Quando faccio una cosa per
la prima volta, sento la necessità ineludibile di raccontarla a tutti, come se
quella cosa esistesse solo da quel momento e proprio grazie a me.
E lo stupore di coloro ai
quali racconto la vicenda mi conferma nella mia convinzione e mi autorizza, mi
incoraggia a continuare nell’opera di divulgazione.
Incredulità mista a
fastidio mi causa l’incontrare qualcuno che quell’esperienza l’ha già vissuta da
tempo o, peggio ancora, ripetutamente e
quindi per lui adesso rappresenta una banalità. A quel punto non posso far
altro che, ah davvero?, e svicolare prima possibile per evitare che quello
parta con il suo racconto di
innumerevoli vicende che replicano, se non superano in difficoltà, drammaticità
o solo interesse, la mia, banalizzandola e retrocedendola a racconto di fatto
usuale, per niente unico.
Quanti scrittori per
esempio hanno pubblicato libri, racconti, lettere a figli appena nati: un
momento unico e indelebile nella vita di ogni uomo e ogni donna ma a meno di
non produrre un capolavoro della letteratura quasi ogni lettore avrà avuto lo
stesso momento unico e indelebile, solo leggermente diverso, con diversa
ambientazione e personaggi. E pensa: potevo scriverlo anche io. Tra il dire e
il fare eccetera eccetera, però vero è che il tema non è originale.
E allora? Allora lo
scrittore o il raccontatore in genere dovrebbe pensarci due volte prima di
ammorbare gli altri con racconti unici ma in fondo comuni.
Ci penso. Pensato? Ci
ripenso. Fatto. Ora vi racconto una vicenda unica che ho vissuto sabato ventuno
giugno.
A dire la verità è una
vicenda unica che ho vissuto insieme a altri duecentocinquanta persone, però
vabbè per me, e anche per Matteo che era con me, è stata una vicenda nuova e,
fintanto che non la ripetiamo, unica.
Insomma io ve la racconto
lo stesso perché sono sicuro che almeno qualcuno dei miei venticinque lettori
non l’ha vissuta e se ne stupirà. Almeno un paio degli stessi venticinque
l’hanno esperita già e ripetutamente, anzi magari mi hanno aiutato con
amorevoli consigli prima. Mi scuso per annoiarli con questo racconto, potete
anche fermarvi qui e non ve ne vorrò, ma è irrefrenabile: devo raccontarla.
I più attenti dei miei
lettori si erano già ammoscati del fatto che avevo ibridato questo luogo di
corsa con alcuni racconti che mi vedevano in veste non già di runner, bensì di
ciclista. Ah! Orrore! Sì lo so, la pensavo anche io così, da purista. Però poi
mi sono accorto che esiste tutta un folto gruppo di amici, parenti, colleghi,
insomma persone vere e a me vicine che incomprensibilmente invece di correre
vanno in bici con eguale passione, soddisfazione. E che celano lo stesso dubbio
e sospetto nei confronti di coloro che invece di andare in bici preferiscono
incomprensibilmente correre a piedi.
Qui partirebbe una
riflessione più generale sul Diverso: non mi pare il caso, comunque avete
capito l’antifona e quindi ve la potete sviluppare per conto vostro una volta
terminata la lettura di questo racconto.
Se bici e corsa spesso
rappresentano due mondi separati e talvolta distanti (non mancano i
frequentatori di entrambi, ma cambiano veste – oggettivamente – e forse anche
mentalità passando dall’uno all’altro), il nuoto fa storia a sé: chi lo odia,
chi lo ama, tutti (o quasi) l’hanno dovuto imparare, è noto che “fa bene” e
effettivamente fa bene, soprattutto a chi pratica altri sport più traumatici,
come per esempio la corsa.
Ci siamo quasi: corsa, bici
e nuoto.
Se poi lo famo strano, ossia tutti e tre
consecutivamente senza requie, ecco il triathlon.
Ammetto che la premessa è
forse più estesa del racconto stesso. se avete ancora voglia vi racconto lo
strano caso del runner che si è fatto triatleta, o più umilmente che ha provato
a vedere di che si trattava e ha portato in fondo quella che per lui
rappresentava un’impresa.
Invece si trattava solo di
un triathlon Sprint, ossia 750m di nuoto, 20km di bici e 5km di corsa. Chi ha
la benché minima dimestichezza di uno di questi sport a questo punto ha
già pensato: così poco? Ma non ci vuole
nulla! Esatto: per chi fa nuoto fare una trentina di vasche da 25m è un allenamento
leggero se non un riscaldamento. Lo stesso dicasi di 20km per un ciclista e di
5km per un runner: il minimo, anzi forse quasi troppo poco per valer la pena di
cambiarsi e uscir di casa.
Messa in termini di tempo,
in termini grossolani, si tratta di 15’ di nuoto, 45’ di bici e 25’ di corsa,
ossia, come pura somma aritmetica 1 ora e 25 minuti a cui vanno aggiunti alcuni
minuti per indossare scarpe e casco e prendere la bici e poi lasciare la bici,
togliersi casco e cambiarsi le scarpe, e si arriva a un’ora e mezza.
Vista così la questione
cambia un po’: si tratta comunque di uno sforzo continuativo e non blando di
un’ora e mezza, per un runner potrebbe essere assimilata – sempre
grossolanamente – a una mezza maratona.
Fatta questa ulteriore
premessa tecnica arrivo al punto, ossia alla vera difficoltà che ho riscontrato
e che non traspare dai numeri: normalmente in questo tipo di gare, a parte talvolta
quelle più brevi, come lo Sprint, la frazione di nuoto si svolge in acque
libere: mare o lago. Ognuno ha i suoi pro e i suoi contro.
Fatto sta che io e Matteo
per la nostra prima esperienza abbiamo scelto la gara Ironlake di Barberino del
Mugello che ovviamente utilizza l’invaso di Bilancino per la parte acquatica.
Ora, a parte simpatie o
antipatie per la balneazione nei laghi, la prima anomalia che mi sono trovato a
fronteggiare è che in acqua non si vede niente: ossia è tutto di un colore
verde più o meno scuro a seconda dell’intensità del sole e opaco: non riuscivo
neanche a vedere le mie mani mentre nuotavo: per uno che è abituato a nuotare
in piscina, in cui puoi controllare il movimento, seguire la riga per andare
diritto e sapere quando girare, guardare quelli che ti nuotano davanti e
intorno, non vedere niente e dover alzare la testa per capire se si sta andando
nella direzione giusta è un discreto shock.
Avevamo fatto una prova il
fine settimana precedente e il risultato non era stato confortante: una sorta
di ansia ci prendeva e la nuotata si faceva faticosa e pur avendo nuotato solo
400m mi sentivo esausto.
Al momento della partenza
della gara vera la cosa si è complicata: tutti allineati sotto un ponte di
legno, siamo partiti in duecentocinquanta puntando tutti a una stessa boa che
era laggiù verso il centro del lago. La fisica ha voluto confermarci una volta
di più la legge dell’incompenetrabilità dei corpi e dopo poche decine di metri
avevo persone che battevano braccia e gambe davanti, dietro, a destra e a
sinistra, se non sopra: l’acqua rembrava ribollire dalle fitte onde in tutte le
direzioni e a un certo punto mi sono dovuto fermare per sopravvivere: ero
incastrato tra qualcuno a destra e qualcuno a sinistra e la nostra traiettoria
era convergente e per nulla parallela. Vincendo la tentazione di fermarmi e
uscire da quella baraonda ho insistito. In tutto ciò non riuscivo,
letteralmente: non riuscivo a nuotare se non tenendo la testa fuori dall’acqua,
come le signore che al mare non vogliono sciuparsi la pettinatura.
Inspiegabilmente dopo circa trecento fatti in questo modo ho cominciato a
nuotare normalmente e da lì sono arrivato a uscire dal guado infernale.
Il tifo di Emanuele,
Elisa, Sofia e Lorenzo (i bimbi non sono nuovi a imprese del genere come quello striscione a Firenze 2012) mi ha aiutato – scuotevo
sconsolato la testa mentre li guardavo - a correre verso la zona cambio. Elena
invece non riesce a incitarmi: le resta sul viso un’aria preoccupata che mi
viene a me da incoraggiare lei!
La formalità e il rigore
che vigono in zona cambio meriterebbero un racconto a parte, mi limito a dirvi
che ognuno deve appendere per il sellino la bici al palo orizzontale in
corrispondenza del proprio numero e disporre a terra dalla parte della catena
le scarpe da bici e quella corsa, sul manubrio troveranno alloggiamento il
casco con gli occhiali e il pettorale (che non si può indossare nuotando: lì il
numero è scritto sulla cuffia). Disporre la propria roba fuori dagli spazi
indicati dai giudici o non avere il casco allacciato mentre si transita in zona
cambio causano la squalifica.
La frazione in bici, per
me piuttosto difficoltosa, l’ho vissuta come una scampagnata in solitaria,
cercando di agganciarmi a qualche altro concorrente senza mai riuscirci.
Arrivato a mettermi le
scarpe da corsa ero doppiamente rinfrancato: innanzitutto mancava poco alla
fine e poi ero a casa. Finalmente ho recuperato qualche posizione, non che
puntassi a chissà che piazzamento, ma l’orgoglio è l’orgoglio e quella era una
gara. Però non sono riuscito a spingere quanto mi ero immaginato, complici –
penso – la stanchezza per le frazioni precedenti e il caldo: non l’ho detto ma
la gara è partita alle 13.45 del 21 giugno, e a quel punto mentre i primi
avevano già fatto le interviste di rito e si intrattenevano al Pasta Party, io
mi aggiravo su una stradina di terra battuta al livello dell’acqua e, se si
fermava quel refolo di vento che ci ha salvato la vita, le vampate di calore
che venivano dal lago erano asfissianti.
Mi è sembrato che questi
cinque chilometri fossero più lunghi del previsto, però vedere l’arco
dell’arrivo con Elena, Elisa, Ema e i pronipoti è stato un bella emozione.
È stata una bella
esperienza, e la stanchezza tutto sommato accettabile, forse perché più
“distribuita”. Comunque, per onestà, all’ora di cena non mi reggevo in piedi.
La morale: non sarò mai un
ciclista né tanto meno un nuotatore, sono e resto un runner. Però l’allenamento
per un triathlon ti fa sentire meglio fisicamente rispetto a un allenamento
altrettanto duro per la sola corsa. La gara di triathlon è variegata anche se
probante. E anche l’ambiente è allo stesso tempo più competitivo e più
famigliare, solidale, forse perché è una nicchia ancora più raccolta di
“fissati”. Sì, forse i “fissati del triathlon” sono dei fissati più fissati dei
“fissati della corsa”. E più variopinti.
PS: E poi avevo un
bellissimo tutù, no: body, si chiama body!, con il quale si nuota, si salta in
bici sperando che si asciughi prima dell’eventuale discesa, e poi si corre e a
quel punto il bagnato è solo sudore.
sei un grande anche se avrei voluto vederti a notare
RispondiEliminarileggendo il tuo racconto ... mi verrebbe voglia di provarci ...
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