Se dicessi che la
colazione è sopravvalutata, lo so già che molti di voi, se non tutti, storcererebbero
la bocca, anzi la state già storcendo, guardate che poi vi rimane la bocca
storta! O almeno così mi diceva la mamma da piccolo.
Tutto è cominciato davanti
alla macchinetta del caffè l’anno scorso, chiacchierando con un ultra-runner
inflessibile e espressione massima di understatement. Mentre io ammettevo, a
maratona fatta (e fatta male) che il mio problema continuava a essere la crisi
del 30° (o addirittura del 25° se allenato poco) chilometro, quando chiaramente
accadeva qualcosa di irreversibile nel mio fisico. Oramai è conoscenza comune
che si tratti del cambio di combustibile da un mix a predominio di glicogeno a
un mix di quasi soli grassi allorquando la scorta di glicogeno si è esaurita (e
ci sono calcoli abbastanza ragionevoli per calcolare quanto glicogeno si può
accumulare in base al proprio fisico e quanti chilometri sono necessari per
esaurirlo, guarda caso comunque intorno al trentesimo chilometro).
Il trucco sarebbe quello
di abituare il proprio fisico a consumare un mix di glicogeno e grassi fin da
subito in modo da consumare più lentamenti il primo e quindi posticiparne l’esaurimento.
Sì perché l’altro trucco
di fare dei rabbocchi in corsa non dà risultati garantiti, dipendendo dai tempi
di assimilazione da parte del nostro fisico, e comunque l’apporto energetico
aggiunto è molto limitato rispetto alle necessità in corsa (in base ovviamente
alla nostra corporatura).
Allora davanti alla
macchinetta del caffè il “maestro”, lo chiamo così scherzosamente ma è una
stima reale, mi dice: dovresti allenarti prima, durante i lunghi: non fai
colazione e ceni leggero la sera prima...
Io sgranai gli occhi ma il
ragionamento mi sembrò logico: l’esercizio non pretende di abbattere il muro,
anzi cerca di attrarlo a me, per incontrarlo prima e imparare a conoscerlo, non
garantirsi un gran vantaggio con colazione abbondante né cercare di
allontanarlo con palliativi (gel).
Mesi dopo...
La prima prova con un
25km. Poi la conferma con un 28km. La fame non si avverte, se non un accenno,
in un qualche momento tra il quindicesimo e il ventesimo chilometro, che però
sparisce presto. Nessun calo se non, come per me abituale, quello fisiologico
negli ultimi chilometri, quelli eccedenti il lungo precedente, nel caso di un
28km se la domenica prima ne avevo fatti 25, è quasi matematico che al
ventiseiesimo chilomentro rallento senza quasi accorgermene.
È allora che la
presunzione ha preso corpo e ho cominciato a vantarmi con gli amici: io faccio
i lunghi senza mangiare né prima né durante...
Quando poi programmo
trenta chilometri e dopo venti mi si spengono tutte le lucine e mi trovo a procedere
a andatura lenta per altri dieci chilomentri e mi rifiuto di estrarre il gel
che mi sono portato dietro per sicurezza, come conforto psicologico, non si sa
mai, potrei fermarmi in aperta campagna quando finisce la benzina, dimostro che
la mente è forte e mi fa resistere (il gel resta nel taschino) mentre la carne,
come nei più triti luoghi comuni, è debole e si conferma tale. Spero soltanto
che questi dieci chilometri di passione, la vibrazione del Garmin al termine di
ogni chilometro cos’è se non la successiva stazione di una laica via crucis,
testimonianza della sofferenza passata e presente e occasione di sollievo
perché la fine si sta avvicinando, spero soltanto - dicevo - che questi dieci chilometri
di passione siano serviti al mio corpo per abituarsi a funzionare con il
combustibile più scarso, una volta che il buon glicogeno è terminato. Però se
per bruciare grassi devo andare a un passo che non ha niente a che vedere con
quello che stavo tenendo solo un attimo prima e finisco superato da chi fa
jogging domenicale alle Cascine, senza offesa a chi fa jogging domenicale alle
Cascine, forse l’allenamento non è stato così utile...
Dopo due settimane un
altro trenta: stavolta ceno con abbondanza di carboidrati e proteine, a
colazione, sebbene non abbia fame, ingurgito due fette di pane tostate con 50g
di bresaola conditi con un filo d’olio e arricchiti da scaglie di parmigiano,
il tutto fluidificato da una caffè lungo e un succo d’arancia mischiato a
Pre-gara Ethicsport. E parto. Verso il diciottesimo chilometro mi succhio un
gel enervit (anche stavolta senza sentirne alcun bisogno). Ai venti chilometri
annuncio a Filippo e Ema: su, l’allenamento comincia adesso! Perché scuotono la
testa? Poi verso il venticinquesimo chilometro vediamo in lontananza un
famigerato cavalcavia: vedi Filippo quel cavalcavia? L’allenamento vero comincia
lì! Con la coda dell’occhio vedo ancora teste che ruotano da destra a sinistra
e viceversa.
Quando però all’inizio
della salita breve ma brusca ho sentito l’energia di forzare l’andatura e poi dopo
la discesa riesco a mantenere un passo più sostenuto ho capito che qualcosa
era cambiato.
Certo in queste due ultime
settimane mi sono ulteriormente allenato ma la questione era più interiore: non
lo so se la sofferenza precedente mi abbia aiutato a guadagnare autonomia comunque
mi piace pensare di sì, in ogni caso per un allenamento serio l’alimentazione è
fondamentale.
La morale: mi veniva da
dire che capisci quanto sia importante qualcosa solo quando ti manca e poi la
ottieni di nuovo, però non volevo essere sentenzioso. D’altra parte di parla
solo di corsa.
Riferimenti
Una summa sui post sull’alimentazione
prima della maratona la trovate in:
Mentre della mezzamaratona
ho parlato in: