volta messo in moto questo ri-vivere, poi devo solo tener dietro e “sbobinare” spippolando come un forsennato sulla tastiera. Certo riconosco che anche questo ri-vivere, come anche la scrittura medesima, è aiutato dall’esercizio e dall’abitudine.
A fine pranzo, mi sono reso conto che, intrigato dalla questione, mi ero buttato in queste elucubrazioni con una certa passione. Spero di non aver annoiato troppo il collega, la prossima volta ci penserà due volte prima di farmi una domanda.  

4.1.1 I gradoni

Asfalto / saliscendi / circa 9 km (giro)

Come anticipato, questo percorso può essere visto come variante del già descritto 4.1 Villa Corsini... Loggia dei Bianchi.


Dalla Villa della Loggia dei Bianchi si prende a sinistra lungo il Terzolle, si sale a Serpiolle, seguendo sempre la strada principale. Dopo la Casa del Popolo (sulla destra) la prima contrada che si trova e che si diparte perpendicolarmente verso monte (ovviamente alla nostra sinistra) non lascia dubbi sulla pendenza.


Da asfaltata, dopo il cimitero, a sinistra salendo, la stradina diventa poi sterrata per poi continuare a inerpicarsi in linea retta tramite dei gradoni di pietra. L’alzata dei gradini non è eccessiva ma purtroppo il passo è tale che se si comincia a salire il primo gradino con un piede si proseguirà inesorabilmente fino alla fine sempre con lo stesso piede con conseguente riscaldamento del quadricipite della gamba in questione fino a un bruciore pungente.
Io l’ho fatta con l’entusiasmo ingenuo della prima volta. Ma a un certo punto proseguivo solo per orgoglio e appena quello davanti a me si è soffermato e ha cominciato a camminare, non ho indugiato oltre e mi sono adeguato ben contento. Come sollevato di non aver ceduto per primo.

Devo dire che non ho visto alcun cavallo lungo il percorso però colleghi mi assicurano che ce ne sono, io ci credo e lo riporto qui per completezza.
Spuntati su una strada asfalta si prende a sinistra scendendo per dei tornanti the tagliano il bosco fino a ricondurci a via delle Masse pochi metri prima della summenzionata Casa del Popolo. Da lì si rientra. Il percorso totale non è considerevole ma lo sforzo breve ma appuntito vale la pena e costituisce comunque un valido allenamento. O un appagamento masochistico. Dipende.

4.5 Polo scientifico di Sesto


Asfalto / piano / 2,3 km (anello massimo, senza avvicinamento)

Non è un bel giro. 
Ha una funzione: è un percorso assolutamente piano e molto lineare, solo alcune curve rette, l’asfalto è recente. Pertanto si presta a allenamenti veloci, come le ripetute o il medio veloce.
Dal solito punto di partenza, ossia il parco Lippi, si costeggia via Perfetti Ricasoli, si attraversa con attenzione viale XI Agosto e poi si prosegue dritti in via delle due case fino a via Pasolini (che è quel vialone che porta all’Ipercoop di Sesto) prendendo a sinistra alla prima rotonda (via Madonna della Piana).

Si segue la strada che fa una curva di 90° a destra, costeggia un accampamento Rom per arrivare in un altro mondo, il Polo Scientifico di Sesto, una dependance dell’Università di Firenze, costituito da vari edifici bassi e nuovi, intervallati da casolari, campi sportivi, allevamenti di cavalli, con strade tutte perpendicolari l’una con l’altra, il cui rettangolo massimo è pure misurato ogni 100m e misura poco più di 2200m. Oltre a qualche cavallo immobile aldilà di una staccionata, non è insolito vedere un consistente gregge di pecore che ti osservano scettiche.
Il tragitto di avvicinamento ammonta a circa 2km, che possono essere utilizzati come riscaldamento e prima ripetuta.
Con un paio di giri e il tratto di andata e ritorno si possono totalizzare 8-9km giostrabili in varie combinazioni di tratti da 1, 2, 3km e relativi recuperi.
Insomma, avevo messo le mani avanti sin dall'inizio: non è un bel percorso ma ha un suo perché.

domenica 19 febbraio 2012

Il senso della gara per me (e due parentesi importanti)


Questi sono alcuni appunti presi dopo la mezzamaratona di Scandicci di stamani. Dove ho fatto una prestazione sorprendente. Per me ovviamente. Non ho vinto, non sono arrivato neanche tra i primi, figurarsi, ma ho fatto un tempo che mi ha sorpreso, di cui non mi ritenevo capace fino a ieri. Pertanto è stata una prestazione sorprendente (nel senso etimologico).
Ma questo non è un blog di tempi e prestazioni né un luogo di vanto ma solo di condivisione di fatica e riflessioni sulla corsa, quindi non ha alcun senso parlare di tempi, e infatti non  ne volevo parlare e non ne parlerò.
Quello di cui volevo parlare è una domanda e alcune riflessioni, non necessariamente originali, che mi sono venute dopo la gara. Qual’è il senso di una gara per me? Mi sono chiesto mentre me ne tornavo a casa.
Questo peraltro è un buon esempio di gara perché ho temporeggiato e rimandato fino a ringambare, dicendo a tutti che non ci sarei andato. Motivo? non avevo voglia e non me la sentivo di soffrire, dato che se avessi partecipato, lo sapevo, avrei cercato di forzare, non mi sarei accontentato di tenere un’andatura di conserva, sennò potevo andare a allenarmi da solo e risparmiavo tempo e denaro, e quindi se avessi partecipato avrei sicuramente sofferto. Poi venerdì, un po’ perché Fulvio rispondendo a una mia domanda su che allenamento alternativo a correre la mezza (che appunto non mi andava di fare) mi ha detto che “preferiva” che la corressi, un po’ perché non avevo alcun compagno né sabato né domenica per un lungo, alla fine mi son deciso e mi sono iscritto. Quindi non è una gara che io volevo fare, solo una gara che ho fatto.
Cosa significa una gara per me?
  • Innanzitutto era comunque un momento dell’allenamento, infatti quando preparo una maratona inserisco solitamente una mezzamaratona, magari per alternare due lunghissimi (e qui avrei alternato – teoricamente – un 28km e un 35km, anche se poi il 28km sono diventati 25 per il freddo di domenica scorsa).
  • Poi mi piace l’aspetto sociale. La condivisione con una o più persone delle intenzioni e delle aspettative prima, l’incoraggiamento e il sostegno durante e la solidarietà e la mutua soddisfazione – quale che sia il risultato – dopo. Fino a che, spesso, questa condivisione non si trasforma in amicizia. Avere un amico in più, grazie alla corsa, è per me una grande soddisfazione.
  • Tornando a un aspetto più squisitamente tecnico e competitivo: la gara è sempre e solo CONTRO ME STESSO, lo ribadisco, anzi forse si può dire che in gara ci sono solo io, un grandissimo ego che si avvale di centinaia di comparse, per valutare la propria preparazione e la propria prestazione. Quindi la gara come mezzo di autovalutazione. E, nel caso di esito positivo, come mezzo di accrescimento dell’autostima (di nuovo l’ego!). In conclusione la gara è PER ME STESSO.

Riallacciandomi all’aspetto sociale: il mio compagno di corsa, Riccardo, (che devo ringraziare ancora una volta: se non fosse stato per lui non avrei fatto quello che ho fatto, mi ha letteralmente “tirato”), ha vinto un premio nella categoria Veterani. Meritatissimo. Ma mi è stato anche di stimolo: non mi resta che invecchiare (pochi anni) e, forse, alla fine vincerò qualche bottiglia anche io? Se succedesse mai che vincessi un premietto sia pure in una gara di campagna, si aggiungerebbe un altro aspetto: quello che si associa a qualunque competizione, ossia di vincere qualcosa. Ma non è mai successo e dubito che succederà mai. Comunque Spes ultima dea, come diceva il poeta...

Parentesi sentimentale
Luigi (quello di Luigi e Rocky, per intendersi) mi ha fatto una sorpresa: è venuto a vedermi all’arrivo. Per me che non ho avuto un infanzia in cui i miei genitori – per ragioni culturali e logistiche - siano mai venuti a vedermi chessò a giocare a tennis, è stato un piacere intimo e molto potente: ero stanco morto, non riuscivo a stare fermo, ma che contentezza che il mio amico Luigi era venuto lì apposta per me!  

Parentesi sociologica
Dopo colazione a base di crostata alla crema (pasta frolla e crema fatte da me medesimo la sera prima, non per vantarmi...) e cappuccino con poco latte (vabbene essere superiori, ma mai sfidare la sorte), mia moglie mi ha salutato con un affettuoso “Buona gara”.
Io l’ho guardata sorpreso: “Volevi dire ‘Che coglione che sei a uscire con questo umido’, vero?”
“Sì, - ha ammesso lei sorridendo -  ma ‘buona gara’ è più carino!”
Runner fortunato, io sono...

Facciamo il punto


Tra una divagazione e l’altra vi ho raccontato i luoghi e percorsi di corsa abituali. Me ne manca due o tre da descrivere (La cava, il polo scientifico, i gradoni) ma più o meno li ho passati in rassegna quasi tutti.
Per rendermi meglio conto di dove corro e soprattutto di dove NON ho corso, ho visualizzato su Google Earth tutti i percorsi descritti.
Manca nella mappa il percorso della maratona di Firenze che ho voluto raccontare chilometro per chilometro ce lo aggiungo...
Vedo che c’è un grosso vuoto nell’area di Fiesole: lo posso colmare parzialmente ripercorrendo un bella gara dicembrina, la Firenze-Fiesole che quest’anno non ho corso. La racconterò prossimamente.
Poi vedo totalmente intonsa la zona sud-ovest, verso Scandicci per intendersi...
Se un lettore avesse un percorso che ritiene bello in quella zona, gli sarei grato se me lo segnalasse: non dico descriverlo in dettaglio, basta una descrizione sommaria, qualche punto di riferimento, potrebbe essere per me di stimolo per provarlo e poi raccontarlo.

martedì 14 febbraio 2012

La colazione mattutina (aspetti sociologici più che nutrizionali)

Domenica, mentre ci incuneavamo nel gelo cercando di non ferirci troppo, con i miei due coraggiosi sodali stavamo parlando della colazione e della sveglia presta, tipica delle sortite mattutine nei giorni festivi, allorquando le persone normali se ne stanno a letto al calduccio. E capita che i compagni o le compagne dei runner siano persone normali, sia pure, talvolta, con accenni di santità incipiente.
Allora ognuno ha raccontato la sua strategia mattutina.
L’uno scivola fuori dalle coperte con fare anguillesco onde evitare alla moglie foss’anche solo un risveglio parziale e consuma una frugale colazione mentre si veste quatto quatto.
L’altro si sveglia con largo anticipo, con il rischio piuttosto fondato di svegliare anche chi gli sta dormendo affianco. Fa colazione e poi si gusta una siesta insinuandosi di nuovo tra le coperte, con il rischio, sempre più fondato, di svegliare per la seconda volta il malcapitato dormiente.
C’è poi chi invece sveglia intenzionalmente,  anche se previo comune accordo, anche la moglie che di buon grado si alza presto (se non si esagera con orari antelucani) per prendere parte al rito mattutino della colazione. Anzi, questa potrebbe addirittura preparare lei il tè, il cappuccino per il nostro runner e riscaldare opportunamente due cornetti, di cui uno con la crema sempre per il suddetto. A parte il menù, che sicuramente farà inorridire la quasi totalità dei runners (lo so anche io: il latte!... la crema!... ma questo è un altro discorso che fa parte delle mie indagini empiriche sull’alimentazione, come ho avuto modo di accennare per il prosecco...), le differenze saltano agli occhi.
Allora la domanda sorge spontanea: ma come si svegliano i runner mattutini (in special modo nei giorni festivi) e come reagisce chi gli dorme, o vorrebbe dormire, accanto?
Si apra il dibattito.

domenica 12 febbraio 2012

Saluti a tutti (sia pure in incognito), anche alle Cascine



Stamani alle 9 sono partito da Agraria. Niente di strano se non fosse stato un freddo atroce.
Come si può capire dalla foto, ero in incognito...
Stavolta ho salutato con cura e sorpresa solidarietà tutti quelli che ho incontrato non solo alle Cascine ma anche lungo l'Arno (ammetto che il mio accenno di mesi fa al fatto che io saluto sempre e rigorosamente un runner ovunque tranne che alle cascine, mi è fruttato non poche critiche...)
Ed erano davvero tanti i bischeri - come me - che hanno avuto la brillante idea di sfidare il gelo e il vento di oggi, davvero non avrei creduto se non li avessi visti con i miei occhi.
Nessuna menzione specifica sul percorso: solo che per evitare il vento sferzante ho scelto un giro dei ponti (esteso fino al Girone) con un'accortezza: sempre stato sul lato dell'Arno da cui soffiava il vento in modo da stare al riparo, per quanto possibile, degli edifici.



sabato 11 febbraio 2012

Correre è una cosa stupida


“La corsa è uno sport stupido”, mi disse una volta Valeria.
“Che c’entra”, temporeggiai cercando una risposta da opporre a quell'affermazione così drastica.
“Non vedi che sguardi stravolti e inebetiti hanno quelli che corrono”, aveva insistito lei, “di certo non pensano mentre corrono”.
La risposta brillante non mi venne e sotto sotto avevo il timore che avesse ragione. Ero giovane e non correvo neppure tanto. E quando correvo, soffrivo, lo sapevo. Soprassedetti.
Con il tempo e l’allenamento ho cominciato a soffrire meno e a non essere costretto, mentre corro, a pensare solo a resistere, a arrivare alla fine che poi mi riposo. Certo che, anche adesso, se faccio un allenamento veloce, come le ripetute o un medio veloce, per non parlare di una gara, non posso mollare e deconcentrarmi. Ma a parte questi casi eccezionali, posso distrarmi e pensare liberamente. 
Qualche volta, soprattutto in passato quando scrivevo con più costanza, sono riuscito anche a iniziare un racconto mentre correvo. Ci vorrebbe un registratore per prendere appunti sul momento perché è facilissimo avere idee brillanti e poi lasciarle andare via come sono venute, e poi dopo rimango lì a cercare di rintracciarle senza riuscirci. Allora dopo il momento creativo si deve riuscire a trattenere cosa si è creato. Anzi questo esercizio mnemonico aiuta a distrarsi dalla fatica. Io faccio così: mentre sto girovagando con il pensiero dietro a qualche particolare su cui vorrei scrivere, se penso una frase che mi piace e decido che è un buon inizio per un racconto, allora me la ripeto, quindi proseguo e ne penso un’altra. Poi riprendo dall’inizio e mi ripeto le frasi pensate fino quel momento e così via. E ogni volta che ripeto una frase, la perfeziono, la smusso, e mentre me le ripeto, le frasi si assestano si consolidano. E appena arrivo a casa, prima ancora di spogliarmi e fare una doccia, prendo un foglio qualunque e trascrivo tutto e tiro un sospiro di sollievo: posso smettere di trattenere quel filo di frasi, me le posso pure scordare: tanto dopo le ricopio e vedo se sono davvero buone.
Io e Valeria non stiamo più insieme da anni, e la corsa non c’entra. Sicuramente non si ricorderebbe neppure di quella sua frase, è stupido però ho sempre avuto voglia di ribattere. E nella mia immaginaria e tardiva replica le direi, in modo sereno e consapevole, che la corsa è uno sport faticoso e la fatica può sfigurare un volto ma non per questo rende meno degno o meno intelligente chi è dietro quel volto arrossato o sbuffante. 
E che continuo a correre. Felice. 

domenica 5 febbraio 2012

Un racconto perduto e ritrovato... "Luigi e Rocky"


Quando cominciai a leggere Runner’s World circa quattro anni fa, notai che le lettere dei lettori che venivano scelte per essere pubblicate ogni mese facevano vincere premi considerevoli: un nuovo paio di scarpe, una tenuta appena uscita. Allora mi ingegnai: cercai tra i miei appunti e racconti, ritagliai tre brani che avessero una qualche attinenza con la corsa e li rielaborai fino a farli diventare della lunghezza massima ammessa.
Preparai delle email che inviai, un mese dopo l’altro, nel 2008 alla rivista. 
Nessuna di esse fu selezionata per la pubblicazione e io ci rimasi male.
Adesso, con il numero di Febbraio 2012, hanno pubblicato una raccolta delle più belle lettere pubblicate.
Ero indispettito, perché sapevo che le mie non le avevano pubblicate e pertanto non avrebbero potuto far parte neppure dell'antologia. Ciononostante, ho scorso l’indice alla fine della pubblicazione e sono incappato nel mio nome!
Dall’introduzione apprendo come ciò sia potuto accadere: di più di 10.000 lettere ricevute in sei anni, ne sono state pubblicate 617. Invece di selezionarne le migliori 150 e finirla lì, ne hanno scelte solo 71 e a queste ne sono state aggiunte 79 di quelle non pubblicate “che ben rendevano l’ispirazione dei nostri lettori per il running”. 
Inutile sottolineare quanto mi abbia inorgoglito il fatto che uno dei miei tre brani - sebbene sia consapevole che non è niente di eccezionale - sia stato scelto. 
Ma mi fa ancora più piacere che, dei tre, abbiano scelto proprio questo che è anche un tributo all’amicizia, oltre che alla corsa.

Luigi e Rocky
Tutto è cominciato per colpa di Luigi e di Rocky.
Con Luigi ci conoscemmo in seconda elementare e da quel giorno siamo stati inseparabili, come Tex Willer e Kit Carson, Starsky e Hutch, Batman e Robin.
Rocky invece è proprio Rocky, il film. Una sera, ai tempi del liceo, io e Luigi abbiamo rivisto in televisione Rocky. E la scena che ci piacque di più fu quella della corsa la mattina, quando è ancora buio.
Dal giorno dopo, Luigi alle sei era sotto casa mia, non suonava per non svegliare i miei, io scendevo. Facevamo suppergiù quattro chilometri, poi rientravamo, doccia e di nuovo a letto. Quando dieci minuti dopo suonava la sveglia per andare a scuola, mi alzavo con la sensazione di essere fresco e riposato.
Dopo una settimana il professore di italiano mi scosse dicendomi “Che c’è, ti senti male?” balbettai qualcosa ma non potevo dirgli che mi ero addormentato.
Cambiammo orario.
Da allora sono passati più di vent’anni e continuo a correre.

sabato 4 febbraio 2012

Vedi il cavallo e poi muori... I percorsi d’allenamento - 4.2.2 Il muro inverso

Asfalto (breve tratto sterrato) / salita (e discesa) lunga e decisa / 10 km (giro)

Si dice che quando uno stia per morire tutta la vita gli scorra davanti agli occhi. Devo ammettere che la questione mi incuriosisce parecchio ma non sufficientemente da mettermi alla prova.
Io della prima volta che ho fatto questo percorso ricordo ben poche cose e una di queste poche sono gli occhi profondi e pacifici di un bel baio con il muso solcato da una striscia bianca che mi osserva dal campo tra gli ulivi al di là di un basso muro a secco. Lo saluto e mi sento stupidamente meglio, come se avessi una sua simpatetica solidarietà. Invece, assai più probabilmente, era solo stupore celato dietro scure e vaste pupille equine.
Oltre quegl’occhi mi ricordo io che grido al nulla che non so la strada e che se c’è un bivio qualcuno potrebbe pure aspettarmi. Poi io che vengo giù a passo disteso e penso a me come un mezzo di trasporto che mi sta riportando a casa, spero. E questo mezzo di trasporto non era adeguato alla scampagnata. Fine. Per il resto solo fatica. Avevo già parlato di questa sensazione di inadeguatezza in passato (Giro in moto. Con sconosciuti). Senza però parlare della sostanza, ossia del percorso stesso.
Ora che sto ripercorrendo i possibili percorsi in questa area di Firenze, mi accingo a descrivere la prima deviazione sul tema (volevo dire “variazione” ma secondo me è proprio una deviazione, tendente al masochismo).
Partendo sempre dal Parco Lippi si arriva per la via più rapida a via della Quiete e poi si prende via Dazzi (come nel percorso 4.1 Villa Corsini... Loggia dei Bianchi) e qui, dopo aver percorso circa 2km in pianura, comincia la salita. La conosco bene questa salita, due amici carissimi abitano proprio dove via Dazzi si congiunge con via dell’Osservatorio. Si tratta di due o tre curvoni a largo raggio che salgono abbastanza ma non è lunga. Quando vedo il bivio per via dell’Osservatorio la salita si addolcisce.
Qui si pone una questione: se si cede alla tentazione e si riscende per via dell’Osservatorio saremo presto di nuovo in piana e torneremo alla base dopo neanche 7km. Si può fare se si ha poco tempo e comunque si vuol includere una salita decente. Questa sarà la variante dolce della prima deviazione. Sarebbe dovessi codificarla la chiamerei 4.3.1. Il giro di Via dell’Osservatorio.
Invece proseguiamo per via Dazzi ricominciando a salire. Si apre un bivio, sulla sinistra via della Topaia che poi si congiungerà a via della Castellina che abbiamo già menzionato arrivando a Quinto... tout se tient verrebbe da dire, tutto è collegato: basta aver gambe. Noi invece prendiamo a destra e appena la strada piega a sinistra deviamo di nuovo a destra per una strada secondaria, via delle Serre, che nel tratto iniziale è ancora asfaltata.
Qui la salita si fa più dura. Si segue la strada che attraversando una frazioncina gira bruscamente a sinistra salendo sempre più. Intanto la strada è diventata sterrata. 
Quando si incontra il prossimo bivio si dovrà ancora girare in direzione della salita: e quindi prendiamo a sinistra facendo uno stretto tornante.
Si continua a salire inesorabilmente e poi ancora a destra costeggiando un gruppo di case fino a spuntare su una strada di nuovo asfaltata. Si prende a sinistra (via Malafrasca) e si comincia a scendere e a tornare (qui è importante sapere dove andare: tutto è collegato ma siamo sulle nostre gambe e non in auto...).
La discesa ben presto diventa veramente pendente e difficile. Si tiene la destra e si continua a scendere. Passato il bosco si vede sulla sinistra l’inizio di via delle Serre che abbiamo preso salendo, abbiamo ridisceso il muro ma al contrario. Se non avessimo preso via delle Serre avremmo fatto il muro diritto e saremmo rispuntati di lì. La sostanza cambia poco il muro resta tale, diritto o inverso.
A questo punto si torna a casa: dopo i primi 2,2km di piana avremo fatto circa 1,8km di salita “normale” e circa 1km di salita dura per poi scendere bruscamente poi in modo più piacevole con splendida vista su Firenze, e infine il tratto di piana, per un totale di circa 10km.

Io sono convinto di aver visto il cavallo verso la fine della salita, poco prima dell’ultimo bivio, però non ci giurerei, potrebbe essere un falso ricordo, e potrei invece averlo visto all’inizio di via delle Serre.
Comunque quando vedete il cavallo sappiate che state per morire. O quasi.