1. Si
infortunano sempre gli altri
2. Sono
infortunato solo io
3. Si è
infortunato tizio? Fascite plantare (o bandelletta o caviglia o...)! Eh, lo
so... ci sono passato anche io.
Di solito io mi
trovo nel primo stato: quello in cui mi pare normale che si facciano male solo
gli altri e io sono fiero di essere, se non in forma smagliante, almeno sano. E
sono fiero perché vuol dire che sono stato attento, non ho esagerato, non ho
abusato del mio fisico, non mi sono allenato oltre il limite invisibile oltre
il quale qualche parte del mio corpo comincia a ribellarsi. E posso dispensare
consigli saggi e accorti su come restare sani.
Raramente sono
nel secondo stato (Sono infortunato solo io): mentre sono nel primo stato,
mi pare ovvio di non infortunarmi mai però, ogni tanto, per una ragione
imperscrutabile e soprattutto imprevedibile, mi faccio male. Ora per esempio ho
avuto successive distorsioni alla caviglia destra, ma vengo da un’estate felice
trascorsa nel primo stato, in cui potevo caracollare per sentieri dolomitici
sotto lo sguardo stupito di stambecchi e marmotte, senza storcermi neanche un
mignolo. Oddio, però a pensarci bene a aprile scorso dopo la maratona di Parigi
mi sono fatto male al polpaccio sinistro e per settimane non riuscivo a correre
più di tre o quattro chilometri...
Comunque sia,
quando sono infortunato, e solo in quel momento, mi sembra proprio che solo io sia
infortunato, e tutti gli altri invece, Luigi, Giovanni, Gianluca, Emanuele e
tutti i colleghi, i conoscenti, stanno bene: loro corrono, maledetti. Allora non
voglio parlare del mio infortunio e non voglio l’altrui compassione, ma
chiunque incontri finisce per chiedermi come va la preparazione e allora io
sono costretto a ammettere che sono infortunato e finisco a raccontare con
dovizia di particolari cosa mi è successo, quando, come, cosa sto facendo,
quando potrò ricominciare a correre... insomma una cosa pietosa.
Quando però – prima o poi – il malanno passa, ecco che mi scordo tutto e torno nel primo
stato.
Può accadere
semmai che, mentre sono pacificamente nel primo stato, qualcuno mi dica che si
è fatto male o si è fatto male un amico o un collega. E può succedere, - e di
solito succede perché i problemi muscolari, tendinei o articolari che
interessano un runner poi alla fine sono limitati, - che abbia avuto anche io
quell’infortunio e allora eccomi nel terzo stato: scatta la saggezza di chi ci
è passato già: eh, lo so... ci sono passato anche io. Certo, se mentre sono nel
secondo stato (sono infortunato solo io) incontrassi il me stesso nello stato
tre (eh lo so...) verrebbe naturale mandarmi vocalmente o col pensiero
affanculo. Ma al me stesso che si trova nel terzo stato pare doveroso
dispensare i consigli saggi e accorti su come superare in modo corretto
l’infortunio che – non potrebbe fare a meno di sottolineare – ha avuto anche lui
(cioò io).
Quando poi
passa un mese e nessuno mi racconta di non poter correre perché si è fatto
male, ecco che mi scordo tutto e torno nello stato uno (Si infortunano sempre
gli altri) e quindi mi viene naturale dispensare nuovamente consigli saggi e
accorti su come restare sani. D’altra parte io non mi infortuno mai...
Un aneddoto e
una domanda su questa follia di runner:
Sul lettino accanto al mio una donna sui 35 anni, molto
atletica. Dalla fascia che le avvolge il piede sinistro fuoriescono un paio di
cavi. Sta parlando con la fisioterapista:
Donna molto atletica: “Oh, io senza correre non ci posso
più stare...”.
Fisioterapista: “...”
Donna molto atletica: “No davvero, sennò vado fuori di
testa!...”
Fisioterapista: “... ma ti fa male... ”
Donna molto atletica: “il sinistro, è un dolore
fortissimo, l’altro invece no, comincia lentamente e sembra come il freno di
una bicicletta che struscia...”
Non ho sentito la risposta della fisioterapista. Ho tolto
il ghiaccio, mi sono rimesso la scarpa e sono uscito salutando.
Infortunato ma sollevato.
Questo evento
mi ha fatto spuntare una domanda: ma ci sono psicoterapeuti specializzati in runners? Potrebbe
essere un’idea profittevole: basterebbe essere in contatto con un
fisioterapista o un centro di riabilitazione, i clienti non mancherebbero.
Certo lo psicoterapeuta in questione dovrebbe anche essere un runner sennò non
potrebbe asserire di comprendere i problemi interiori di un runner. Ti immagini un'indicazione del tipo: se la corsa per te comporta sofferenza allora tu prova a non
correre... slam!, cliente perso.
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