Sabato mattina, viale
degli olmi, due ragazzi, due uomini per chi li vede dall’esterno, corrono
insieme. Corrono affiancati ma non fanno lo stesso allenamento
Uno dei due fa venti
chilometri a velocità abbastanza sostenuta mentre l’altro fa giusto otto o nove
chilometri a ritmo lento, giusto per affaticare le gambe in vista del
lunghissimo della mattina dopo.
In realtà io e Gigi ci
siamo messi d’accordo per partire nello stesso luogo e alla stessa ora per
passare insieme un’oretta e fare due chiacchiere, visto che oramai è difficile
allenarsi insieme ma in questo caso le andature collimavano.
Mentre corriamo Gigi
inciampa su una deformazione dell’asfalto, perde l’equilibrio, resiste ma alla
fine cade, toccando terra ruota su un fianco, ammortizza la caduta. Si rialza,
si accerta di non avere niente di rotto, solo qualche escoriazione alla mano
destra, io gli tolgo qualche foglia raggrinzita dalla schiena. Ripartiamo.
“Ora scriverai della
caduta”, mi fa. Io non capisco però poi mi ricordo anche lui come tutti i
compagni di corsa oramai mi conoscono in quanto scrittore di corsa e pertanto
qualunque cosa accaduta potrebbe essere da me scritta senza alcuna pietà.
Alcune volte erano consapevoli già mentre le vicende accadevano che sarebbero
state fonte di ispirazione per un racconto e se ne beavano. Stavolta non ci
avevo minimamente pensato ma ho taciuto, sotto sotto mi fa piacere che temano
di essere spiati (“Questo
vede tutto, nota tutto e scrive tutto”, citazione colta).
Ma no Gigi, noi non
speculiamo sulle cadute altrui, non basta un evento per fare un racconto, ci vuole
ispirazione e lo sguardo che osserva. È lo sguardo che fa il racconto non la
cosa in sé. “Sì, - tu dirai, - però alla fine hai scritto della mia caduta,
come avevo previsto”.
Sì, cioè no, ho scritto
per denunciare la non scrittura di un racconto su questa caduta, che non merita
un racconto, dato che non è eccezionale, non è esemplare, non mi ha stupito,
sei stato bravo a ruotare ma avevo visto di meglio qualche mese fa (“Ore dodici:runner a terra!”).
Poco dopo che ho lasciato
Gigi mi sento salutare da dietro: è Andrea in bici da passeggio. Non ci vediamo
spesso, qualche volta durante una gara, l’ultima che ricordo è la
Firenze-Fiesole, ci siamo agganciati poco prima dei Bosconi, e anche lì come ogni
volta abbiamo parlato di libri, io lo aggiorno su romanzi che parlano di corsa,
lui di narrativa nordica, mi ha fatto conoscere Arto Paasilinna e un romanzo
sulla corsa, di un altro nordico, bellissimo ("Via della trincea").
Un’altro mezzo giro
delle cascine è passato.
Mi è rimasto solo un’altro
giro per completare i miei venti chilometri ma a questo punto non è difficile
concentrarsi sull’allenamento, visto che finora non ho fatto che chiacchierare
con due amici.
La morale? Non ci avevo
pensato ma rileggendo il tutto direi: non basta una caduta per farmi venir
voglia di scrivere, ma talvolta anche solo aver corso e chiacchierato con un
amico, se non due, può bastare a farmi venire in mente altri pensieri e altri
ricordi. Che può valer la pena di scrivere.
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