Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

martedì 24 aprile 2012

Recensione: Fulvio Massini, “Andiamo a correre”, Rizzoli, 2012


Premessa: in generale non mi fido dei manuali se non so chi li ha scritti. E' come affidarsi a un medico senza almeno sapere se è bravo o se ha guarito qualcuno: non intendo “curare” la mia mente con medicine inaffidabili. In questo caso il problema non si pone dato che conosco personalmente Fulvio Massini e ho avuto modo di verificarne la competenza oltre che la passione per la corsa. Stavo per dire "per questo sport" ma, come spiega lui fin dall'introduzione, la corsa è un qualcosa di più, che pervade tutta la nostra vita andando oltre l’attività sportiva in sé. E leggendo il libro lo si capisce bene.

Un’altra mia diffidenza per il manuale è che necessariamente non potrà essere completo, esaustivo dell’argomento. Anche questa seconda diffidenza viene dissolta da “Andiamo a correre” che è un ottimo compendio. Va bene per il neofita anche se alcune parti le salterà, poi ci tornerà su dopo quando non sarà più un neofita. Va bene per il runner esperto: anche se molte cose le avrà già lette in articoli dello stesso Fulvio su Runner’s World o gliele avrà già sentite dire a voce, finalmente avrà un luogo in cui  tutto è sistematizzato e potrà ritornarci con comodo.
A rendere completo il manuale poi ci pensa un’ottima bibliografia: è importante per due motivi: dichiarare con precisione le proprie fonti, oltre a dimostrare un approccio scientifico, avvalora le tesi sviluppate e lascia la possibilità al lettore di continuarne l’approfondimento, anzi lo incoraggia.

È un libro che si può leggere oltre che consultare. La scrittura di Fulvio è molto facile, sembra di sentirlo parlare, è quindi semplice lasciarsi guidare anche in argomenti che semplici non sono. Traspare anche un entusiasmo che contagia e meraviglia: la corsa non è il suo lavoro, è davvero la sua passione.

In un libro, la prima cosa che mi intriga è l’indice che cerco di leggere per conto suo, come una poesia, un manifesto d’intenti del libro stesso, meglio di un’introduzione. E questo non mi ha deluso:

1. La tecnica di corsa
2. Scarpe e abbigliamento
3. Allenarsi a correre senza correre
4. I test per la corsa di endurance
5. Come allenarsi
6. I mezzi di allenamento
7. L’allenamento per i principianti
8. Programmi di allenamento per le brevi, la mezza e la maratona
9. Mangiare e bere per correre
10. Allenamento mentale
11. Gli infortuni del podista
12. I ragazzi e la corsa
13. La donna e la corsa
14. Il runner dai capelli grigi
15. Prima di tutto: la salute
16. Gli accessori dei corridori

Lo scorro di nuovo e, con questa scusa, ne vado a rivedere le varie parti. In realtà non le ho lette in ordine e adesso mi pare di riscoprirle sotto una luce diversa, ne vedo chiaramente il filo che le lega. 
Inutile dire che il capitolo 1 è fondamentale, sicuramente la base: non si può non cominciare da lì e infatti è messo - ovviamente - per primo. 
Però poi, per cominciare a correre, non si può parlare degli strumenti essenziali e quindi il secondo capitolo è imprescindibile. E così via: il manuale è tutto essenziale per poter correre da zero a una maratona. Al limite il runner già esperto può saltare il capitolo 7 dedicato espressamente al neofita. 
Il culmine è, a mio parere, rappresentato dal capitolo 10 dedicato all’allenamento mentale: difficile trovare qualcuno che affronti tutte le sfaccettature di un tema, la corsa, dando a ciascuna, se non eguale, almeno l'importanza che le spetta. E trattare la psicologia con pari considerazione degli aspetti fisiologici e meccanici è, se non innovativo, almeno inusuale e assai utile: soprattutto nella corsa sulla lunga distanza può valere più una adeguata preparazione mentale che un allenamento specifico. Lo sa bene chi ha provato, se non una maratona, almeno una mezza.
Poi, una volta imparato a correre, si deve inevitabilmente fare i conti con gli infortuni, a cui è dedicato un ampio capitolo, con l’intento di riconoscerli (cosa meno ovvia di quanto sembri), curarli e, possibilmente, evitarli. 

Seguono considerazioni su temi legati al corridore con le sue specificità di età e sesso, per finire con una parte dedicata alla salute, come a chiudere il cerchio: si corre per stare bene e si sta bene correndo, ad ogni età. 
Infine gli accessori, che, a dispetto del nome, spesso sono vitali, ognuno a suo modo, come il cardiofrequenzimetro o il portaborraccia, o, pur non essendo indispensabili, cambiano la qualità della vita di un runner, come per esempio il gps che svincola dai percorsi misurati dando libertà pur tenendo conto di tempi e distanze, cibo primario del runner.

Certo, un manuale per quanto sia completo non può sostituire un allenatore, manca l’interazione tra due soggetti, l’allenato e l’allenatore, la personalizzazione dell’allenamento, le modifiche in corso d’opera a seconda di come un runner reagisce a un certo lavoro, manca appunto il lato umano e personale.  Però questo libro può servire, a chi non si prende abbastanza sul serio da rivolgersi a Fulvio direttamente, per cominciare a capire come muoversi. Chissà che poi non si senta anche di chiamarlo e di farsi guidare, di farsi portare per mano da lui: il bello di Fulvio è che si rivolge all'atleta e al principiante con la stessa serena competenza e ingenua passione.


Una altra cosa che mi piace molto di questo libro: ogni capitolo termina con un paragrafo “Conclusioni”.

Conclusioni: un libro leggibile, un ottimo manuale, un utile strumento. Non è l'ennesimo libro sulla corsa. Bravo Fulvio.

domenica 22 aprile 2012

La bolla speculativa della Bresaola (alimentazione: prima e durante la mezzamaratona)


Prima della Vivicittà di Firenze 2012 avevo toccato l’argomento alimentazione (“Sorpresa dopo l'uovo di Pasqua (un’altra riflessione sull’alimentazione)”). In particolare mi ero posto il problema della colazione ("colazione leggera ravvicinata" o "colazione più abbondante ma anticipata") e optando per la seconda mi ero impegnato a testare su me medesimo il menù “carboidrati a basso indice glicemico +  proteine”.

Vediamo il risultato del test.

Premessa: non è la nostra vita cominci con la colazione della mattina, ovviamente c’è tutta la storia precedente e tralasciando eventi lontani (prima comunione, l’inter-rail dopo la maturità etc) mi pare doveroso menzionare pranzo e cena del giorno prima. Senza entrare in dettagli: pranzo abbondante con pasta e carne, cena con pizza e proteine (un etto di prosciutto crudo sopra la pizza, sotto gli occhi disapprovanti di mia moglie). Insomma: due pasti abbondanti senza però avere gli incubi o cinghiali sullo stomaco durante la notte.

Torniamo alla colazione: svegliandomi con fatica in modo da far colazione circa due ore prima, ossia alle 7.30, ho tostato due fette di pan carré ai sei cereali (andran bene anche cinque, ma nel più ci sta il meno... ma soprattutto vedo che hanno meno grassi...) mentre mi condivo 50g di bresaola con pepe, un filo d’olio e un po’ di limone (non per fare pubblicità ma le Sofficette sono di gran lunga più buone delle altre marche disponibili al supermercato). Ho mangiato il panino accompagnandolo con un espresso lunghissimo e del succo d’arancia.

Passiamo alla gara.

Prima della partenza, temporeggiando prima di denudarsi sotto la pioggia, ho preso il mio rituale caffè (importante individuare sempre un bar nei paraggi della partenza) e ho mangiato un PRE-GARA.
Vanno bene anche altri prodotti simile: si tratta di gelatina di frutta, ce sono altri specifici per la corsa ma sospetto che siano assai simili agli analoghi prodotti per bambini. E a conferma di ciò: sono veramente buoni! Quelli della Ethicsport alla pesca mi commuovono per la loro bontà, però è più difficile trovarli, all’Isolotto dello Sport mi pare che li tengano.
Lo scopo di questo “fruttino” è avere dell’energia (aggiuntiva a quella della colazione) rapidamente disponibile nella prima parte della gara.
Il caffè oltre a scaldarmi e a piacermi tantissimo a prescindere, ho letto in vari articoli sull’argomento che fa sentire meno la fatica e l’ho provato spesso soprattutto prima di un allenamento pomeridiano, magari dopo una pennichella...

Durante la gara: ho bevuto alla bell’e meglio un bicchiere di sali al ristoro dei 10km, ho ingurgitato metà di un minipack di ENERVITENE (qui non dico che sia buono perché non mi piace mentire) verso il 12° chilometro prima del tipico abbuiamento del 13°-14° chilometro, lasciandomene un’altra metà in caso di crisi verso la fine della gara.
Ho bevuto ancora un bicchiere di Sali al ristoro dei 15km. Infine, al 17°-18° km, sentendomi piuttosto stanco, ho provato a darmi una scossa con l’ultima metà del minipack.

Quindi: la colazione “pane integrale e bresaola” ha passato l’esame, dato che l’ho digerita senza problemi e non mi è mancato il carburante durante la gara.
Pertanto contribuisco anche io alla bolla speculativa della bresaola!...

Ovviamente ribadisco: la colazione è solo un mattone, va curata anche l’alimentazione del giorno prima e soprattutto durante la gara: bere reintegrando sali a sufficienza e aggiungere del carburante almeno verso metà gara.
Quindi per quanto mi riguarda l’alimentazione per una mezza è “certificata”. Per la maratona è cosa ben più complessa e magari ne parliamo un’altra volta.
Prossimamente ci sarà modo di verificare le necessità nutrizionali per la 10km (GuardaFirenze e DJTen).


PS: l'altra sera a valle della presentazione del libro di Fulvio Massini "Andiamo a correre" (di cui parlerò in un prossimo futuro) chiacchierando a cena con alcuni compagni di corsa si è finiti a parlare della bresaola (se siete podisti non vi meraviglierete che si sia verificata una tale eventualità) ed è emerso che non è molto apprezzata. Sono rimasto stupito perché a me piace davvero fare colazione come ho descritto sopra. Secondo me il trucco è che io la condisco, ovviamente con pochissimo olio, qualche goccia a cui faccio fare il tour di tutte le fette, e abbondante limone... ammetto che ho taciuto il mio trucco: non volevo che mi si dicesse che non valeva e che la bresaola va mangiata "nature"...

venerdì 20 aprile 2012

Sotto la pioggia (con un trucco stupido che non è un trucco)


Qualche giorno fa una giovane collega e promettente runner ha ammesso vergognosa che domenica non era venuta alla Vivicittà perché... pioveva.
Comprensivo ho lasciato cadere l'argomento: non era il momento giusto per una lezione di corsa sotto la pioggia eppoi siamo in primavera e il bel tempo arriverà presto, quindi perché tormentarsi con la pioggia?

Già, correre sotto la pioggia. Perché e come?

Ora mi sembra una banalità, se c'è una gara certo mi scoccia che piova però neppure mi viene il dubbio se andare o restare a casa (a prendermi un secondo caffè, come aveva minacciato un altro caro collega sabato scorso).
Se invece si tratta di un allenamento, le remore sono più forti, il difficile è partire con la pioggia battente, la mia strategia è studiare il cielo e cercare di partire in una pausa e poi se ricomincia a piovere... ormai sono lontano da casa e già bagnato...
Comunque soprattutto per uno che si avvicina alla corsa possano esserci freni e difficoltà soprattutto psicologiche. Anzi tutte psicologiche: dov’è il problema fisico (a meno che non si tratti di un temporale)? Non vorrei apparire indelicato ma non penso che un po’ d’acqua abbia mai neppure ferito gravemente nessuno. Quindi si tratta di un fastidio fisico (le gocce di pioggia che ti battono addosso, l’eventuale abbassamento di temperatura corporea – freddo! sì) e di resistenze mentali (ma chi me lo fa fare?).

Supponiamo che la motivazione ci sia e che vorremmo andare ma abbiamo bisogno di attenuare gli inconvenienti. Contromosse possibili?
Con la moderna tecnologia e tutti i ritrovati in fatto di tessuti tecnici non ci dovrebbe essere problema a trovare qualcosa che fermi la pioggia, eppure non c'è giacchetto che tenga. Ne ho provati vari (evito di entrare nel dettaglio per non subire rimproveri in caso qualcuno a me molto vicino legga questo post), di resistenza, spessore, pesantezza diversi ma non funzionano: anche il migliore dei giacchetti da running (e perciò traspirante) dopo al massimo un'ora, un'ora e mezza è completamente mezzo, e non solo non frena la pioggia ma in più hai qualche chilo supplementare addosso da portare.
D'inverno capisco il cruccio ma in primavera o d'estate ne se può fare a meno: in ogni caso dopo poche centinaia di metri si crea un equilibrio tra il calore corporeo, il tessuto ormai bagnato, la pioggia che continua a batterci sopra e la ventilazione esterna tale per cui non è più necessario avere un ulteriore strato che cerchi di fermare la pioggia.
Eppoi, se un giacchetto è davvero impermeabile, come per esempio un k-way, allora non andrà bene comunque: in breve tempo saremo in una sauna che certo non è sopportabile sulla lunga distanza.
Un esempio in tal senso me l’ha fornito sempre domenica scorsa un'altro collega, assai veloce ma poco avvezzo a correre sotto la pioggia: poco prima della partenza la pioggia è intensificata e all'idea di stare mezz'ora a aspettare sotto la pioggia vedendo altri compagni di sventura indirizzarsi verso piazza Santa Croce con addosso dei giacchini antipioggia ha ritenuto normale fare lo stesso.
Certo per quella mezz'ora è stato al caldo e all'asciutto però poi dopo pochi chilometri (e peraltro ha smesso di piovere prima della partenza e a parte qualche intermezzo non è più piovuto durante tutta la gara) si è trovato a disagio e non sapeva dove infilare quel giacchetto peraltro piuttosto ingombrante...
In caso di gara diventa essenziale restare lucidi e astratti dalle sensazioni immanenti: suddividere il problema in fasi: pre-gara e gara. Per la gara: niente, per quanto riguarda l’abbigliamento si correrà come se niente fosse, a parte quanto dirò più avanti. Per il pre-gara: o avete tenuto l’impermeabile di nylon che danno alla maratona di Firenze e che avete avuto la fortuna di non dover usare oppure la sera prima sforbiciate abilmente un saccone dell’immondizia (io preferisco le buste di nylon trasparenti della lavanderia) creando un abitino senza maniche: sarà più che sufficiente a ripararci dalla pioggia e tenerci al caldo (a parte le braccia che restano scoperte... ma insomma, accontentiamoci!). La raffinatezza estrema la raggiungono a mio parere quelli che arrivano con quelle tute bianche da lavoro (qualcuno mi dice da restauratore, ma non so) di materiale simil-cartaceo con cappuccio incluso.

Ed ecco il tocco di genio, direi il trucco ma non è un trucco, è una banalità: basta un cappellino!
Che, attenzione, non serve a non bagnarsi la testa, figurarsi!, quella tra il sudore e la pioggia non c'è cappellino che tenga. No, serve esclusivamente per proteggere gli occhi e la faccia. Se avete provato a correre con la pioggia che ti picchietta acuminata sul volto, che ti costringe a chiudere gli occhi per il fastidio continuo dell’acqua che ti cola sul viso, capirete cosa intendo: basta un semplice cappellino purché dotato di visiera (tipo baseball per intendersi) ed ecco che, magia!, non senti più la pioggia in faccia ed è come se non piovesse. Occhio non vede cuore non duole: il resto del corpo, a meno che la temperatura esterna non si abbassi troppo, lo sopporterà molto meglio di quanto crediate: il punto debole è il viso e ovviamente gli occhi.

Tutto qui: provare per credere!

Mi direte: e c’era bisogno di tutto questo sproloquio per dirci questa banalità? Per voi magari era ovvio perché lo sapevate gia, ma foss’anco servito solo a convincere chi, come per esempio la giovane collega da cui sono partito, che magari non ha mai neppure provato a correre sotto la pioggia, ne sarebbe valsa la pena.

Ovviamente: evitate di uscire con una grandinata o sotto un temporale solo per darmi torto...

PS: ovviamente io di cappellini ne ho tutta una teoria, di colori diversi, abbinabili alle varie tenute...

PS2: considerando la pioggia e il sole battente, il cappellino diventa un accessorio essenziale per il runner per tutte le stagioni!


martedì 17 aprile 2012

Mai scordarsi di sorridere (in margine a una foto sulla Nazione)


Quando lunedì mattina Emanuele mi ha intimato via sms di comprare La Nazione ho immediatamente controllato sul sito. Ed ecco che tra le foto dell’evento di domenica, dopo il vicesindaco che dà il via, il vincitore, la vincitrice, ci sono io!...

Sembra che me la stia dando a gambe, tallonato da una torma di pericolosi inseguitori... e soprattutto che smorfia!
Uffa: basta foto in cui non sorrido O comunque in cui sembra che stia soffrendo. Manco i primi, che lo fanno di mestiere, sembra che soffrano o stringano i denti né fanno alcuna smorfia. Perché io invece sì?!?

Mi sono scordato di un insegnamento fondamentale. Sto attento all’appoggio del piede e ho dimenticato di sorridere! Vero è che non ci si può ricordare tutti gli insegnamenti: una volta assorbiti, non ci se ne rende neppure conto ma li mettiamo in pratica automaticamente. Ma appunto: una volta assorbiti! Evidentemente questo non l’ho assorbito bene. Eppure ne avevo parlato in modo convinto, non molto tempo fa (Tanti maestri, tanto onore)...

La questione non è venire bene in fotografia, quello è l’effetto secondario, no, l’effetto primario che vorrei è il sorriso in sé, se non il sorriso almeno un volto disteso, pur nello sforzo del gesto atletico (suona bene, anche se pomposo).
Ovviamente non si può lavorare solo sui sintomi, anche se da lì si può partire. E la causa è che non ero contento, non ero rilassato.

Già da domenica c'era qualcosa che non mi tornava: dopo la corsa, mentre chiacchieravamo rifocillandoci, ho carpito qualcuno dei miei colleghi che diceva “... comunque mi sono divertito”. Mi sono sorpreso, e mi sono chiesto “ma io mi sono divertito?”, e la risposta a malincuore, quasi vergognandomi, nel mio intimo, è stata “no”.
Perché? Mi chiedo, sul serio non per retorica?
Perché volevo rifarmi della brutta esperienza di Roma e quindi avevo una certa insicurezza?
Perché quindi ho corso CONTRO me stesso, perché avevo paura di non farcela?
Perché per la seconda metà ho corso da solo davvero (non mi ero reso conto che Giovanni era una decina di metri dietro di me)?
Perché ci tenevo a far meglio, o non far peggio, dei miei compagni?
Perché il risultato di una gara è diventato così importante per me? Quando poi, nel massimo del mio splendore, ho lottato per arrivare (senza saperlo) tra i primi 400...

Sempre dopo la corsa, un altro collega, che si è avvicinato alla corsa piuttosto recentemente, ha confessato affranto di aver fatto un brutto tempo e di essersi svegliato prestissimo per la tensione, dato che era la sua seconda gara importante.
Mentre cercavo di tranquillizzarlo riflettevo sul fatto che tutti noi investiamo, in modo diverso, in ogni nostra attività un’intensità, una partecipazione che può, se lasciata libera, deragliare, trascinarci fuori del buon senso e quello che è salutare può diventare addirittura nocivo.

Un altro collega più esperto e smaliziato, complimentandosi per il mio tempo, ha aggiunto sornione: “ora la sfida è scendere sotto...” indicando il mio prossimo obbiettivo. E' vero, ho pensato, è proprio dove potrei arrivare... e di nuovo ho sentito un campanellino tintinnare...

La morale? Giusto nuove sfide, giusto impegnarsi nelle attività che ci piacciono ma con la giusta leggerezza, senza aggiungere stress a una vita che solitamente stressante lo è già, con il piacere della compagnia e divertendosi. Lo so che il primo a dovermici impegnare con attenzione sono io, spero solo che averlo dichiarato apertamente mi sia di aiuto per tenere fede all’impegno.

Un facile memento: Ricordati di sorridere, perché se non stai sorridendo c’è qualcosa che non va!


PS: ma che belle scarpe verdi che ho!

sabato 14 aprile 2012

4.2.5 Sotto l'arco (non romano) e cava "rovescia"

Asfalto e sterrato / saliscendi / circa 10 km (giro)

Può essere una variante l’inizio del Bosco degli Elfi, che ne sostituirebbe una parte asfaltata con un tratto sterrato ma interessante, oppure della Cava. In questo secondo caso, partendo con l’Arco e continuando con la Cava (in senso inverso), si ottiene un percorso che ha una sua valenza individuale. È quest’ultimo quindi che vi descriverò rapidamente
Ad ogni buon conto per cominciare si arriva a Quinto Alto e si imbocca via di Fontemezzina come per iniziare il percorso del Bosco degli Elfi. Passo sopra la scritta "VIA DELLO STRAZIO E", sempre riflettendo su quale potrebbe essere la parola cancellata e perché è stata cancellata, arrivo alla sterrata sulla sinistra che sale dolcemente tra gli ulivi.
Dopo poche decine di metri siamo dietro la torre ristrutturata che avevo ammirato dal basso, passiamo sotto il ponte che, poggiando su tre piccoli archi a tutto sesto collega la casa al terrazzamento che si trova a livello del primo piano. 
I miei fantasiosi compagni di scampagnate hanno avuto l'ardire di chiamarlo "l'arco romano" ma penso che gli sia sfuggito così, perché suona bene e forse anche a causa dell'euforia della salita, comunque sebbene io riporti sempre i toponimi come me li raccontano loro, stavolta con un moto indipendentista stralcio il romano.
La strada sterza bruscamente a destra salendo costeggiando il bosco. 
Il fondo è piuttosto sconnesso: devo fare particolare attenzione ai grossi sassi che ingombrano il cammino.
Si continua a salire per poi scendere leggermente per spuntare sulla strada asfaltata che abbiamo percorso in direzione del bosco degli Elfi. 
Stavolta però la prendiamo in discesa tornando a valle per qualche centinaia di metri fino a trovare sulla nostra sinistra via di Tassinaia che altri non è che la fine del giro della Cava: lo percorriamo in senso inverso risalendo alla Cava e poi si torna a casa riscendendo giù per il percorso noto.

Alla fine la variante dell'arco è un modo per allungare il giro della cava, facendolo al contrario, tanto che alla fine sembra davvero di aver fatto un giro nuovo. 

giovedì 12 aprile 2012

Sorpresa dopo l'uovo di Pasqua (un’altra riflessione sull’alimentazione)

Dopo il pranzo pasquale, uovo benedetto compreso, ho approfittato del bel tempo e ho convinto mia moglie a farmi compagnia per un breve giro alle Cascine, io a corsa, in bici lei (qualcuno potrebbe obbiettare che una tranquilla passeggiata poteva essere una scelta più azzeccata: il mondo è bello perché è vario, ripeteva mia madre...).
In realtà volevo provare le scarpe nuove ma questo non è il tema della riflessione (anche se sono bellissime, ma ne ho già parlato abbondantemente altrove: La scarpetta di Cenerentola).
Il tema della riflessione è invece (di nuovo) l'alimentazione (si vede che penso spesso al cibo).
Torniamo all'inizio, al pranzo pasquale. Ho mangiato lautamente: dopo il consueto uovo sodo, ovviamente benedetto, antipasto a base di salumi toscani, tortellini al ragù, ripresi più volte, stracotto e coniglio arrosto con contorno di patate arrosto e spinaci saltati in padella (secondo piatto mangiato con moderazione, senza insistere). Fragole al vino (non le mangiavo così da almeno vent'anni, un ricordo di bambino), qualche bigné, il tutto accompagnato, come si suol dire, con un bicchiere di vino rosso e un po’ di spumante a finire, senza scordarsi di saggiare le svariate uova di cioccolato che sono state aperte in cerca di deludenti sorprese, caffè (un ringraziamento particolare a mia sorella Paola per la tradizionale prestazione culinaria). Niente ammazzacaffè: stavo bene così.
Tornato lietamente a casa, mi sono vestito (o meglio: spogliato) e nella brezza freschina del dopopioggia, con il sole che ancora illuminava il pomeriggio sono partito.
Embè? L’hai presa alla lontana, direte voi. Volevo solo contestualizzare e ricondurmi ai fatti per poi fare delle considerazioni.
Un altro fatto è che, a digestione ultimata (quando sono partito erano passate più di tre ore dal lauto pasto) ero così energetico che sono riuscito a correre 10km "a palla" senza alcun cedimento, nessun rallentamento, stabilendo il mio personale sulla distanza e quando ho finito ero stanco ma non distrutto.
Ho allora realizzato che non è la prima volta che nel tardo pomeriggio, magari dopo un riposino post-prandiale (in congiunzione con una temperatura opportuna) riesco in prestazioni superiori a quanto non riesca a fare la mattina prima o dopo colazione.
E allora?
Allora pensavo che, per esempio, tra le due scuole di pensiero: "colazione leggera ravvicinata" o "colazione più abbondante ma anticipata", forse varrebbe la pena di indagare meglio gli effetti della seconda. 
Lo so che quando si tratta di una gara c’è da considerare anche il fattore nervoso che influenza tutto, non solo la prestazione ma anche la digestione stessa, però domenica prossima, prima della mezzamaratona di Firenze, voglio provare a fare una colazione più consistente.
Per esempio Fulvio Massini (Rizzoli, 2012) suggerisce due fette di pane integrale con miele o marmellata (carboidrati a basso indice glicemico +  carboidrati a alto indice glicemico) oppure due fette di pane integrale con la bresaola (carboidrati a basso indice glicemico +  proteine) un paio di ore prima. Voglio provare il panino con la bresaola (che peraltro mi sono abituato ad alternare alle colazioni "dolci" e che mi piace molto) e vedere come reagisco, non solo come prestazione ma anche come necessità di nutrirmi durante la gara (di solito su una mezzamaratona, in gara, verso il 14-15° km comincio a vedere il cielo più scuro e devo aggiungere zuccheri).
Se ne riparla domenica. Dopo.

mercoledì 11 aprile 2012

4.2.4 Il bosco degli Elfi

Asfalto e sterrato / saliscendi / circa 10 km (giro)

Caratteristica costante di questi percorsi collinari è di avere 1 o 2 km di salita e altrettanta discesa. In questo caso la salita forse è più lunga rispetto ai vari muri già descritti e pure la discesa è pendente e lunga. Questo per rendere ragione di una difficoltà che la descrizione sintentica “saliscendi” non può trasmettere.
Come al solito il chilometraggio tiene conto della partenza dal Parco Lippi mentre per la descrizione partiamo da Quinto Alto imboccando la già menzionata via di Fontemezzina.


Dopo un  breve saliscendi e aver oltrepassato un ponticello si arriva a un bivio dove si opta ovviamente per la salita alla nostra sinistra. Davanti a noi la base di una torre fortemente ristrutturata con una sorta di pontile sostenuto da archetti a tutto sesto in mattoni che collega la casa al giardino terrazzato a ulivi adiacente.
Appena imboccata la salita non posso far a meno di leggere sull’asfalto in stampatello maiuscolo:
VIA
DELLO
STRAZIO
E
Solo che la riga dopo è stata cancellata e ho passato varie decine di metri a pensare a che cosa ci fosse scritto e soprattutto cosa ha spinto qualcuno a cancellare solo quella riga... era qualcosa di compromettente? Perché era forse un nome proprio? Ma che senso ha un frase del tipo “via dello strazio e Ilaria” oppure “via dello strazio e di Ilaria”? poi la stanchezza prevale e mi distraggo.
La salita è costante ma non eccessiva fino a un tornante al limitare del bosco: lì la cosa si fa davvero dura ma devo andare avanti, anche perché ho il mio tour operator che mi sta aspettando.


Dopo il tornante si nota sulla sinistra un sentiero che parte seguendo il pendio ma dalla parte opposta, verso la torre menzionata prima: va tenuto a mente, poi ne parleremo a proposito della variante dell’arco.
Usciti dagli alberi la pendenza si addolcisce leggermente permettendomi di rifiatare ma non posso rallentare per non perdere contatto con il gruppo.
Dopo aver superato un paio di casali ben restaurati, da dove la vista sulla piana è già notevole, la strada diventa sterrata e scende tra vegetazione bassa fino a traversare un torrente in secca e siamo di nuovo nel bosco risalendo sulla collina adiacente. È lì che vedo il piccolo accampamento che i miei fantasiosi compagni hanno definito “degli Elfi”. Sicuramente non ha niente a che vedere con le comunità dell’appennino che vivono in modo post-hippy: è poco più di una tettoia con delle coperte e qualche masserizia. Non si vede nessuno ma il rifugio non sembra abbandonato. Ovviamente tutto ciò l’ho osservato senza neppure rallentare: ci dovrò ripassare da solo per osservare con più calma: lo stesso vale per il resto del bosco e per i panorami che vedrò più avanti.






Si continua a salire ("un ultimo strappetto", mi rassicura la mia guida: ormai sono rassegnato ma speravo davvero che fosse finita già). A tratti intravedo un panorama su tutta la città e la vallata ma è un attimo. Passiamo un casolare abbandonato dove stazionano dei serbatoi e un vecchio compressore (Jenbacher Werke, leggo a voce alta). Incrociamo una mulattiera da cui stanno salendo due in mountain bike, noi siamo più in alto di loro e proseguiamo fino a spuntare su una strada asfaltata, via di Carmignanello, che prendiamo a destra per tornare giù.
























La discesa è ripida e è difficile far correre le gambe. Si spunta su via della Castellina.


































Si prende a sinistra per poche decine di metri dove si riconosce Santa Lucia della Castellina.
Si prosegue in discesa da lì dove ormai riconosco l’arrivo del muro di pietra che è più pericoloso da fare in discesa e cerco di passare ai lati sulla poca erba disponibile per evitare di slogarmi una caviglia sulla pietra irregolare della mulattiera
A questo punto siamo su un percorso noto e torniamo a casa (senza il pericolo di perdermi senza una guida).














Il giro totale si parte dal giro base verso Sesto e si riconnette al Muro di pietra per il ritorno. Tout se tient.
Ma che fatica!...

lunedì 9 aprile 2012

La scarpetta di Cenerentola

Voglio anche io una scarpetta di cristallo come Cenerentola!
Possibile che noi iperpronatori e pure pesanti a cui toccano le scarpe della categoria Massimo Controllo che sennò mentre trotterelliamo alle Cascine oscillando come birilli potremmo cappottare senza accorgercene, non possiamo avere che scarpe brutte? Ci avete mai fatto caso? Se non siete iperpronatori e pesanti, di sicuro no, però per noi la faccenda è critica. 
E ora vi spiego perché, partendo dalla descrizione (seria) che potete trovare su Runners’ World,  condivisa anche da Fulvio Massini nel suo ultimo libro (Andiamo a correre, Rizzoli, 2012).
Ritmi veloci – Gara: sono scarpe che pesano 200-250 g, hanno un dislivello tra parte posteriore e anteriore molto ridotto. Indicate per le competizioni e comunque adatte a runners con appoggio biomeccanicamente efficiente.
Ammortizzanti – Neutre: sono raccomandate per runners che necessitano di ammortizzazione e del minimo supporto mediale: chi ha archi plantari da normali a alti, un’azione di corsa biomeccanicamente efficiente o appoggia d’avanpiede o di medio piede. Chi ne ha bisogno può inserirvi degli opportuni plantari. Peso da 300 a 370 g.
Stabili: indicate a runners con leggera o media iperpronazione, generalmente con archi da bassi a normali, che hanno bisogno di un buon compromesso tra sostegno e ammortizzazione. Peso 320-370 g.
Massimo controllo: scarpe per runners con archi plantari bassi, una media o alta iperpronazione, che hanno bisogno del massimo controllo dell’appoggio nel retropiede e sono di una certa stazza. Peso: 350 - 390 g.

Passiamo adesso a un’analisi meramente cromatico e estetico.
Le scarpe da Gara, che la maggior parte di noi farebbe bene a non pensare neppure di provare, figurarsi comprarle e poi usarle, sono di solito di colori sgargianti: giallo fosforescente e arangione, bicolori in modo improbabile, rosso sparato, insomma di quelle che si vedono da lontano un chilometro, che nelle foto permetterebbero di riconoscerti anche tra mille altre paia di gambe. Ma solo pochi di noi le possono usare senza rischio di farsi male: in pratica è come correre con le infradito: sei a terra e senza protezioni...
Le Neutre hanno di solito design accattivanti, sia pure più sobri: possono essere anche bianche ma con rifiniture o con la suola di un colore vistoso o anche con colori a contrasto. La maggior parte delle scarpe da corsa casca in questa categoria e le aziende possono sbizzarrirsi nei loro modelli più venduti, anche perché dedicate alla fetta di mercato più ampia. Sono quindi belle e non c’è che l’imbarazzo della scelta. Purché non si abbia i piedi piatti...
Poi le Stabili, che sono ancora più sobrie: sulla tomaia bianca si disegnano righe e simboli rossi o blu con al massimo qualche piccolo inserto arancione ma basta lì. Non sono tutte uguali, da marca a marca possono essere più o meno antipronazione, alcune le potrei anche usare: lo capisco dopo qualche decina di chilometri, soprattutto consecutivi: se non insorgono dolori alle ginocchia o alle caviglie, hanno passato l’esame.
Quando si arriva alle Massimo Controllo la situazione è imbarazzante: quasi tutte le aziende ne hanno al più un modello e inesorabilmente con uno stile sobrio, quasi si volessero camuffare da scarpe da passeggio o comunque per persone serie che non possono avere arlecchinate ai piedi. E non sto esagerando: del modello con cui corro meglio, le Nike Structure Triax (a malincuore: ho una sorta di idiosincrasia per le Nike da running), l’ultimo paio che ho comprato è addirittura interamente grigio con il baffo nero e la suola bianca: sembrano delle scarpe da ginnastica per un anziano zio che, non avvezzo a certe diavolerie, ha comprato la cosa meno imbarazzante da portare sotto dei pantaloni con la piega...

Detto ciò ero molto triste, perché mi sentivo (e mi sento) vittima di un complotto internazionale.
Però avevo una variante che mi permetteva di avere un approccio più sfarfallone: avevo deciso giusto una settimana fa (Illuminazione mattutina durante un lunghissimo) di dedicarmi a percorsi più brevi, dalla mezza ai 10km, e quindi potevo anche avventurarmi a considerare qualche Stabile (no, una Neutra addirittura, no).
Con la scusa di accompagnare mia moglie a vedere una svendita in un negozio all’Ipercoop di Sesto, all’ultimo momento l’ho salutata gentilmente: “Ci vediamo tra un po’: tu intanto guarda cosa c’è di bello, io vado da Decathlon...”
L’ho colta alla sprovvista ma il negozio cui anelava era lì che l’attendeva: non ha opposto resistenza e io ero già entrato da Decathlon a passa di marcia.
Cos’è il genio: colpo d’occhio, immaginazione e rapidità d’esecuzione!...
Arrivato al corridoio del Running ho avuto una sorpresa che mi ha fatto tornare bambino: quando entravo in un negozio di giocattoli e vedevo davanti a me tutti i giocattoli che avrei potuto desiderare e non sapevo da che parte cominciare, li avrei voluto quasi abbracciare tutti per evitare che me ne sfuggisse qualcuno dallo scaffale.
Dovevano appena aver riassortito il settore: c’erano moltissimi modelli e di ciascuno tutti i numeri fino al 47...
Sì perché ce le ho proprio tutte: iperpronatore, pesantuccio e con un 45 che da running diventa un 46,5...
Insomma ho cominciato freneticamente a selezionare i modelli che avessero un supporto mediale (la suola all’interno in corrispondenza dell’arco è di colore grigio e di consistenza diversa) e che fossero, possibilmente, di un colore brillante: al terzo paio che ho prelevato, la folgorazione: verde fosforescente con le righe e la linguetta di un azzurro intenso che facevo quasi fatica a guardare...
Le ho provate confrontandole anche con scarpe Massimo Controllo e Stabili: indubbiamente sono solo Stabili ma come anticipato nella mia testa avevo già pronta la giustificazione: perfette per distanze brevi per la mia rinascita primaverile...

Anche se non sono sfavillanti come quelle da gara, sono bellissime! (e le Nike da vecchio zio, le vedete?)
PS: ovviamente qualcun altro non si era affatto stupito di vedere arrivare un  grande bimbo sorridente con un sacchetto Decathlon ben poco misterioso.

PS2: oggi pomeriggio le ho provate: a me è sembrato di andare più forte del solito e pure il mio Garmin era stupito!...

domenica 1 aprile 2012

Illuminazione mattutina durante un lunghissimo


Sabato mattina ho girato Firenze in lungo e largo facendo un ultimo lunghissimo.
Giusto per capirci, per “lunghissimo” io intendo un allenamento che va oltre i 28-30km (e di solito sotto i 37km) fatto a andatura tranquilla, che permetta di chiacchierare. Infatti è meglio avere compagnia quando si vuol scorrazzare per tre ore.
L’obbiettivo di questo lunghissimo era verificare la possibilità di fare una maratona “primaverile” (non torno sulle motivazioni, avendone già scritto di ritorno da Roma...): Milano il 15 o Padova il 22 Aprile.
Mentre con Ema stavamo ritornando verso Firenze da Rimaggio, per poi attraversare il ponte di Varlungo in direzione Coverciano, ho avuto un’illuminazione: “Né Milano né Padova, - ho detto a voce alta, - ci potrebbe essere una terza via: la mezza di Firenze!”
Senza lasciare il tempo a Ema di ribattere, ho proseguito: “non sto andando male ma lo so che oltre i trenta soffrirò, figurarsi un’intera maratona... non ho già voglia di soffrire! Vorrà dire che verrò a romperti le scatole alla mezza!”
Scherzi a parte: avere un obbiettivo è una scusa, un pretesto, uno stimolo per gli allenamenti, soprattutto per i lunghi. È bello soprattutto quando condividi tutto questo con degli amici, come è successo per Roma: ho avuto modo scambiare impressioni, sensazioni, pensieri oltre che con Emanuele anche con Giovanni e Luigi durante le nostre uscite in pausa pranzo o nel fine settimana. 
Adesso si tratta solo di orgoglio ferito: che altra motivazione per andare a Milano o a Padova? 
Non sprecare mesi di preparazione? Ma io sono contento e non ho sprecato nulla anche perché non mi sono stressato minimamente (a parte la tensione prima della gara e la disdetta post-gara).
A me piace anche fare gli allenamenti lunghi come appunto quello di sabato, perché così ho due o tre ore per chiacchierare in pace con un amico, di corsa ma anche di vita.
Se però mi rendo conto che lo sforzo per fare quegli sporchi ultimi dieci chilometri sarà una sofferenza e basta allora pazienza: corro per stare bene, divertirmi e stare in compagnia.
Quindi mi sento in pace con me stesso e lascerò la prossima maratona, in shaa allah, al prossimo autunno.
Adesso la parola d’ordine è “velocità”! Solo restando in Firenze abbiamo la Mezzamaratona il 15 aprile e le 10km di maggio (Guardafirenze e DJTen). 
Ci vediamo.