Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

domenica 1 febbraio 2015

« Courir – Méditations physiques » … Corro ergo sum! (recensione)

C’è una libreria nel Marais a Parigi dal nome evocativo, Comme un roman, che adoro e in cui non manco di fare una sosta ogni volta che mi fermo qualche giorno. Durante le vacanze di Natale sono riuscito a trovare un altro libro sulla corsa. Ribadisco che il mio obbiettivo sono libri di narrativa o saggistica intorno alla corsa ma non dei manuali di corsa. Procedo in due fasi. La prima è quella più scontata: parto a esaminare la sezione “Sport” e la sottosezione “Corsa”, ma ovviamente i risultati sono molto limitati e i libri più o meno sempre gli stessi. La seconda fase, quella più creativa e faticosa, è quella di scovare un libro sulla corsa tra quelli “normali”. Rarissimamente questa ricerca ha successo e soprattutto quasi mai è merito mio. Questo libro infatti mi fissava, con la sua copertina rosso fuoco, dal tavolo delle novità filosofiche. Il titolo Courir era autoesplicativo: l’ho preso senza neanche sfogliarlo, mi è bastato il sottotitolo: Méditations physiques.
Trovo che corsa e filosofia siano un ottimo abbinamento e questo non è il primo libro di un filosofo che vi segnalo (“Correre con il branco”).
Anche in questo caso si tratta di brevi racconti o riflessioni sulla corsa, non casualmente ‘quarantadue capitoli e qualche centinaia di parole’, da parte di uno che corre abitualmente e ha esperito anche varie maratone, pertanto diciamo che sa di che sta parlando.
Ovviamente non tutto il libro è allo stesso livello ma ci sono riflessioni e spunti che ho trovato interessanti.

Si parte dalla diffidenza nei confronti della corsa di Descartes che nel suo “Discorsi sul metodo” afferma che “coloro che non camminano troppo velocemente possono avanzare molto di più, se seguono sempre il dritto cammino cosa che non fanno coloro che corrono e che se ne allontanano”. Ovviamente il nostro è in disaccordo e cerca invece di figurarsi una filosofia non tanto della corsa ma in corsa: che cosa si esprime nel corpo in moto? Quale visione del mondo si ha durante la corsa? Queste domande il corridore le sente come degli stati del corpo. In alcuni casi non se le deve porre dopo aver corso ma proprio mentre corre. Si tratta di pensare nel movimento stesso.

Ovviamente quella cui si riferisce Le Blanc è una filosofia non professionale, il suo è un filosofo amatore che corre tutte le domeniche e che non è sottomesso alle stesse limitazioni di dover costruire dei pensieri strutturati, sistematici. Il corridore-filosofo inventa le idee di cui ha bisogno per la distanza che sta correndo o meglio sono le idee che gli vengono in mente che gli permettono di popolare la sua solitudine, a meno che non circolino liberamente durante le discussioni con altri corridori.
Poi però l’autore si rende conto che la distinzione tra filosofia professionale e amatoriale del corridore è falsa dato che molte dellle cose che lui stesso scrive nei suoi saggi filosofici sono passate attraverso quel “laboratorio mobile delle idee”... Correre consiste dunque nell’inventare dei pensieri sulla corsa alcuni dei quali potranno sopravvivere alla corsa stessa. Al medico-filosofo di Nietzsche, il nostro affianca il corridore-filosofo che rivendichi un’arte di pensare a 12km/h...

Ci sono almeno due prove metafisiche che il corridore-filosofo deve affrontare.
La prima consiste nel prendere la decisione di continuare a correre mentre gli sarebbe possibile, in ogni istante, fermarsi. Il dimenticare questa scelta cruciale si chiama, a suo dire, estasi o grazia, mentre il ricordo costante di questa scelta sarebbe una pesantezza spossante.
Il corridore dunque finisce per essere drogato di asfalto: in mancanza di corsa cerca la corsa per colmare questa mancanza e raggiungere una serenità che si manifesta solo dopo, ma la società stessa (capitalistica) sembra promettere ben più a chi si avvicini alla corsa. Quindi la corsa allo stesso tempo è veleno e antidoto, malattia e medicina.
Più che un consenso alla dipendenza, secondo l’autore, di tratta di paradosso: una ricerca di dipendenza come prova di indipendenza. Infatti non solo colui che corre decide di continuare a correre ma non è affatto sicuro della sua presunzione di farcela: sarà soltanto alla fine che potrà dire “ho corso”. La posta in gioco, quindi, è la risposta alla domanda “arriverò fino alla fine?”, ossia una questione di libertà.
Una seconda prova metafisica: il corridore non è solo colui che decide di non fermarsi durante la sua corsa, ma anche colui che decide di non fermarsi ‘dopo’, e di correre nuovamente. La corsa è allora un evento mentale oltre che fisico: essa viene corsa mentalmente nella testa di chi ha deciso di fare un’altra uscita, un altro allenamento.

Quest’ultima mi è parsa una considerazione molto corrispondente a quanto mi accade e che mi ha fatto riflettere: la corsa è infatti molto pensata e parlata sia prima che dopo l’azione della corsa in sé: prefiguriamo un allenamento, ne valutiamo le difficoltà, i vantaggi, come reagiremo, ne pregustiamo gli esiti, poi dobbiamo fare i conti con cosa è successo, come abbiamo reagito a determinate circostanze, anche in confronto con evidenze passate o con altri intorno a noi, e traduciamo dati, cifre e sensazioni in parole, scritte o parlate. Spesso il tempo dedicato alla corsa in quanto evento già avvenuto o ancora da avvenire è maggiore del tempo effettivo della corsa in quanto avvenimento.
Forse non sarà una questione filosofica ma di sicuro è metafisica, in quanto va oltre agli aspetti fisici della corsa.

Per quanto riguarda la categorizzazione, secondo le principali scuole filosofiche, delle fasi del pensiero durante la corsa (tema affrontato in modo molto più convincente da Mark Rowlands nel summenzionato “Correre con il branco”): il maratoneta, secondo Le Blanc, comincia come kantiano quando prova il libero gioco delle sue facoltà. Prosegue come cartesiano quando sente il corpo venir meno e fa appello alla sua volontà per ridargli slancio. Finisce spinoziano quando l’essenziale per lui è di perseverare nel suo essere quando oramai corpo e spirito sono due serie parallele.

Un capitolo sul conterraneo Baudrillard non poteva mancare. Ho già avuto modo di parlarvi di quanto scritto (stavo scrivendo “sbrodolato” forse per assonanza con il cognome) da Baudrillard sulla corsa nel suo “America” (Correre: odio o amore. Due mezze recensioni). La critica fondamentale di Le Blanc è che Baudrillard si è posto di fronte a questa marea di joggers o runners come di fronte a uno spettacolo, non ha minimamente ipotizzato di poter verificare di cosa si trattasse, di immedesimarsi. Ha solo visto un suicidio rituale di massa.

Non mancano capitoli dedicati a racconti o romanzi sulla corsa, come per esempio “La solitudine del maratoneta” di Sillitoe.

Tutto francese il capitolo socio-politico su Sarkozy che ha fatto della corsa un suo tratto distintivo rispetto ai suoi predecessori. In questo caso l’autore riflette sullo sdoppiamento del corpo ‘istituzionale’ e quello ‘privato’ dell’ex-presidente francese.


In breve: non si tratta di un libro imperdibile ma siccome dubito venga mai tradotto in italiano, mi sono soffermato con una certa attenzione, quasi traducendole, su certe parti che ho ritenuto di interesse.

Courir – Méditations physiques
Guillaume le Blanc
Flammarion, 2012


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