Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

sabato 25 agosto 2012

8.1 Inno, Mazzetta, Vigliano, Marciola, San Vincenzo a Torri, Ginestra


Asfalto / saliscendi / 17 o 19km (giro)

Questo è il mio lungo estivo da queste parti: tenuto conto del dislivello come primo lungo della stagione è decisamente allenante.
Partiamo dal ponticino sulla superstrada all'altezza di Inno, lo attraversiamo ma invece di girare a sinistra verso Marliano, giriamo a destra in via dei Pianacci. Salitella che prosegue tra alcune case. La strada da asfaltata si fa di cemento e infine di terra: abbiate fede e proseguite. Siamo tra le vigne, si costeggia un boschetto e la strada si fa accidentata per qualche decina di metri, per poi spuntare su via di San Lorenzo dove proseguiamo in discesa. Si risale fino al bivio con via di Marliano dove proseguiamo in discesa. Poco dopo si incontra via di Mazzetta: prendiamo a destra e facciamo, al contrario, la parte descritta in 8. Le Casine,Sant’Ilario, Vigliano, Mazzetta.

Dopo circa 3km arriviamo all’altro ponticino sulla superstrada (immediatamente prima di quello a Inno, venendo da Firenze) e giriamo a sinistra per tornare verso Vigliano (da poco denominato anche Bricoli) dove prendiamo la strada a destra che sale verso Roveta (via di Ronciglia).
La salita è constante e non eccessivamente ripida. Le fermate dell’autobus (Madonnina, Pruniccie,...) scandiscono il procedere anche se, di autobus, non ne ho mai incontrato neanche uno, anche perché di solito faccio questo percorso molto presto la domenica mattina.
Si oltrepassa, sulla nostra destra, l’hotel Roveta che una decina di anni fa era stato riaperto per poi chiudere tristemente di nuovo i battenti. La strada con curve larghe si inoltra nelle tenute Roveta-I Lami, con ampie vigne e vaste aree boschive, dense riserve di caccia (non di rado, la notte, capita di incontrare caprioli e cinghiali che attraversano la strada). Poco prima di scollinare un’ampia curva mi fa socchiudere gli occhi al sole che sorge su Scandicci e, dietro da qualche parte laggiù, su Firenze.

Arriviamo sulla provinciale a Marciola, poco sotto Fiore (ottimo ristorante con ampio giardino) e prendiamo a destra cominciando finalmente a scendere. La pendenza permette di lasciar andare le gambe. Si risale leggermente per arrivare, costeggiando fitti cipressi, alla villa “I Lami”, dove due pastori dei Pirenei attraversano il grande prato abbaiandomi mentre passo davanti alla recinzione: ogni estate meno velocemente, l’ultima volta - qualche settimana fa – sono rimasti ad abbaiare all’angolo della villa senza corrermi incontro affatto. Davanti al cancello principale della villa parte, alla mia destra, un viale di cipressi (perpendicolare alla strada) che in realtà è una sorta di scalinata verde molto pendente ma non so dove porti o meglio da dove parta per salire verso la villa.

Poco metri dopo si trova un bivio con un piccolo tabernacolo che è rimasto da solo nel mezzo di strada: l’asfalto lo ha circondato rendendolo una specie di piccola rotonda. Si tiene sulla destra continuando a scendere. Poche centinaia di metri dopo si vede sulla destra la “Casa di Caccia”, trattoria modesta ma altamente soddisfacente, da frequentare soprattutto nel periodo della caccia e comunque nella stagione più fresca dato che il menu non è dei più leggeri (in ogni caso ne vale la pena).
Dopo un altro chilometro, la discesa si fa più decisa e si passa in gruppo di casette multifamiliari di dubbio gusto per atterrare, a San Vincenzo a Torri, sulla provinciale di fondo valle che da Cerbaia porta alla Ginestra Fiorentina.
Si prende a destra in direzione della Ginestra. Si tratta dello unico tratto su strada trafficata anche di prima mattina ma finisce presto (poco più di un chilometro) perché ormai la provinciale aggira il paese e pertanto a partire dall’area industriale (ci sono alcune officine, un ingrosso di materiale edile e il Cioni, un emporio dove si trova di tutto dalle pentole ai mobili da giardino, dal bagnoschiuma agli attrezzi professionali, che è una sorta di attrazione locale, dove mi diverto spesso a curiosare) siamo tornati in area più sicura.

Poco prima di arrivare al centro del paese (una breve dirittura che incrocia la strada che porta in direzione di Montespertoli) alla nostra destra parte via di Càrcheri che prendiamo nel caso si opti per il giro breve: in un poco più di un chilometro siamo a Càrcheri (salita considerevole: circa cento metri di dislivello) e da qui con altri due chilometri e mezzo di saliscendi siamo di nuovo a Inno, per un totale di 17km.

Ovviamente tenuto conto del dislivello totale di 430m (con tre salite principali: Mazzetta (80m), Roveta (150m) e la risalita dalla ginestra (100m)) come allenamento vale molto di più del puro chilometraggio.


Se invece desidera un percorso più lungo si può attraversare il paese: giornalaio, Circolo ARCI, Kebab Viola (considerevole esempio di sincretismo di fedi sia pur di livello diverso), alimentari, pizzeria. Alla gelateria Genius si prende a destra la “Vecchia Pisana” e qui comincia la salita. Passiamo sotto un viadotto della Fi-Pi-Li e con due brevi tornanti guadagnamo rapidamente quota. Su questa salita ritmata da cipressi vedremo soprattutto ciclisti. Poco dopo la Luna (frazione con omonima pizzeria e annesso negozio di alimentari) si comincia a vedere, sulla sinistra, una distesa di casette multifamiliari che preannunciano Malmantile, arroccato sulla collina subito dietro.
Alle Quattro Strade (toponomastico autoesplicativo) si gira a destra verso Marliano (a sinistra si va a Malmantile mentre proseguendo si arriva alla Lastra). Qui la strada torna poco frequentata. Una salitella e poi un susseguirsi analogo di convessità e concavità lungo il fianco della collina ci conducono a Marliano. Alla chiesa si gira nettamente a sinistra per oltrepassare il cimitero e scendere tra le vigne. L’ultimo tratto è purtroppo molto ripido per poi dover risalire altrettanto ripidamente per arrivare al ponticino sulla superstrada da cui siamo partiti. Il totale sarà sui 19km. 

martedì 14 agosto 2012

Recensione: Via della trincea


La corsa innanzitutto. Ovviamente nessuno di noi corre per vivere (vale forse il viceversa), mentre tutti (fatte salve rare eccezioni) hanno un lavoro, dei legami, degli affetti, degli impegni, delle aspirazioni, degli obbiettivi, vari problemi, spesso delusioni, e la corsa in tutto ciò serpeggia e funge da fluidificante e da collante insieme, talvolta con sfumature maniacali, tanto che non di rado chi ci sta vicino (conoscendoci ma non potendoci comprendere interamente) sente il bisogno di richiamarci alla realtà. Noi per amore o per quieto vivere cerchiamo di rassicurarli ma intimamente pensiamo: ma quale realtà? Ma di che parlano?
Ecco, questo libro parla di tutto ciò, dell’amore di un marito e di un padre, dei problemi di coppia, del lavoro, di aspirazioni mancate, di situazioni da risolvere, della società, dei rapporti con i vicini, di una società (la Finlandese) e della sua storia, il tutto pervaso da una passione che sfocia nella mania ma che tiene tutto insieme: la corsa.
Il libro è bello e scritto bene, autoironico e poetico. Pensavo che un racconto o un romanzo, in cui si parli di corsa senza parlare della corsa, non esistesse. L’ho trovato.

Via della trincea, Kari Hotakainen, 2009, Iperborea.
(http://www.iperborea.com/titolo/169/)

PS: Debbo a un runner, Andrea con il quale ho condiviso una bella mattina tra Sesto e Monte Morello, questa scoperta 





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venerdì 10 agosto 2012

L’evoluzione della specie (amenità montane)


Solo per una decina di giorni in montagna mi sono dovuto limitare portare con me il "minimo" indispensabile:
  • Scarponi da trekking per le escursioni giornaliere (nonostante l’attenuante del numero enorme, sembrano scarponi da sci);
  • Salomon da Trail running: aiutano molto quando si corre sui sentieri e sui fondi sassosi;
  • Nike Structure Triax: oramai a fine carriera, nel caso in cui avessi un percorso puramente asfaltato e sterrato buono;
  • Nike Free: insuperabili per il riposo del guerriero.

A vederle in fila a me viene in mente la discalia: l’evoluzione della specie.
In realtà si tratta solo di avere lo strumento giusto al momento giusto, anche se la tendenza minimalista c'è anche nel trekking come nel running: scarpe sempre più leggere e meno protettive. In pratica è come scalare tutto di un livello: fare trekking anche su percorsi arditi con delle scarpe basse, fare running calzando scarpe che ti facciano sentire più il terreno.
Prima o poi pensionerò gli scarponi, ma come ci si sente sicuri con quei carrarmati ai piedi quando si affrontano fondi sassosi o difficili...

lunedì 6 agosto 2012

L’insospettabile agilità dello yak (certe volte forse è meglio non correre)


Vi chiederete cosa c’entri con la corsa e con Firenze. Con Firenze assolutamente niente se non per negazione: c’entra in quanto che non sono attualmente a Firenze. Con la corsa? In pieno periodo olimpico non sono mancati di recente sui quotidiani interessanti servizi sul fatto che il ghepardo batterebbe Bolt o che un canguro salterebbe molto più in alto di un uomo, oppure che lo scarabeo stercorario sollevando più di mille volte il proprio peso sarebbe imbattibile (nella propria categoria, immagino)... Pertanto, prendetela come un’ulteriore considerazione sull’abilità atletica degli animali e sulla pochezza del runner che deve ringraziare di aver portato la scarpe (e tutto il resto) in salvo a casa.
Ma andiamo con ordine. Sto trascorrendo una settimana a Solda (versante altoatesino dello Stelvio, dominato dall’Ortles) nota per la permanenza di Frau Merkel (non ci siamo incrociati per poco, ma lei non lo saprà mai) e per la residenza estiva in zona di Rainhold Messner che qui ha fondato un museo dei ghiacciai e alleva degli yak portati dal Tibet. Fin qui tutto bene.
Gli yak nel periodo invernale risiedono in un maso vicino al museo mentre d’estate pascolano ad alta quota. Fin qui tutto bene.
Un manifestino avvistato nel nostro hotel avvisava del fatto che poteva accadere al turista di imbattersi nella mandria di yak di Messner al pascolo e suggeriva di non avvicinarsi più di dieci metri per sicurezza. Fin qui tutto bene anche se nasce il sospetto che questi bufali preistorici non siano così innocui.
Arriviamo al dunque.
Oggi a metà di una bella e probante escursione, mentre cominciamo la discesa verso valle, su un prato a circa duemilacinquecento metri di altezza vediamo delle strane mucche pelose e gibbute, provviste pure di lunghe corna ricurve. Gli yak!, esultiamo io e Elena guardandoci sorridenti. A distanza di sicurezza, ben più dei dieci metri raccomandati, faccio delle foto grazie a un ottimo zoom ottico. Quello che pareva il capo branco, un bestione bruno assai imponente, ci degna di uno sguardo prolungato. Al secondo sguardo, riprendiamo il nostro cammino, soddisfatti dell’incontro e stupiti di come fossero fatti questi yak, peraltro di dimensioni varie, probabilmente in base al sesso e all’età e di colori diversi: bianco, marrone e nero. Fin qui tutto bene.
Qualche chilometro dopo mi fermo a fare qualche altra foto in lontananza alla mandria che si staglia sul crinale del monte con dietro la luce bianca che filtra dalle scure nubi che si addensano sulle montagne. Fin qui tutto bene.
Riprendiamo bel belli la nostra discesa. Pochi minuti dopo, in un tratto verdeggiante di saliscendi, con la coda dell’occhio vedo a poche centinaia di metri alle spalle di Elena qualche yak in avvicinamento, apparentemente sul nostro sentiero.
Per non allarmare eccessivamente Elena, - perché poi una mandria di yak deve seguire il sentiero?, - le faccio: “Cammina, su”.
“Perché?” chiede lei.
“Cammina, cammina, vieni.”
“Ma perché?”, cominciando a spaventarsi,
“Tu cammina, poi te lo dico!”
Quando vedo spuntare a una cinquantina di metri l’intera mandria, non posso più sperare che deviino spontaneamente e ammetto la situazione di crisi: “Abbiamo gli  yak alle nostre spalle, vieni!”, la prendo per mano e cerco rifugio su dei massi piuttosto alti e scoscesi. 
Quando siamo tutti e due su, a pochi metri di distanza, ovviamente sul sentiero, ci passano davanti venti yak al galoppo che spariscono immediatamente (per fortuna riesco a immortalare gli ultimi del gruppo). 
Siamo sbalorditi dall’agilità e dalla velocità, paragonabili a quelle di capre di montagna piuttosto che a delle mucche, con cui si muovevano. Inutile dire che quando è apparso un vecchio yak ritardatario siamo schizzati di nuovo sulle rocce.
Da allora siamo andati avanti guardinghi. Quando la pendenza ce lo ha permesso, li abbiamo rivisti procedere lentamente in fila indiana, sempre lungo il sentiero, sull’altopiano qualche centinaio di metri sotto di noi.
La morale?
Che gli yak sono più agili del previsto? Che dieci metri non costituiscono necessariamente una distanza di sicurezza, soprattutto se lo yak ti sta venendo addosso già in corsa? Che la corsa serve a poco in certi casi, anzi correre può essere interpretato male?
Forse non c’è morale però vi do un consiglio: occhio agli  yak!

giovedì 2 agosto 2012

L'importanza del cappellino (ve l'avevo detto io!)

Non per dire che ve l'avevo detto, ma ve l'avevo detto!
Ora che RW di Agosto dedica ben tre pagine all'importanza del cappellino (che deve essere tecnico!) mostrandone ben 14 di marca diversa l'argomento è chiuso: d'estate è meglio correre con il cappellino piuttosto che prendere un'insolazione.
Almeno io ne avevo colto un utilizzo meno ovvio ("Sotto la pioggia (con un trucco stupido che non è un trucco)")
Ammetto che sono invidioso perché quando ho mostrato la foto della mia collezione di 5 cappellini non pensavo che ce ne fossero così tanti e belli (ne ho visto uno della Saucony di un bell'arancione... peccato che costi ben 30 euro... un cappellino: trenta euro).