“Russi: vai su!”
È una parola d’ordine,
un segnale concordato con Elena. Se cercasse di convincermi a girarmi o se mi chiedesse,
ingenuamente, – nel sonno – di smettere di russare, io – nel sonno – argomenterei,
direi di sì per poi restare a riflettere sul significato di quanto mi ha appena
detto amalgamandolo al mio sogno riaddormentandomi e ricominciando a russare.
Invece ecco la soluzione: Elena mi dà un ordine semplice e non soggetto a
interpretazione se non letterale: ‘vai su!’, e io, come un automa e senza
bisogno di svegliarmi completamente, prendo il mio guanciale e me ne vado a
dormire nella camera degli ospiti sul soppalco. Per ora funziona e l’istanza di
divorzio non è stata presentata.
Oggi si è
verificato un altro dramma che vede la corsa ancora causa e allo stesso tempo
teatro. Luigi, fido compagno di corsa, ha un paio di difetti. Chi non ne ha? E poi
si tratta di venialità, solo che nella ripetitività del gesto di correre e
probabilmente nel progredire della stanchezza, mi succede di diventare più
sensibile anche alle piccolezze.
Soprattutto i
primi chilometri, lui ansima. È solo una fase di “riscaldamento”, poi quando
entra a regime anche il respiro si fa regolare. Pazienza. Purtroppo però il
fenomeno si ripresenta nella fase finale, quando evidentemente la fatica si fa
sentire. Tempo fa ho provato a prenderla alla larga: “sai una cosa su cui
potresti lavorare? La respirazione! Potresti cercare di ritmarla di più, due
inspirazioni e due espirazioni al tempo con i tuoi passi, mentre in una fase di
recupero basterebbe passare a tre inspirazioni seguite da tre espirazioni”.
Ammetto che lui ci provò sul momento però poi probabilmente fare attenzione a
questo particolare lo distraeva dall’allenamento e dopo poco tornò ad ansimare...
Recentemente,
non so se è collegato al cambio di scarpe, ma me ne fa un’altra: sempre quando
è più stanco, striscia leggermente i piedi, facendo un fastidioso rumore nel
grattare l’asfalto con le suole.
Sulla terra
battuta questo rumore si fa anche più fastidioso e stamani nel silenzio stanco
del ventunesimo chilometro, quando ne avevamo davanti a noi altri sette, sono
sbottato:
“Luigi! Ansimi e
strusci i piedi!”
Ho cercato di
ricondurre il rimprovero a un consiglio maldestro:
“Sprechi un
sacco di energia!”
Poi non ho
retto: “e soprattutto rompi i coglioni a chi ti corre accanto!”
Ha accusato e
quanlche chilometro dopo ha protestato: “Ma ansimi anche tu!”
“Io soffio
espirando, stiamo correndo! Tu invece ansimi!”
Ero convinto di
aver ragione ma mi sono anche sentito come il genitore che si giustifica quando
viene sorpreso dal bambino a fare quello per cui li ha appena rimproverati.
Ma potrebbe
anche assomigliare a uno di quegli eterni e immaturi bisticci coniugali...
La morale me la
risparmio.
Ah, a scanso di
equivoci, ogni riferimento a persone realmente esistenti è non casuale e l’intenzione
è chiara: Luigi se non smetti di ansimare e di strusciare i piedi non vengo più
a correre con te!
(Questa mi
ricorda quando si andava ai giardini da piccoli... sarà la vecchiaia: sto inesorabilmente
rimbambinendo)