Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

sabato 3 dicembre 2016

La petite bibliotèque du coureur (recensione snob di un libro che non leggerete mai)

Anche questo è un libro trovato senza cercarlo, in una accogliente libreria très engagée, di quelle dove trovi i libri appena usciti con le recensioni scritte a penna dai vari commessi. Siamo nel Marais alto, proprio accanto al marché des Enfants Rouges, a Parigi (partenza assai snob, potete anche fermarvi qui e mandarmi a quel paese, vi capirei).
Visto che persistete, aggiungo che è uscito solo in Francia e pertanto non è disponibile italiano (uh, ma allora insisti!...).
Termino la premessa intimidatoria ammettendo che non sono manco riuscito a leggerlo tutto e dopo averlo tenuto per mesi sul comodino, dove è stato affiancato e superato nel frattempo da altre decine di compagni (e concorrenti), mi sono rassegnato a sfogliarlo beccheggiando qua e là dei brincelli.
Il curatore ha effettivamente fatto un lavoro pazzesco: partendo dall’Iliade e passando per I tre moschettieri, senza trascurare Virginia Woolf e Hernest Hemingway, ha rintracciato non solo i libri che parlano, sia pure in parte, della corsa, ma ha scovato anche gli accenni più reconditi a un gesto che possa essere denominato corsa.
Si tratta quindi di una raccolta di estratti (di lunghezza variabile da una a una decina di pagine) da 42 opere, ognuno preceduto da una breve nota del curatore, che non si presta a una lettura continuativa. Inoltre molti dei brani, allorquando si scopre il riferimento alla corsa, lasciano una sensazione di delusione per la limitatezza dello stesso.
Tra i libri più recenti menzionati ho apprezzato la presenza di Crampi di Marco Lodoli ma ho notato anche pesanti assenze di cui sono invece fiero (una su tutte: Via della Trincea)

Mi verrebbe quasi da inviare al curatore il link alla mia piccola “Biblioteca del runner” per una sua futura revisione… Resta comunque indiscutibile che ha fatto un gran lavoro di ricerca.

La petite bibliotèque du coureur
Bernard Chambaz
Flammarion
2013


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mercoledì 16 novembre 2016

“Due ore” di Ed Caesar (recensione)

Questo non è un libro che si cerca, è un libro che si trova. E l’ho trovato in una piccola libreria indipendente mentre cercavo tutt’altro.
La copertina è bella: un uomo di colore, snello, le braccia aperte in posa quasi cristica, con vistose scarpe rosse, si staglia sulla candida pagina bianca mentre la sua canottiera vi scompare.
Titolo breve ma evocativo: “Due ore”. Il sottotitolo, per chi avesse avuto ancora dei dubbi, chiarisce anche fin troppo: “Alla ricerca della maratona perfetta”. Se non fosse stato pubblicato da Einaudi non lo avrei neanche preso in mano, pensando all’ennesimo manuale di allenamento esasperato.
Non è un manuale. È saggistica ma si legge come un romanzo. Quando comincio a leggere questi tipi di libro, come anche per esempio “Born to run” di Christopher McDougall o “Open” di André Agassi, mi dimentico che cosa sto leggendo, entro in modalità “lettura avida” e leggo fino a che non scopro chi è l’assassino o mi si chiudono gli occhi con il libro aperto sul petto. Questo è uno di quei libri. Bisogna saperli scrivere questi che mi viene da chiamare “reportage”, la prosa non deve essere imbalsamata come in un saggio serio, ma neppure troppo romanzata: i personaggi di cui si narra non devono essere troppo idealizzati da sembrare irreali.
Questo libro, pur mantenendo un andamento discorsivo, è un utile e esteso compendio di storia della maratona, di fisiologia della corsa, di biografie di grandi atleti, di storia delle olimpiadi, di storia tout court.
Ritengo che possa essere di interesse e di ispirazione per chi ha amato, ama o amerà questa sfida umana che è la maratona.
Non maratoneti astengansi.

Due ore – Alla ricerca della maratona perfetta
Ed Caesar
Einaudi
2016
http://www.einaudi.it/libri/libro/ed-caesar/due-ore/978880621339

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mercoledì 4 maggio 2016

Due chiacchiere? Fanno trenta chilometri, grazie.

C’è poco da fare, è tutto nella mia testa. Ci sono periodi in cui non corro se non con un obbiettivo, se non a medio o lungo termine almeno per quell’allenamento: andare veloci per otto chilometri, fare almeno ventiquattro chilometri a passo tranquillo. In altri periodi, non comuni lo ammetto, non ho voglia di fare nulla, nel senso che mi va di correre o di nuotare o di andare in bici ma senza sbattermi a pensare cosa fare e come farlo.
Un esempio recente. La mia attuale formazione tipo per l’uscita nel fine settimana è un trio con Ema e Filippo. È un trio familiare, lo scontato gruppo su WhatsApp è il mutuato “Correre in Famiglia”, e la peculiarità che siamo zio e nipoti mi permette di fare almeno cinque minuti di conversazione con chiunque: vai a spiegare che l’età media dei nipoti è sui quarant’anni come anche la mia età media tra anagrafica e intima, che uno è nipote vero mentre l’altro acquisito, che entrambi li frequento assiduamente in quanto runners mentre come semplici nipoti li vedevo ogni tre mesi quando andava bene, e che li conosco molto meglio adesso grazie alle distese chiacchierate durante i lunghi piuttosto che in anni di rapporti parentali tra una festa comandata e una vacanza marina. I cinque minuti sono già passati!
Tornando alla corsa nel fine settimana, era qualche settimana che non ci vedevamo tutti e tre insieme, una volta un paio di giorni fuori città io, una volta Filippo lavorava, un’altra volta Lorenzo aveva la partita di calcio e Ema lo doveva accompagnare.
Lo scorso fine settimana era doveroso accompagnare Filippo nell’ultima uscita prima di una maratona, ma lui poteva solo domenica mentre Ema poteva solo sabato. Quindi io ho fissato con Filippo domenica mattina, con l’idea di fare un po’ di bici il sabato mattina (mi vanterei di fare triathlon, mi vanterei). Però venerdì sera ho sentito Ema e ho buttato lì: ma se ci vedessimo alle otto e un quarto dopo che hai portato a scuola Sofia? Facciamo una corsetta breve, senza stress. Insomma sabato mattina abbiamo fatto un bellissimo giro per il silenzioso e rarefatto centro di Firenze prima che arrivassero i turisti e con i negozi di abbigliamento ancora chiusi, ho visto la tartaruga di Jan Fabre, ci ho fatto due giri intorno per vederla bene, ci siamo raccontati storie di quando ancora non ci conoscevamo e eravamo persone diverse da quelle a cui siamo abituati. Undici chilometri.
Poi domenica mattina una bella chiacchierata con Filippo, finita con sorpresa all’ultimo chilometro ma non si può dire perché è ancora quasi un segreto. Tanto ero concentrato sulle chiacchiere che ho sbagliato i conti, e il nipote si fida troppo dello zio: i quindici chilometri sono diventati diciannove.
Totale: trenta chilometri, senza obbiettivi.
Anzi no, l’obbiettivo l’ho raggiunto: ho fatto due chiacchiere!
Quando Filippo ha saputo che la mattina prima ero andato a correre con Ema ci è rimasto male.

La morale? I chilometri non sono tutto, certe volte ci vogliono un po’ di chiacchiere in più.

martedì 29 marzo 2016

Grazie a una coda di cavallo e a un nerobarbuto ho ripreso a scrivere (di corsa): lector docet.


Qualche tempo fa un'affezionata e attenta lettrice mi fece notare che ultimamente non scrivevo più, almeno di corsa. 

Io non obbiettai e l'attenta lettrice proseguì nella sua analisi: "forse perché non corri o corri meno o corri con meno interesse". 
La prima reazione fu quella di negare, non c'entra niente, non è vero, sto correndo. Però mi controllai, e mentre sorridevo cercando una risposta spiazzante, in pochi secondi mi è ripassata davanti tutta la mia formazione, il compianto maestro (anche se lui non lo ha ovviamente mai saputo) Umberto Eco, quando più di vent'anni fa decisi di leggere tutti i suoi saggi capendone una frazione minima, bastò però a farmi capire che è il lettore a avere sempre ragione e che l'autore una volta resa pubblica la sua opera ha perso ogni diritto che non fosse già nelle parole scritte (per chiudere la parentesi, se proprio dovessi consigliare un solo libro, suggerirei Lector in fabula, sebbene piuttosto tecnico), le mie fissazioni sul fatto che dell'autore reale non ci deve interessare alcunché ma solo di quanto leggiamo. Ed eccomi là, autore reale, di fronte a un lettore. Colto non da umiltà ma da fastidio risposi: "Sì e no. Sì, può darsi che tu abbia ragione (l'orgoglio mi impediva di darle pienamente ragione): in seguito a vari piccoli infortuni ho corso meno in questo periodo e senz'altro con minore soddisfazione e quindi, forse, con minore ispirazione per la scrittura. No perché ho comunque corso regolarmente: forse ho scritto meno di corsa ma avuto modo di scribacchiare di altri argomenti."
Detto ciò restava comunque il fatto che negli ultimi mesi ho scritto davvero poco sulla corsa. 
E questa breve discussione, in tutto due frasi (la lettrice non ha potuto visualizzare tutta la digressione interiore che mi aveva incautamente causato), mi era quasi sfuggita di mente. Se non fosse che oggi, lunedì dell'angelo, dopo varie ore di guida, un pranzo frugale, un riposino iniziato per caso e prolungatosi per due ore, avendo poco tempo prima di cena ho deciso di fare una quindicina di chilometri in agilità, per mettere alla prova i vari miei pezzi (soprattutto piedi e caviglie) ancora sotto osservazione.
Sono partito con allegria e convinzione: mi sono accorto solo dopo circa un chilometro che non mi era neppure venuto in mente di prendermi le cuffiette per distrarmi con la musica: non avevo alcun bisogno di distrarmi, volevo proprio correre e sentire me stesso.
Dopo sette chilometri stavo reggendo bene ma iniziava una fase rischiosa: in questo periodo riesco a correre a ritmo sostenuto solo per tratte brevi: otto, dieci chilometri, oltre non si sa, quindi ero a rischio "flessione", quando mi sorpassa, lentamente ma inesorabilmente, una giovane ragazza, a occhio poco più che ventenne, sobriamente vestita,  che mostrava un passo molto disinvolto e una coda di cavallo che ondeggiava ritmicamente un passo a destra e uno a sinistra. Ça va sans dire che ho cercato di resistere e, una volta lasciatole qualche metro di vantaggio, ho forzato per mantenere la distanza con un minimo di onore, sia pur ferito, quasi ipnotizzato da quella coda di cavallo (alcuni miei lettori, di sesso maschile, a questo punto avranno già un sorriso ebete e penseranno di ben interpretare queste ultime parole come un'ironica metafora: ebbene no, stavolta i lettori si sono sbagliati, ipotizzando che l'autore teorico, nonché quello reale, fossero attratti da ben altra parte, non foss'altro che per la semplice ragione, nel testo lasciata in ombra, che la giovane ancorché atletica non era particolarmente ben formata nella sua parte posteriore. L'autore reale si scusa con le lettrici ma, purtroppo, è la verità. Tornando alla corsa: ho retto abbastanza bene finché dopo circa un chilometro la fanciulla ha rallentato e invertito il senso di marcia. Io sono sfilato senza neanche guardarla, ho solo pensato: e adesso me la devo cavare da solo e mi mancano ancora sette chilometri.
Mi sono distratto facendo un po' di conti su fino a dove sarei dovuto arrivare per poter poi rientrare a casa completando precisamente i miei quindici chilometri in modo da evitare di dover allungare alla fine quando sarei stato stanco e quindi soggetto a cedimenti psicologici che poi avrei rimpianto. Verso il dodicesimo chilometro cominciavo a sentire le gambe appesantite e l'oscurità che seguiva il tramonto si adattava al mio stato d'animo: tutta l'allegria e la convinzione erano incredibilmente evaporati. Quando si immette alla mia sinistra un uomo magro, barbuto e di nero vestito che sembra avere un buon passo oltre che il giusto physique du rôle: lo affianco e gli chiedo: "Ti posso fare compagnia per un po'? sono stanco". Lui accetta di buon grado e aumenta pure l'andatura per aiutarmi a tenere il passo che stavo invece rallentando: abbiamo chiacchierato per circa un chilometro e mezzo a una velocità ben superiore a quella mia allegra iniziale tanto che l'ho salutato ben volentieri per far rotta verso casa, rallentando ma sia pur sempre mantenendo un passo decente.
Ho finito il mio allenamento improvvisato molto soddisfatto e grato per la disponibiltà e l'aiuto che tra runner non ci neghiamo, anzi ci doniamo con gioia. Consciamente: il nerobarbuto, inconsciamente: la giovane dalla coda di cavallo. Ma tant'è: ho corso bene e con ispirazione ed eccomi qui!
Aveva ragione la lettrice. Come al solito.
    

mercoledì 6 gennaio 2016

La Forza? No: la Corsa sia con te!

Avevo calcolato tutto: il film, l’ultimo episodio di Guerre Stellari ovviamente, dura due ore e un quarto, all’uscita avrei avuto quarantacinque minuti per arrivare dal concessionario, prima che questi chiudesse, per riprendere lo scooter. Avevo studiato il percorso con google map e ne avevo avuto conferma sul sito dell’Ataf: bastava fare cento metri a piedi, prendere un bussino che in sedici minuti mi avrebbe lasciato a poche centinaia di metri dalla meta, il tutto in solo ventidue minuti. Tenuto anche conto che il bussino seguente sarebbe passato dopo sette minuti, ce l’avrei fatta con un quarto d’ora di comporto. Perfetto. Però un segno avrebbe dovuto allertarmi, forse una corsa del 17 saltata e ero arrivato al cinema all'ultimo minuto e dopo una camminata forzata. Una volta seduto e riposatomi, mi rendo conto che il film sta cominciando dieci minuti in ritardo. Ce la faccio ancora. Intervallo. Intervallo? Sì, e tra parentesi sta scritto: cinque minuti: esaurito il quarto d’ora di comporto. Se non manco il bussino ce la faccio ancora. La ragazzotta nuova porge la spada laser a un incappucciato sulla montagna a strapiombo sul mare (è uno spoiler? No, non ho detto che l’incappucciato è Luke Skywalker da vecchio, ossia Mark Hamill adesso). Esco senza vedere i titoli di coda, peccato, è un rito leggerli fino alla fine, ringraziamenti e musiche comprese, ma non c’è tempo. Cammino rapido, arrivo alla fermata e scopro che il bussino arriva in due minuti: ventidue più due, ventiquattro, mentre io ne ho ancora ventotto per arrivare in tempo: ce la faccio ancora. Il bussino arriva e riparte tranquillo. Poche decine di metri ed ecco la prima difficoltà: attraversare il flusso semaforico di via della Scala dove l’auto che non è riuscita a passare con il verde non desiste e fa quel metro con il giallo che impedisce al flusso perpendicolare, ossia a noi, di passare al proprio verde... ci vogliono un paio di verdi per passare il guado. La scena si ripete pochi metri dopo: il pullman che esce dal deposito non ci lascia passare e resta incastrato davanti al nostro bussino visto che la sua corsia non scorre. In pratica ogni verde a un semaforo qualunque nel circondario corrisponde allo spostamento di una casella di una vettura in fila, non si sa quale, dipende dall’astuzia e dalla forza (con la effe minuscola) dei singoli guidatori. Abbiamo davanti a noi un altro semaforo per passare il quale ci dovremmo addirittura inserire nello stesso flusso di chi viene dalla nostra sinistra: quando finiscono di passare loro dovremmo entrare noi ma non si crea il vuoto e quando scatta il rosso è chiaro che non abbiamo alcuna speranza di farcela neppure al verde successivo. L’autista misericordioso ci apre le porte per permetterci di proseguire a piedi. A quel punto ho venti minuti alla chiusura, google map mi dà una percorrenza a piedi di ventisette minuti, l’unica possibilità è correre. E io corro: ho memorizzato il percorso sulla mappa, normalmente cercherei conferma ad ogni angolo per essere sicuro che sto percorrendo la traiettoria ottimale ma stavolta no, so dove andare e conosco queste strade a memoria, non solo in modalità “cammino” o “turismo” ma anche in modalità “corsa” (tanto che un tempo lontano avevo ipotizzato un’iniziativa che non si è poi concretizzata “Firenze: Giro turistico della città”).
Dalla stazione a via delle Casine, dietro a Santa Croce, per una passeggiata mi sembrerebbe una distanza notevole ma so che a corsa saranno dieci, quindici minuti. Ce la posso fare. Parto, sorpassando rapido tutte le auto in coda per la stazione e attraverso il flusso all’altezza del bar Deanna (non esiste più, ma è come dire davanti al Gambrinus, è la vecchiaia). Via della scala. Sono vestito pesante, pantaloni di velluto, piumino, e ai piedi delle solidissime Camper. Piazza Santa Maria Novella. Non rallento come mi verrebbe spontaneo con il sorgere del fiatone ma sono in modalità corsa, il respiro si adatta al ritmo, il passo è costante. Imbocco via del Sole. Oltretutto è un tardo pomeriggio nel periodo natalizio, per il centro sciamano lenti flussi di turisti e di fiorentini alla deriva. Corro. Non mi fermo ai segnali stradali. Via tornabuoni. Qui la densità è critica. Borgo Santi Apostoli. Non rallento per scansare le persone, aggiusto la traiettoria in modo ottimale, la Forza è con me. Il piazzale degli uffizi, sterzo a sinistra, sembra sempre di essere controcorrente. Via de’ neri. Oramai ci sono, ma non guardo l’orologio. La Biblioteca Nazionale, manca poco. Scendo per via delle Casine senza rallentare anche se sono stanco, anzi cerco di forzare l’andatura in prossimità dell’arrivo. La luce del concessionario è ancora accesa ma non mi fermo voglio avere qualche minuto di margine. Quando entro mancano ancora dieci minuti alla chiusura, ne ho impiegati solo dieci per percorrere due chilometri e mezzo. Ritiro lo scooter. Ce l’ho fatta. Grazie alla Forza. Anche. Se non fossi stato in uno stato di esaltazione indotta dalla visione del film non avrei pensato possibile l’impresa. Ma soprattutto grazie alla corsa: se non fossi stato allenato non ce l’avrei fatta, nonostante la Forza.
La morale? Che la Corsa sia con voi!

PS: ovviamente, dopo, era da strizzare pure il piumino.

domenica 11 ottobre 2015

Breakfast overrated? Not at all! (La colazione prima del lunghissimo: una dolorosa riflessione)

Se dicessi che la colazione è sopravvalutata, lo so già che molti di voi, se non tutti, storcererebbero la bocca, anzi la state già storcendo, guardate che poi vi rimane la bocca storta! O almeno così mi diceva la mamma da piccolo.

Tutto è cominciato davanti alla macchinetta del caffè l’anno scorso, chiacchierando con un ultra-runner inflessibile e espressione massima di understatement. Mentre io ammettevo, a maratona fatta (e fatta male) che il mio problema continuava a essere la crisi del 30° (o addirittura del 25° se allenato poco) chilometro, quando chiaramente accadeva qualcosa di irreversibile nel mio fisico. Oramai è conoscenza comune che si tratti del cambio di combustibile da un mix a predominio di glicogeno a un mix di quasi soli grassi allorquando la scorta di glicogeno si è esaurita (e ci sono calcoli abbastanza ragionevoli per calcolare quanto glicogeno si può accumulare in base al proprio fisico e quanti chilometri sono necessari per esaurirlo, guarda caso comunque intorno al trentesimo chilometro).
Il trucco sarebbe quello di abituare il proprio fisico a consumare un mix di glicogeno e grassi fin da subito in modo da consumare più lentamenti il primo e quindi posticiparne l’esaurimento.
Sì perché l’altro trucco di fare dei rabbocchi in corsa non dà risultati garantiti, dipendendo dai tempi di assimilazione da parte del nostro fisico, e comunque l’apporto energetico aggiunto è molto limitato rispetto alle necessità in corsa (in base ovviamente alla nostra corporatura).
Allora davanti alla macchinetta del caffè il “maestro”, lo chiamo così scherzosamente ma è una stima reale, mi dice: dovresti allenarti prima, durante i lunghi: non fai colazione e ceni leggero la sera prima...
Io sgranai gli occhi ma il ragionamento mi sembrò logico: l’esercizio non pretende di abbattere il muro, anzi cerca di attrarlo a me, per incontrarlo prima e imparare a conoscerlo, non garantirsi un gran vantaggio con colazione abbondante né cercare di allontanarlo con palliativi (gel).

Mesi dopo...
La prima prova con un 25km. Poi la conferma con un 28km. La fame non si avverte, se non un accenno, in un qualche momento tra il quindicesimo e il ventesimo chilometro, che però sparisce presto. Nessun calo se non, come per me abituale, quello fisiologico negli ultimi chilometri, quelli eccedenti il lungo precedente, nel caso di un 28km se la domenica prima ne avevo fatti 25, è quasi matematico che al ventiseiesimo chilomentro rallento senza quasi accorgermene.
È allora che la presunzione ha preso corpo e ho cominciato a vantarmi con gli amici: io faccio i lunghi senza mangiare né prima né durante...
Quando poi programmo trenta chilometri e dopo venti mi si spengono tutte le lucine e mi trovo a procedere a andatura lenta per altri dieci chilomentri e mi rifiuto di estrarre il gel che mi sono portato dietro per sicurezza, come conforto psicologico, non si sa mai, potrei fermarmi in aperta campagna quando finisce la benzina, dimostro che la mente è forte e mi fa resistere (il gel resta nel taschino) mentre la carne, come nei più triti luoghi comuni, è debole e si conferma tale. Spero soltanto che questi dieci chilometri di passione, la vibrazione del Garmin al termine di ogni chilometro cos’è se non la successiva stazione di una laica via crucis, testimonianza della sofferenza passata e presente e occasione di sollievo perché la fine si sta avvicinando, spero soltanto - dicevo - che questi dieci chilometri di passione siano serviti al mio corpo per abituarsi a funzionare con il combustibile più scarso, una volta che il buon glicogeno è terminato. Però se per bruciare grassi devo andare a un passo che non ha niente a che vedere con quello che stavo tenendo solo un attimo prima e finisco superato da chi fa jogging domenicale alle Cascine, senza offesa a chi fa jogging domenicale alle Cascine, forse l’allenamento non è stato così utile...

Dopo due settimane un altro trenta: stavolta ceno con abbondanza di carboidrati e proteine, a colazione, sebbene non abbia fame, ingurgito due fette di pane tostate con 50g di bresaola conditi con un filo d’olio e arricchiti da scaglie di parmigiano, il tutto fluidificato da una caffè lungo e un succo d’arancia mischiato a Pre-gara Ethicsport. E parto. Verso il diciottesimo chilometro mi succhio un gel enervit (anche stavolta senza sentirne alcun bisogno). Ai venti chilometri annuncio a Filippo e Ema: su, l’allenamento comincia adesso! Perché scuotono la testa? Poi verso il venticinquesimo chilometro vediamo in lontananza un famigerato cavalcavia: vedi Filippo quel cavalcavia? L’allenamento vero comincia lì! Con la coda dell’occhio vedo ancora teste che ruotano da destra a sinistra e viceversa.
Quando però all’inizio della salita breve ma brusca ho sentito l’energia di forzare l’andatura e poi dopo la discesa riesco a mantenere un passo più sostenuto ho capito che qualcosa era cambiato.
Certo in queste due ultime settimane mi sono ulteriormente allenato ma la questione era più interiore: non lo so se la sofferenza precedente mi abbia aiutato a guadagnare autonomia comunque mi piace pensare di sì, in ogni caso per un allenamento serio l’alimentazione è fondamentale.

La morale: mi veniva da dire che capisci quanto sia importante qualcosa solo quando ti manca e poi la ottieni di nuovo, però non volevo essere sentenzioso. D’altra parte di parla solo di corsa.


Riferimenti 
Una summa sui post sull’alimentazione prima della maratona la trovate in:
Mentre della mezzamaratona ho parlato in:


giovedì 8 ottobre 2015

Il runner-gagà ma senza le ghette (ancora sul correre con la pioggia)

Prendo spunto da un commento di una lettrice a un post sul correre con la pioggia (Sotto la pioggia (con un trucco stupido che non è un trucco))che mi chiedeva dell’esistenza di copriscarpe impermeabili. Immagino che questa curiosità sia nata dalla considerevole acquata che molti di noi che correvamo a Firenze (ma non solo) si sono presi la scorsa domenica mattina.
Ammetto che non mi ero mai posto il problema ma questa domanda mi ha fatto venire in mente l’inconveniente riscontrato da Gigi sempre domenica mattina: un fastidio dentro la scarpa che cercava di risolvere invano tirando ben bene il calzino: a fine allenamento si è reso conto che non era il calzino la causa bensì addirittura la soletta che, oramai completamente molle, si era arricciata...

Tornando dunque alle ghette, a me veniva in mente solo quegli oggetti che servono a coprire completamente scarpa e caviglia usati da chi corre nel deserto, oppure quelle per i ciclisti che però hanno un uso limitato del piede.
Facendo una piccola ricerca in rete (Parole chiave utilizzate: spats, gaiters, shoe covers) mi sono reso conto che ci sono problematiche simili per chi fa trail, con rami e sassi che imprescrutabilmente si ostinano a voler entrare nelle scarpe di chi corre. Però in questo caso non aiutano a non inzuppare la scarpa e dunque il piede perché si limitano a sigillare la caviglia con la scarpa, e anche se fossero impermeabili tutta l’acqua che arriva dal suolo tramite schizzi e pozze passerebbe comunque tramite la scarpa. A meno di avere scarpe in goretex. A questo riguardo mi ricordo di aver verificato un inconveniente pure peggiore: una volta riempite di acqua (mai messo un piede in una pozzanghera?) le scarpe in goretex restano piene, mentre le normali scarpe da corsa perlomeno si svuotano...
Ho anche trovato menzione di ghette (Shark) che promettono di farti correre anche nell’acqua senza problemi ma le informazioni tecniche sono minime e insoddisfacenti, anche le foto non sembrano relative a scarpe da running ma più da ciclismo. Sospendo il giudizio.
Mi sono imbattuto in vari forum sul tema ma senza soluzioni interessanti: c’è chi suggerisce di usare delle normali cuffie da doccia, di quelle che si trovano in albergo, per farci delle ghette... vabbè, allora va bene tutto ma noi stavamo pensando a qualcosa che non disturbi la corsa in sé altrimenti basta mettersi delle galosce e siamo tutti contenti.

Conclusione: a meno che qualcuno non trovi (e provi) una soluzione valida io continuo a correre con le scarpe normali (non in goretex) e con calzini sottili in modo da ridurre al minimo l’acqua che può essere trattenuta.


La morale: io sono solito abbinare maglietta e calzini, mentre i pantaloncini possono andare a contrasto. Se rinuncio alle ghette, sia pure a malincuore, resto un runner-gagà?