Asfalto e sterrato / saliscendi impegnativo / 13 km (giro)
Lasciamo per un attimo da
parte il titolo con la compiaciuta allitterazione bisillabica, lasciamolo lì
come il fucile di Cechov, lo ritroveremo alla fine.
Maggio è il mese... degli
iris! Sì... Del primo mare di stagione! Anche... Delle scampagnate! Ecco, sì:
delle scampagnate, ma delle scampagnate correndo con gli amici sulle colline.
Vabbè ma allora è un mese come gli altri, direte voi. No, la differenza è che, contrariamente al solito, non abbiamo obbiettivi, né velocità
da rispettare, né chilometraggio misurato, tutto è lasciato al piacere della
giornata, ognuno ne approfitta condividere con gli altri un percorso che lo ha
colpito o che gli è caro per un qualche motivo.
Il percorso ve lo
racconterò come avrebbe dovuto essere, senza gli errori che non sono rari in
queste scampagnate, anche perché ce li possiamo permettere, ci possiamo anche
fermare tutte le volte che vogliamo a vedere i paesaggio e la performance non ne
risentirà, quindi si può anche rischiare. E perdere, senza essere sbeffeggiato.
Partendo da Ponte a Ema,
nei pressi della grande rotonda vicina all’ingresso dell’autostrada (noi per
intendersi avevamo parcheggiato davanti alla Licosa, la cui scritta sul tetto è
ben visibile). Tappa di trasferimento fino alle Cascine del Riccio passando
dalle Cinque Vie.
Alle Cascine del Riccio si
passa il ponticino e si prosegue oltre la Casa del Popolo (senza considerare la
contrada che spunta proprio dopo il ponticino). Al bivio con la fontanella si
tiene la sinistra (a destra sale e ci porterà a troppo a est): si deve passare
sotto l’autostrada, prendendo subito dopo a destra salendo fino a spuntare
sulla strada Nuova di Pozzolatico (noi invece prendendo a destra alla
fontanella ci siamo spuntati molto più in basso e ci siamo dovuti sorbire il
traffico del sabato mattina, incluso il camion della nettezza urbana...). Si continua
a salire per poche centinaia di metri fino a che non si legge l’indicazione per
S. Gersolè e si prende a sinistra. Un saliscendi riposante ci conduce al punto
fisso della gita, sicuramente Emanuele lo conosceva ma non è un luogo abituale,
io invece ci ero passato in bici e la volevo rivedere quella frazione, non è
neanche un paese, c’è giusto una chiesa e qualche casa, da cui si gode un bel paesaggio
su ambo i lati della collina immemori del rumore dell’autostrada poco distante.
Si comincia a scendere
verso pian di Grassina ma al primo bivio si prende sulla sinistra verso San
Giusto. La strada asfaltata scende un po’ dalla cresta della collina, sono
convinto che una strada bianca vicinale, chiusa da un cancello ma con un
passaggio per i pedoni, ci avrebbe permesso di mantenerci in quota ma non
abbiamo avuto il coraggio di provare stavolta (e se troviamo un cane?...).
Via di Poggiosecco passa
dalla chiesetta di San Giusto: sulla collina di fronte a noi, al di là
dell’autostrada, distinguiamo la Torre del Gallo, Arcetri e, più a destra, il
campanile di Santa Margherita a Montici.
Finiamo su via di
Vacciano: scendendo si arriva direttamente alle auto, ma secondo le mie stime
non sarebbero neppure tredici chilometri. Salendo si arriva in vetta alla collina
cosiddetta di Fattucchia e da lì si prende a sinistra (e non a destra dove
indica per Grassina) una strada sterrata che sale e scende su questa specie di
altopiano. Dopo neanche un chilometro, in corrispondenza di due grandi cipressi
si imbocca un sentiero che scende nettamente fino a via di Campigliano (in realtà l'ascesa e la discesa da Fattucchia l’ho già descritta partendo dal piazzale in "2.1 Fattucchia").
Oramai siamo arrivati: costeggiamo
l’Ema (il fiume) verso sinistra, attraversiamo il centro di Ponte a Ema per poi tornare a
dove abbiamo lasciato le auto.
Questa la scampagnata e il
compagno della mattinata era Ema, detto anche “Mille scuse” dagli amici di
Grassina.
Che devono essere assai
maligni, i suoi amici.
In questo giro ha,
nell’ordine: chiesto, fermandosi, indicazione, alle Cascine del Riccio a un
ragazzo che conosceva (in quel caso a ragione perché avevamo chiaramente sbagliato
strada), facilitato, fermandosi, il passaggio della auto che lo superavano in
salita sulla via di Pozzolatico, attraversato, camminando, la strada per
prendere il bivio per San Gersolè, domandato, fermandosi, a un un tizio che
parlava al cellulare indicazioni per san giusto.
Quando palesemente non c’era
alcuna scusa ha confessato con aria tra il complice e il sacrosanto: “devo recuperare”.
Arrivati al bivio, di
fronte al dilemma se scendere alle macchine (sorriso sollevato) oppure affrontare
l’ennesima salita (siamo già a tredici chilometri!...) ma come – ho tagliato
corto – sei di queste parti, non puoi non conoscerla! e ho proseguito:
“Tanto c’è solo un’ultima
salitina, anche se dura”.
“È questa?” fa speranzoso.
“No, questa non te l’avrei
neppure chiamata salita, la salita vera comincia dopo la curva e il tornante
tra gli alberi.”
In realtà erano due
pettate da prima ridotta, però quando ha cominciato a dire “non ce la faccio”,
eccomi di nuovo sergente Foley a gridargli “non ti fermare, non camminare,
corri pianissimo ma corri”,
Una volta arrivato alla
bene e meglio in vetta, non si è smentito: “devo recuperare!”,
“Senti non ti prenderà un
infarto, quindi corri!”
Poi, dopo rapido calcolo
del rischio: “Guarda se ti prende un infarto è colpa mia, va bene?” Questa gli
è piaciuta – questa la puoi anche scrivere - e ha continuato. Poco dopo una
discesa troppo impervia lo ha costretto a procedere con cautela. Camminando,...
Un altro problema di
quando corriamo insieme è che non riusciamo a correre fianco a fianco. Siamo
partiti e lui stava davanti, io di tanto in tanto provavo a dire non era
necessario andare forte. I primi km erano in pianura, l’andatura era tranquilla
anche se non di tutto riposo. Poi è cominciata la salita, ci siamo immessi
(avendo sbagliato, era molto più giù di quello che ho descritto sopra e che
avevamo programmato) sulla via Nuova di Pozzolatico: salita costante con
discreta pendenza anche se non eccessiva. Peraltro poche settimane prima (“Saluti misti”) mi ero
trovato nella situazione opposta: scendevo in bicicletta e ho salutato qualcuno
che correva in salita. Ho rivisto lo stesso punto in cui ho salutato il runner
e in quei pressi ho incrociato un ciclista che scendeva. L’ho salutato.
Tornando a noi due, abbiamo
proseguito la salita e Ema stava ancora davanti a me, non che la cosa mi
preoccupasse perché non sapendo cosa mi aspetti io in salita di solito vado “alla
stessa fatica” ossia corro facendo la stessa fatica che farei in pianura
andando però più veloce. Dopo due o tre volte che gli faccio notare che potrebbe
andare più piano, e lui acconsente, “sì, sì, bisogna andare più piano”, gli ho
detto: “Guarda che sei sempre due metri avanti a me, delle due l’una: o sei
molto più in forma di me, o sei molto più fava.”
“La seconda che hai detto”.
Un altro paio di curve senza che la salita accenni a alleggerirsi e vedo davanti
a me un filo di fumo bianco...
Tornati infine alle auto
mi ha detto “Grazie”. “E di che?” Di avergli intimato di non fermarsi, di
essere stato un aguzzino? Elena poi a casa se glielo racconto mi rimproverarà e
anche se obbietterò che non è che non ce la facesse davvero, che era solo nella
sua testa, che in certi momenti hai bisogno di qualcuno che ti sproni,
altrimenti ti fermi e poi a posteriori ti penti e ti dispiace, un dubbio mi
assalirà: e se gli fosse preso un infarto in Fattucchia. Ma è solo un attimo.
Però: che bella allitterazione.
tu m'hai preso le strade di casa quelle te l'ho insegnate io e non dir di no
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