Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

sabato 20 aprile 2013

Una famiglia lunga quarantadue chilometri (riflessione non retorica su Boston)

Parole non retorica.
La retorica è l'arte della parola, del parlare in modo convincente. 
Parlare o scrivere in modo non pensato, non costruito ("di getto" si ama dire con condiscendente superiorità) è una piacevole illusione, la retorica non è il male.
Però ci sono cose di cui si sente il bisogno di parlare senza però suonare retorici, costruiti e, in un certo senso, falsi.
Questo è il semplice motivo per cui non ho scritto, finora, niente sulla vicenda della maratona di Boston.
Solo sgomento e tristezza. 
Ma questi sentimenti non avevano niente a che vedere con la corsa in sé e con l'atto di correre una maratona.
Quando qualcuno vuol attirare l'attenzione facendo del male, sceglie in modo razionale o irrazionale ma astratto e simbolico, un evento visibile. 
Sarebbe potuto essere qualunque altro evento e sarebbe stato egualmente doloroso. 
Di fronte al dolore e alla morte, la corsa non merita di per sé un'indignazione maggiore. 
L'unica considerazione che mi sento di fare strettamente legata alla maratona in quanto connessa a questa vicenda luttuosa è la seguente: la maratona è un evento costituito da migliaia di persone che faticano, la parte attiva dello spettacolo, e da un analogo numero di spettatori che sostengono e incoraggiano i primi. 
In pratica chi va a una maratona o la corre o è un parente o un amico di qualcuno che la corre. Più  semplici passanti curiosi e genitori che insegnano ai propri figli a incitare e a applaudire (insegnando forse a anche all'emulazione futura) la fatica e il gesto puro, gratuito.
Chi ha scelto questo evento è come se avesse colpito un ritrovo famigliare. Solo che le famiglie riunite erano migliaia. 
Sparse lungo quarantadue chilometri.

PS: nessuna immagine, potrebbe sembrare retorica pure quella.

martedì 16 aprile 2013

Il riposo del guerriero


Almeno una settimana senza correre dice il Maestro, Fulvio Massini.
Senza stare in ozio, - non sia mai, - ma facendo altro (anche detto cross-training) come per esempio nuoto.
Di solito obbedisco, o meglio, faccio mio questo insegnamento. A parte dopo Venezia quando abbiamo voluto proseguire la preparazione fino a Firenze, in programma dopo solo quattro settimane, e allora restringemmo l'astensione fino a giovedì.
Stavolta una mezz'ora di nuoto il martedì con abbondante stretching tra le tornate di vasche. 
Però poi ho ceduto a un'uscita il venerdì, “... per rivedersi e chiacchierare un po' dopo Parigi”.
“Non potevate prendere un caffè per chiacchierare?” mi ha chiesto, non senza una vena polemica, Elena.
Effettivamente.
“Ma, sai, abbiamo corricchiato pochi chilometri, così abbiamo visto anche Giovanni che non incontravo da tempo, ha ripreso a correre in pausa pranzo...”
Scusa pietosa.
Poi ho commesso l'errore di dire:
"Sono un po' stanco..."
“Per forza, pensi di essere ancora giovane! E poi non solo vai a correre, ma anche a nuotare...”
Avevo tralasciato di dire che venerdì sera avevo anche una lezione di nuoto (sì perché oltre al nuoto libero, ultimamente ho preso, insieme al mio fedele compagno di corsia, qualche lezione per correggere un po' la tecnica...).
Domenica poi ho fatto una sortita con Luigi e un altro collega e le gambe andavano in scioltezza, e ho avuto la bella sensazione di sentirmi portato a spasso.
Però mi ricordo bene che alcuni anni fa, non era così: avevo ricominciato a correre solo domenica e le sentivo “strane” anche se si rimettevano piacevolmente in moto.

La morale è banale: dopo uno sforzo prolungato, come quello di una maratona, è necessario un periodo di riposo che varia da persona a persona, e di certo è inversamente proporzionale all’abitudine a questo tipo di sforzo. E riposo non significa solo dormire ma anche utilizzare maggiormente i muscoli che non siano nelle gambe. Il nuoto in questo è eccezionale in quanto permette una distensione delle colonna vertebrale e una sorta di automassaggio alle gambe stesse.

Insomma, come al solito, basta un po' di sano buon senso.

martedì 9 aprile 2013

Banana al Bois de Boulogne (com'era buona!...)

Punto al quarantesimo, il mio prossimo obbiettivo, la fine della quarta tappa. Sono solo tra a un sacco di gente più o meno spiritata, più o meno sana, nel mezzo di un parco, molti giovani genitori con i bambini ai lati della strada ci incoraggiano: "Siupèr" è la parola che ho sentito dire più frequentemente stamani. 
Al quarantesimo ci sarà il ristoro, lo so che a quel punto mancheranno solo due chilometri alla fine e che non ha senso ma ho assoluto bisogno di mangiare, bere, e camminerò per qualche metro stavolta. 
Ecco il cartellone: "RAVITO 200m"  con una freccia a sinistra. Adorano le sigle e soprattutto le abbreviazioni, i francesi, non solo nel parlare ma anche nella lingua scritta: restaurant diventa resto (che si legge restò), aperitif: aperò, sciences politiques:  scienpò. E qui ravitaillement, ossia rifornimento o ristoro, diviene ravitò... sorrido mentre lo leggo per l'ultima volta. 
Sono lunghi duecento metri, più di un campo di calcio, ma ci arrivo. 
Una lunghissima tavolata è presa d'assalto da famelici individui in brache corte che paiono non curarsi più gli uni degli altri. Arraffo due mezze banane, una piuttosto verde, l'altra ben matura, non mi sono mai piaciute le banane mature, la parte tagliata si è già leggermente annerita stando all'aria, a casa mi farebbe specie. Con l'altra mano strappo a un volontario pietoso una bottiglietta d'acqua. 
Sbuccio la prima mezza banana con i denti e ne mangio un morso: com'è buona!
Acqua. Altra banana. Sto camminando per non versare l'acqua ma soprattutto per godermi qualche secondo di riposo. 
Finita la banana. Devo ricominciare. 
Oramai manca poco, solo due chilometri, niente in confronto ai quaranta appena percorsi. 
Mi pare impossibile essere qui, le gambe sono dure, sono stremato, ma poco fa ero in rue de Rivoli che illustravo a Luigi che quello è Jeu de Paume dove un tempo si vedevano gli impressionisti, là dietro Ladurée dove prendere un tè e mangiare i famosi macarons, e Angelina, la migliore cioccolata in tazza di Parigi, andiamo piano che siamo ai primi chilometri. E ora sono qui, sto per uscire da questi alberi infiniti, là dietro ci deve essere Avenue Foch e tra poco vedrò in lontananza l'arco di trionfo incorniciato dall'arrivo.
Non lo so cosa resterà di questa giornata, di questa fatica, ma quant'era buona quella banana nel Bois de Boulogne. 

mercoledì 3 aprile 2013

Solo quindici (la domenica prima)


Uscire la domenica mattina dicendo a Elena: "Torno presto!"
Inspirare lentamente e espirare a lungo, come un profondo sospiro di sollievo, pensando di dover fare solo quindici chilometri.
Con una sorta di senso di colpa o meglio di incompletezza: una domenica mattina con meno di venti chilometri mi pare quasi uno spreco, non vale neppure la pena, infatti non ho neppure tentato di fissare con nessuno, Emanuele accompagnava Lorenzo alla partita, ma non è un problema: mi rilasso, è l’ultima domenica prima della maratona, nessun obbiettivo. Sono talmente rilassato che mi sono addirittura scordato il lettore mp3: avrei potuto ascoltare la radio, una volta tanto che non ho nessuno con cui chiacchierare... pazienza: neppure l’essermi scordato qualcosa – grave crepa nel mio autocontrollo – riesce a mettermi di cattivo umore. Mi gusto questa corsetta a andatura maratona, ossia al passo che vorrei tenere per la maggior parte della gara, fin tanto che non andrò in crisi, e che per quindici chilometri è riposante, infatti per adesso faccio fatica a non andare più veloce. Ma devo abituarmi a mantenere l’andatura e a contenermi, soprattutto alla finestra dell’ottavo chilometro quando mi è naturale aumentare. Se continuassi, poi quest’andatura diventerebbe “normale”, ossia faticosa ma non troppo, e avvicinandomi ai trenta dovrei fare attenzione a non perdere, mantenendo lo stesso sforzo, quei due o tre secondi al chilometro. Poi, dal cosiddetto muro (un momento solitamente localizzato tra il trentesimo e il trentacinquesimo chilometro, ne ho già parlato anche altrove, “Cosa penso quando corro la maratona), riuscire a mantenere una qualsivoglia velocità che non si allontani troppo da quella preimpostata, dove troppo è un avverbio elastico funzione dello stato mentale del corrente, costituisce un grosso impegno.
Ma questa è un’altra storia, è quella che vivrò domenica prossima e a cui mi sto preparando con particolare attenzione in questi ultimi giorni (soprattutto la sera prima di dormire che oltretutto mi rilassa molto, come ho avuto modo di raccontare in “Dal dentista, ovvero Rilassarsi con la corsa senza correre”.
Respiro con tranquillità e mi godo il paesaggio, tra poco torno a casa, senza essermi neppure stancato.