Stamani sembrava che ci fossero più persone a correre di quante già ce ne
sono usualmente la domenica mattina.
Forse era anche vero ma di sicuro c’erano meno singoli e più gruppi (o
almeno coppie) di runners e questo dava un maggiore senso di folla. I gruppetti
di tre o quattro persone poi li ravvisavi subito: compatti, coesi, sincroni,
trattenuti nel loro passo leggermente rallentato rispetto a quello che
avrebbero potuto tenere, lo capisci subito che non stanno forzando anche se non
chiacchierano. Ma molti lo fanno non foss’altro che per distrarsi.
L’ultimo lungo sarà sui trentacinque o trentasei chilometri e il passo è
quello che devi tenere per arrivarci dignitosamente e non quello che terresti
in quel momento se corressi dieci o venti chilometri.
La coesione è data dalla solidarietà del sentirsi una cosa sola, unificati
dall’epica tensione a portare a termine quella che comunque è un’impresa:
quando si va oltre i trenta chilometri niente è scontato. E dal tacito
agonismo: ognuno si regola sul compagno vicino. Se perdi terreno l’orgoglio ti
fa accelerare mentre gli ricordi che sta andando più forte di quanto dovrebbe.
Se lo sopravanzi e ti rendi conto che stai andando più veloce di quanto
pattuito allora dici a lui e agli altri: “Rallentiamo!”, e gli altri: “Ma se sei
avanti a tutti!” e il teatrino continua con sberleffi reciproci e parti che si
invertono chilometro dopo chilometro. Fino a che l’ilarità resiste, va tutto
bene.
E poi i colori: molti di quanti correvano stamani avevano una maglia ricevuta
partecipando a una delle passate maratone di Firenze: la nera a manica corta
dell’anno scorso (che io trovo banale e troppo seria, nera con inserti verde
kiwi: meglio quella di Venezia, allora, che è il negativo di quella, verde kiwi
con inserti neri. Ma questo è snobismo: sottintende che io c’ho anche quella di
Venezia che avevo corso solo un mese prima... ma questa è un’altra storia e ne
abbiamo già parlato in “Venezia / Firenze 2012 - Un esperimento riuscito (manon del tutto)”), poi quella rossa dalla consistenza di garza elastica con
la scritta Firenze Marathon nel mezzo al petto, e quella azzurra di quattro
anni, la mia preferita, anche se a maniche lunghe e un po’ pesante per le
temperature di questi giorni.
Ovviamente domenica prossima la festa involontaria si ripeterà: c’è chi
l’ultimo lungo lo fa quattro settimane prima della gara e chi tre settimane
prima. Sono due scuole di pensiero: io sono convinto che tre settimane prima
siano ottimali per un recupero graduale e non troppo lungo però ho sperimentato
anche le quattro settimane con soddisfazione, pertanto quest’anno avevo
raggiunto un compromesso: il programma concordato prevedeva l’ultimo lungo a meno quattro
settimane in modo da avere una riserva nel caso di inconvenienti che avessero
fatto perdere una settimana. Poi Gianluca ci messo dentro l’ecomaratona del
Mugello e ha disallineato tutta la prima parte mentre io mi sono infortunato
piuttosto seriamente alla caviglia per cui ho mandato per aria tutto il resto.
Stamani ho fatto, con un po’ di vergogna, solo sedici chilometri con Ema ma
ho incontrato e salutato tanti amici: Gianluca, Giovanni, Luigi e Andrea (uno
dei gruppi), Milind, Giancarlo, e tanti sconosciuti.
Sì perché il vero runner quando incontra un altro runner, lo saluta, come
si saluta quando ci si incrocia su un sentiero di montagna. E chi non saluta
non è un runner, oppure è solo un maleducato.
[Per l’ultimo lungo o Lunghissimo
vedi anche “Un lunghissimo in Firenze? Costruìscitelo da te!”]
si saluta sempre
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