Recensione parallela di
due libri che non sono specificatamente dedicati alla corsa ma che della corsa
in alcune parti parlano e quindi io ve ne parlo solo relativamente a queste
parti.
Chi mi abbia segnalato
America di Jean Baudrillard come libro sulla corsa non lo ricordo, so solo che
mi sono appuntato questo titolo e questo nome. Poi facendo acquisti in rete e
approfittando di un forte sconto ho cercato e trovato questo titolo. E l’ho
acquistato. Senza sapere chi fosse questo Baudrillard e senza sapere di cosa
parlasse il libro. Certo intitolandosi America potevo avere qualche sospetto.
Quando mi sono disposto alla lettura mi sono accorto che si trattava di una
raccolta di saggi (e non di narrativa come speravo) sull’America e in
particolare sulla decadenza contemporanea sociale, politica e sopratutto
culturale degli Stati Uniti. In tutto ciò che c’entra la corsa? Mi chiedo. E
intanto andavo avanti. E dopo una dozzina di pagine ecco una traccia. Mentre,
nella prima metà degli anni ottanta, vaga per il vasto paese osservandone i
costumi, il nostro ha molteplici occasioni di osservare una razza particolare e
assai frequente a quelle latitudini: i runners o joggers.
Alla fine di più di cento pagine
che ho scorso rapidamente (ammetto che non mi interessava l’argomento né mi ha
appassionato un’analisi che la spessa patina dei trent’anni che sono passati rendeva
immune a una lettura odierna), ho rintracciato in tutto cinque pagine sulla
corsa.
Le sue osservazioni sono
quelle dell’antropologo bianco che osserva una tribù di curiosi autoctoni.
Mi permetto di riportarvi
alcuni stralci esemplificativi e autoesplicativi.
A proposito della maratona
di New York dice che è “uno spettacolo da fine del mondo. Si può parlare di
sofferenza volontaria come di schiavitù volontaria? [...] tutti cercano la
morte, la morte per sfinimento che fu quella del maratoneta di duemila anni fa
[...]. Anch’essi sono portatori si un messaggio vittorioso, ma sono in troppi,
e il loro messaggio non ha più senso, se non quello del loro stesso arrivo, al
termine del loro sforzo – messaggio crepuscolare di uno sforzo sovrumano e
inutile. Collettivamente, porterebbero piuttosto il messaggio di un disastro
della specie umana, dato che la si vede degradarsi di ora in ora col
susseguirsi degli arrivi [...].”
Poi a proposito dei
runners che ha osservato in giro per New York, il quadro è piuttosto impietoso
ma in alcuni tratti mi riconosco abbastanza, quindi non mi indigno più di tanto:
“Si può fermare un cavallo
imbizzarrito, non si ferma un jogger in azione. [...] guardatevi soprattutto
dal fermarlo per chiedergli l’ora, sarebbe capace delle peggiori reazioni.”
E ancora:
“Ha lo sguardo stralunato,
la saliva gli cola dalla bocca, ma non fermatelo, vi picchierebbe o
continuerebbe a saltellarvi davanti come un indemoniato.”
Per poi concludere
assimilando il runner che corre da solo, e quindi isolato, fino al proprio
esaurimento, a fenomeni di autodistruzione piuttosto comuni in quegli anni
negli stati uniti, come l’anoressia e l’obesità.
Non ho alcuna intenzione
di mettermi qui a dibattere sulle teorie dell’autore: posso comprenderle ma le
vedo anche offuscate da una prospettiva tutta esterna, gli manca tutto il resto
ma d’altra parte non si può pretendere che un telecronista sappia giocare a
calcio o uno storico dell’arte dipingere.
Detto ciò, se qualcuno
qualcuno a cui avete fatto un torto di cui non vi ricordate, vi regalasse questo
libro cercando di incantarvi dicendo che parla di corsa, rifiutate cortesemente
o se impossibilitati dalla vostra bontà d’animo, dopo che questi se ne è andato
NON LO APRITE e riponetelo al sicuro. A richiesta potete utilizzare quanto
sopra per dargli a intendere che ci siete cascati.
La mia è solidarietà tra
runners.
America
Jean Baudrillard
SE, 2000 (edizione
francese: 1986)
Dall’odio all’amore per la
corsa: ecco una raccolta di testi di Joyce Carol Oates che non finirà nello
scaffale dedicato ai libri sulla corsa bensì in quello sulla scrittura e quindi
non ne dovrei parlare qui. Però un saggio di una decina di pagine che vi è
contenuto “Running and writing” è, come dice il titolo stesso, incentrato tutto
sulla corsa.
In queste poche pagine la
prolifica scrittrice americana enuncia alcune semplici considerazioni sulla corsa
che chi ama scrivere e correre conosce già ma dette con le semplici e nitide
parole di una grande scrittrice è come se le scoprisse per la prima volta.
Innanzitutto l’analogia
tra sogno e corsa: come nel sogno la mente è senza corpo e vola e si muove
senza peso, così nella corsa pulsa al ritmo del corpo che si sposta rapido.
Poi la funzione
ispiratoria della corsa: ecco che la scrittrice durante la corsa nel pomeriggio
riesce a risolvere quello su cui si era dibattuta inutilmente la mattina standosene
seduta al tavolo.
Infine una verità che chi
corre e scrive conosce bene per esperienza diretta: quello che l’autrice pensa,
costruisce e si ripete durante la corsa non ha altro che trascriverlo non
appena tornata a casa. Non solo correre le permette di scrivere ma anche di “vedere”
con una coscienza aumentata quello che immagina e scrive durante l’atto motorio.
Tutto qui. Pura verità.
‘Running and writing’ nella raccolta "The faith of a
writer"
Joyce Carol Oates
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