Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

venerdì 30 dicembre 2011

I percorsi di allenamento a Firenze e dintorni (ripresa)

NOTA: questo post è di fatto superato. Per una situazione più recente potete riferirvi a: http://correreperfirenze.blogspot.it/2012/09/dove-correre-firenze-stato-dellarte.html
In ogni caso nella colonna sinistra potete consultare l'elenco di tutti i percorsi descritti.

Tempo addietro ho passato in rassegna i luoghi deputati alla corsa in Firenze, ossia quei comprensori che permettono di correre senza preoccuparsi delle auto, dedicando a ciascuno di essi una descrizione sintentica:

I luoghi della corsa
1.      Cascine
3.      Albereta

Poi avevo cominciato a descrivere alcuni percorsi più articolati, che purtroppo prevedono di utilizzare delle strade aperte al traffico, anche se con l'obbiettivo di minimizzare l'esposizione all'inquinamento e al pericolo utilizzando in parte parchi e in parte strade secondarie poco frequentate. La ragione di questo compromesso è semplicemente dettato dalla necessità di allenarsi più a lungo di quanto permettano i pochi parchi (o simili) già descritti e dalla mia fobia per ripetere più di una volta lo stesso percorso. Se non sono costretto da ragioni superiori cerco in tutti i modi di studiare un percorso (ovviamente circolare) che non si ripeta.
Prima di distrarmi con il racconto della maratona di Firenze del 2010 che mi ha preso per molte "puntate" avevo parlato di un paio di percorsi che utilizzo abitualmente:

I percorsi d’allenamento

Nei prossimi interventi voglio condividere con voi un altro percorso a cui ricorro soprattuto per i lunghissimi.
Poi affronterò percorsi interessanti ma più brevi per ovvie ragioni di tempo: rappresentano i miei allenamenti in pausa pranzo e pertanto non possono essere più "lunghi" di 40-50 minuti e sono locati in un'area tra Rifredi, Careggi, Castello, Quinto e Sesto e ovviamente le colline limitrofe. Cercherò di descriverli anche se ammetto che alcuni, quelli più "mossi", li conosco da poco, dato che li ho appresi - come ho avuto modo di raccontare - grazie a dei colleghi "stambecchi" che riescono a correre in salita (e in discesa) a delle andature invidiabili (e invidiate!). E li sto ancora imparando: li descriverò via via che li scopro.

mercoledì 28 dicembre 2011

Dal dentista, ovvero Rilassarsi con la corsa senza correre

(racconto scritto a gennaio scorso ma ancora inedito e molto invernale...)

Solo una pulizia dei denti ma se ho lasciato che passassero quattro anni dall’ultima volta, - Marco, mi ha detto Barbara, l’ultima pulizia è stata nel duemilasei!, quindi più cinque che quattro di anni, - ci sarà pure un motivo.
Sono stato traumatizzato da piccolo e nonostante che il mio dentista e le sue assistenti Barbara e Marzia siano carini e gentili e mi abbiano dimostrato che mi si può fare tutto senza che io debba necessariamente sentire dolore, è più forte di me, e se posso, procrastino, rimuovo la necessità di andare dal dentista dalla mia mente.
Detto ciò, la settimana scorsa è arrivato il giorno fatidico, la mia rentrée. Ero lì a bocca spalancata e occhi chiusi. Io penso che tutti tengano gli occhi chiusi dal dentista ma non ne sono sicuro, io lo faccio anche per lui, per evitargli l’imbarazzo di essere osservato dalla “bocca” mentre è lì che magari bestemmia perché è un momento critico e si vede questi due occhioni che ti guardano imploranti, come un grosso cane affettuoso che ti implora: non mi fare male. In ogni caso io tengo gli occhi chiusi, anche perché in questo modo mi posso astrarre meglio o, almeno cercare di astrarmi, non dico dimenticare ma almeno cercare.
Insomma qualche giorno fa ero lì, bocca spalancata, occhi chiusi, di tanto in tanto facevo un controllo delle varie parti: rilassare la mani aggrappate ai braccioli, rilasciare i muscoli dei glutei e della  schiena che mi tengono quasi sollevato dalla poltrona, peraltro comoda.
E dovevo trovare al più presto un pensiero rassicurante da sviluppare, aggrappandomici con forza ma senza forzature.
Ed ecco che mi è venuto in mente la corsa. Pensare alla corsa mi rilassa molto, soprattutto prima di dormire quando magari non riesco a prendere sonno e brutti pensieri cercano di insinuarsi, ecco che pensare all’allenamento del giorno dopo, che posso pre-percorrere – meravigliosamente senza fatica, e ci credo pure – oppure selezionare il percorso ottimale per il lungo del finesettimana, mi rilassa e mi addormento tranquillo. Una volta ho addirittura sognato che stavo correndo in via Villamagna e stavo chiacchierando con degli amici che andavano in auto affiancati a me... tanto che a certo punto ho pensato che ero veramente in forma se riuscivo a andare veloce come un’automobile!
E quindi ero lì a bocca aperta, occhi chiusi e glutei rilassati che ho cominciato a pensare come mi sarei vestito l’indomani mattina per il giro sulle colline di Grassina insieme a Emanuele. Oggi era prevista neve ma finora, sono le due del pomeriggio, non si è visto niente, magari potrebbe nevicare durante la notte, di certo fa molto freddo, adesso ci sono sui cinque gradi con vento fortissimo, domani mattina alle otto sarà tra zero e cinque gradi. Se ci sarà vento ne dovrò tenere conto. Comincio dall’alto: cappellino di lana (si fa per dire è sicuramente sintetico) giallo fosforescente comprato a Londra a pochi euro, poi metterò quel sottogola di pile della Northface che uso per andare in scooter, se non serve lo tengo abbassato come collare, se invece il vento fosse troppo pungente lo posso tenere stretto sopra la bocca. Poi la parte di sopra: i pantaloni lo so già, metto quelli Kalenji felpati e impermeabili nella parte anteriore dal ginocchio in su, rechauffant, c’era scritto sull’etichetta, effettivamente quelli vanno bene anche a zero gradi con la pioggia e il vento. Sembrano i pantaloni di una muta da sub, e sono piuttosto consistenti tendono a scendere, userò delle bretellone per tenerli su, allora sopra dovrò mettere una maglietta o una maglia abbastanza leggera come primo strato per non tenere le bretelle sulla pelle, e, sopra, l’indumento più opportuno. Se non tirasse vento potrei usare il “pile da corsa” che sono riuscito a indossare una sola volta, la mattina dopo la scorsa nevicata, che faceva molto freddo ma senza vento, casomai potrei mettere sopra il pile il gilet antivento giallo che farebbe pendant con il cappellino. Ecco, va detto: oltre a pretendere di scegliere il capo perfettamente adatto alle condizioni atmosferiche, esigo una combinazione cromatica che sia esteticamente ineccepibile. Neri i pantaloni e il pile, giallo il gilet e il cappello, insieme a dei guanti neri con dei bordi gialli: perfetto.
Sotto avrò le mutande tecniche boxer di colore bordeau (tanto non si vedono). Restano i calzini e le scarpe. Le scarpe sono prefissate: voglio usare le nuove Adidas con cui ho appena corso poche decine di chilometri e che voglio iniziare ai lunghi. Sono bianche con le righe nere e delle rifiniture giallo fosforescente (neanche a farlo apposta). I calzini potrebbero essere neri per riprendere la tuta, gialli per riprendere il gilet e il cappello oppure anche bianchi come le scarpe. Opto per dei calzini Torlos molto imbottiti sotto tallone e pianta e quindi anche più caldi, che sono anche piuttosto alti da permettere un’abbondante sovrapposizione con il pantalone in modo da garantire un migliore isolamento termico, non c’è niente di peggio di uno spifferino alla caviglia o ai polsi.
E se invece il vento fosse molto forte invece del pile, sia pure rinforzato dal gilet, che ripara un po’ dal vento ma certo non sigilla, potrei usare il giacchino nero della Kalenji che è garantito a zero gradi o cinque gradi con vento. Magari sotto, per sicurezza potrei mettere invece di una maglietta a mani corte (nel caso del pile avevo pensato a una UnderArmor grigia molto sottile e comprimente) potrei indossare una maglia leggera a maniche lunghe. Ma cosa? Quella gialla Nike temo che si impregnerà molto, quella blu sempre Nike comprata a New York due anni fa non ha il collo, tanto vale usare quella azzurra Asics avuta in regalo per la maratona del duemilanove, tanto non si vedrebbe da fuori, anche se però mi disturba un po’ che sia azzurra. Certo però la giacchina nera Kalenji ha l’interno del colletto di maglia azzurra... allora c’è comunque un abbinamento implicito, ancorché invisibile: quando la giacchina è chiusa, e – finezza – ha gli zip ricoperti di un materiale nero che sigilla dal vento, non si vedrà alcun azzurro, ma sarei tutto nero con cappello giallo e guanti con finiture gialle. Può andare.
Deciderò domattina in base al vento. In ogni caso mi posso portare nello zainetto l’alternattiva in modo da poter cambiare idea anche all’ultimo momento in base a come si fosse evoluta la situazione.
Barbara ha finito la parte di sotto e si sposta all’arcata superiore.
La corsa ha funzionato davvero.
Ora devo trovare un altro soggetto per il secondo tempo.

mercoledì 21 dicembre 2011

VU-O-MAX

Non so se è stato più curiosità o masochismo, o forse volevo solo bearmi di un buon risultato, di sentirmi dire che sono forte, insomma il solito bisogno di consolazione... comunque sia parlando con Fulvio avevo accettato con entusiasmo l’idea di fare il test del VO2Max (che si pronuncia Vu-O-Max, senza il due...).
Detto in soldoni serve per stabilire la soglia alla quale il lavoro passa da aerobico, ossia con contributo di ossigeno dall’esterno, a anaerobico con conseguente formazione dell’acido lattico che poi imbriglia i muscoli.
Sapere con certezza questa soglia permetterà poi di stabilire un allenamento mirato, nel mio caso l’obbiettivo sarebbe quello di migliorare il consumo di glicogeno e grassi in modo da migliorare la crisi (“è metabolica”, ha detto Fulvio dopo varie discussioni) che incontro sempre dalle parti del trentesimo chilometro.
Comunque sia stamattina mi sono presentato all’Istituto di Medicina dello Sport (su a Marignolle, all'interno del complesso di una nota palestra fiorentina) e ho affrontato con coraggio e sprezzo del pericolo questo misterioso test, di cui sapevo solo che c’era da indossare la mascherina...
Prima il dottore ha provato la misura della mascherina e mi fa: "soffi", e tappa il buco della mascherina. Io non avevo capito e ho continuato a respirare o meglio ho cercato di respirare e non ce n’era di aria dato che naso e bocca afferivano all’unica entrata che era stata tappata da lui. "Bene, - fa lui, - funziona, volevo solo verificare che aderisse perfettamente."
Già si comincia male con questa mascherina, penso io.
Appena il dottore ha finito di fissarmela alla testa tramite una sorta di imbracatura a prima vista sovrabbondante, mi vedo per caso in uno specchio e avrei voluto immortalarmi ma mi sono vergognato a chiedergli se potevo prendere il cellulare per farmi una foto: ero a metà tra Top Gun e Hannibal Lecter.
In realtà si respira bene, solo che l'aria passa tramite il buco a cui è stata applicata una ventolina che è l'unico passaggio: a parte la sensazione un po' opprimente che si accentua poi quando il respiro è forzato e la ventolina fa un po' da imbuto. Il caldo e il sudore rendono meno sopportabile quest'affare che uno ha incollato alla faccia.
Sul tapis roulant, dopo un po’ di riscaldamente il test comincia a 7,5km/h e dopo ogni minuto il dottore ruota una rotella aumentando la velocità di 0,5km/h.
Fino a 12km/h un minuto è breve. Poi comincia a allungarsi misteriosamente.
Verso i 15km/h ho avuto un'improvvisa insofferenza, avrei voluto strapparmi la mascherina, mi sono limitato a ruggire (letteralmente) indicando al dottore che non era stanchezza ma la maschera... lui bonario ha acconsentito che la mascherina era un po’ fastidiosa. Per paura di rovinare il test mi sono calmato concentrandomi sulla gigantografia di Gimondi e Merckx che avevo davanti agli occhi, ne avevo già studiato tutti i particolari, il cambio, l'abbronzatura sulle gambe di Merckx, la sua bici che porta sulla canna il suo nome, la sponsorizzazione FAEMA che non riuscivo a leggere bene sul cappellino mentre invece è ben visibile sulla maglietta, la grana dell'asfalto, le sedie a bordo strada con sopra bottiglie termiche... e allora mi ci sono concentrato ancora: 51, 51, 51, odierò questo numero che è posto su una quadratino attaccato alla canna della bici di Merckx. Ogni tanto guardo il tempo, 20 secondi: ancora presto, 45: sono a buon punto, il minuto sta per finire.
A ogni nuovo minuto il dottore mi chiede conferma se può aumentare ancora di 0,5km/h. Io mi ero prefissato almeno 17. Non so perché 17, ma temevo che 20 fosse troppo, 19 non volevo poi rimanerci male, 18 era un bel numero tondo ma non si sa mai, e allora 17: ce la dovevo fare assolutamente. A 17 ho fatto cenno con il pollice e siamo passati a 17,5. Ce la facevo ancora anche se la stanchezza cominciava a sentirsi. Allora per risparmiare energia mi concentro sulla postura, inclino leggermente il busto in avanti e cerco di non sollevare troppo i piedi, anche se non c'è da scherzare con la gomma del tapis roulant, non è asfalto lisciato e se striscio rischio di inciampare. Ormai sono a 18. Faccio ancora cenno con il pollice: 18,5. Adesso il sudore è copioso e mi cola anche il naso. Ma ho l'odiosa mascherina che non posso togliere: che schifo. Mi concentro sulla bici, lascio stare il 51 che mi ha disgustato. Il ginocchio abbronzato di Merckx con la pelle liscia, la scarpetta di pelle che sembra fatta a mano. Aumentiamo? Pollice in alto. 19. Sono alla fine ormai un minuto lo reggo ancora. Ce la facciamo un'altro minuto? Mi ha colto alla sprovvista: ero convinto di aver finito e di potermi togliere quell'affare. E che cedo proprio adesso? Pollice in alto. 19,5km/h. Non sarà granché, c'è chi ci fa una maratona intera a 20km/h e io sono qui che soffro per fare un solo  minuto, anche se dopo tutti gli altri prima, ormai è più di 20 minuti che corro. Solo 20 minuti? Sembra un'eternità. Odio questa mascherina e quello stronzo di Merckx.
È finita! Finalmente il dottore mi libera mentre rallento ma prima la mascherina, non la sopporto più.

Dopo la doccia, il dottore mi spiega i risultati del test e mi conferma che sulla base di questi parametri potrò definire un programma di allenamento adeguato “e tra sei mesi potremo fare un altro test e vedere se la velocità di sogli si è alzata, nel qual caso vorrà dire che l’allenamento ha funzionato!”
Ci sta che tra sei mesi mi sia scordato quell’odiosa mascherina.

domenica 18 dicembre 2011

Finalmente scampagnata!




Finalmente un giro in campagna, una “scampagnata”, i colori dell’autunno, colline dolci, panorami che ti riempiono gli occhi, strade tranquille, in compagnia di un amico con cui chiacchierare in piena tranquillità. Salite permettendo. Erano mesi che, causa la preparazione della maratona i lunghi del fine-settimana erano scanditi da lunghezze e velocità precise ma necessariamente pianeggianti. Ora si poteva “scherzare”...

Questo, che ho già fatto varie volte e che mi piace molto rientra a tutti gli effetti in un mio Percorso di Allenamento:


4. Ponte a Niccheri, Osteria Nuova, Antella, Capannuccia, Grassina

Asfalto / 2 salite e discese consistenti / 15 km (giro)




Il punto di ritrovo abituale è il campo sportivo di Ponte a Niccheri. Ci si dirige verso Ponte a Ema prendendo sulla destra dopo il cimitero di San Piero a Ema via del Carota. Si comincia a salire. Abbiamo incontrato due scoiattoli, di quelli europei: fulvi, scuri, con la coda lunga, che ci hanno attraversato la strada a un paio di metri di distanza. Ci siamo sentiti subito in armonia con la natura.



Quando la pendenza si addolcisce, vigne da ambo i lati, si arriva alla Fonte. Prima della farmacia sulla destra c’è una fontanella. Si prende a destra su Via Roma (questa è l’unica vera strada trafficata di tutto il percorso) fino quasi a Osteria Nuova.




Prima del paese si infila una stradina che scende sulla destra che diventa subito sterrata che ci permette di saltare il centro abitato e di tagliare per il ponte sull’autostrada.



Da qui si scende verso l’Antella ammirando la torre medievale, abitata, sulla nostra sinistra. Si taglia il paese passando per la piazza della chiesa e si affronta la seconda salita del percorso.


Arrivati a Croce Balatro si prosegue a diritto (qualcuno si può voler fermare a bere a una fontanella all’angolo con via di Belmonte).


Si prosegue seguendo la strada scendendo fino a via di Tizzano poco distante dalla Capannuccia, si gira a destra tornando verso Grassina. Pochi metri dopo si nota la nuova sede di Ermanno Scervino, ma Emanuele mi dice che lo spaccio non è aperto a tutti... se però conosci qualcuno che ci lavora...


La strada prosegue in leggera discesa fino alle prime case di Grassina dove prendiamo un percorso pedonale sulla destra che ci permette di saltare un tratto di strada.



In pieno stile Peppone e don Camillo si passa dalla Casa del Popolo e si arriva all’ACLI dove comincia una bella pista ciclabile che costeggia l’Ema (faccio notare a chi non fosse toscano che la “e” si pronuncia chiusa come  la “pésca” in mare e non come il frutto “pèsca”) fino ad arrivare di nuovo a Ponte a Niccheri dove avevamo lasciato la macchina. Qualche allungo e poi ci si riposa soddisfatti.

mercoledì 14 dicembre 2011

La Maratona di Firenze 2011: Tre folgorazioni di bellezza nel buio di fatica

1. La somma di curva e pendenza per salire su ponte Santa Trinita sono un appuntamento assai temuto. Ormai lo so e mi ci butto di peso, cercando di sfruttare la forza di gravità per oltrepassare l’ostacolo. Giro la testa a sinistra: una luce gialla illumina attraverso l'aria tersa il Ponte Vecchio, il cielo azzurro senza una nuvola gli fa da contorno, l'arno piatto come uno specchio mostrava un secondo ponte vecchio uguale e contrario al primo. È una frazione di secondo e ripiombo nella mia bolla di dolore.
“Tira fuori le ultime briciole”, mi incoraggia Slagjana.
“Ma le ho tirate fuori due chilometri fa, le ultime briciole – protesto infantilmente – non ne posso più!...


2. Da Por Santa Maria attacco la salita verso Piazza Signoria, pochi gradi ma al trentanovesimo chilometro è una salita. Davanti a me la mole imponente di Palazzo Vecchio, la luce proveniente dagli Uffizi illumina radente il palazzo evidenziandone i singoli blocchi di bugnato che sporgono in modo sovrareale.
Piazza della Signoria


3. Ormai siamo quasi al quarantesimo, spuntiamo in Piazza Duomo e una voce, è uno dei sodali che mi circonda, ma non so chi sia, dice: “alzate gli occhi, che spettacolo!” e qualche altro “oh!” e ancora: “per forza vengono da tutto il mondo per correre questa maratona!”
Alzo gli occhi anche io, rassegnato alla banalità dei commenti, ma apprezzo la magnificenza della facciata del duomo, che peraltro a me non è mai piaciuta e continua a non piacere, dato che è ottocentesca e troppo ridondante rispetto al resto della cattedrale, molto più sobrio, però fa la sua figura. Riabbasso immediatamente la testa, stando attento a dove metto i piedi, ormai sto correndo sulle uova anziché sui lastroni del selciato.
A poche centinaia di metri dall'arrivo... con la mia PPM


martedì 13 dicembre 2011

Giro in moto. Con sconosciuti


Sarà successo anche a voi che gli amici dicano: andiamo a fare un giro in moto sull'appennino (o dove volete voi, ma di solito le salite piacciono di più a chi va in moto) e voi pensando che "giro in moto" sia un modo di dire generico, nel senso che si sottointenda: non in motorino...
Insomma voi vi presentate con il vespone e gli altri hanno tutti almeno un 750... 
Provate a fare un giro con un vespone stando dietro, o meglio: cercando di stare dietro agli amici in moto... 


Ecco mi è successa un po' la stessa cosa, la settimana scorsa. Solo che il vespone ero io. 


Mai, ripeto mai, accettare di andare in giro con degli sconosciuti, e per sconosciuti non intendo dire che non sapete come si chiamano, quello non basta, bisogna anche sapere chi sono, nella metafora di prima bisogna sapere con che moto vanno a giro...


Scena: pausa pranzo, giornata solatia, appena fuori dal cancello i soliti noti, solo che stavolta si sono trovati un paio di gruppi distinti di soliti noti, qualcuno ha detto: noi andiamo a - non so dove perché non conoscevo il posto - ... si fa il muro inverso, cosa che mi lasciava indifferente dato che non sapevo neppure quale fosse il muro diritto, figurarsi quello inverso.
E siccome del mio usuale gruppo eravamo solo in due, è stato facile essere cortesi e dire: non vogliamo sapere nulla, veniamo con voi, almeno si impara un giro nuovo...
Siamo partiti tranquilli, io sorridevo sicuro, anche se era la seconda uscita dopo la maratona di poco più di una settimana prima. 
E qualcuno avverte: noi si prende il tempo dall'uscita del parco. 
Vabbene, - faccio io, che ancora non volevo capire, - io non ho obbiettivi, pertanto mi va bene di contare pure il riscaldamento... 
All'uscita del parco sono partiti: nel giro di poche centinaia di metri ero indubbiamente l'ultimo e non riuscivo a recuperare, non volevo guardare il garmin perché avevo appena detto a loro e a me stesso che non avevo obbiettivi ma a un certo punto mi scappa l'occhiata: 4.40 e continuavo a perdere terreno...
Comincia la salita e per fortuna almeno il penultimo lo tengo a distanza costante, anzi verso la fine, o meglio verso quella che io pensavo la fine delle salita, di quella piccola parte della salita che io conoscevo, lo raggiungo e lo supero, tzè! penso: ora recupero. 
Inquadro il prossimo davanti a me e cerco di avvicinarmi. 
Però subdolamente la salita riprende e io sono a una decina di metri, e anzi devo fare attenzione a non perderlo perché non conosco la strada... la salita prosegue sempre più ripida. 
Vedo il limitare del bosco che corona la collina, di certo non possiamo salire di più: la collina finisce lì, mi dico per tirarmi su. Solo che il "lì" può ingannare soprattutto se te lo devi fare a piedi, e la pendenza è tale che in un punto ho dubitato di fermarmi e proseguire al passo. Invece resisto. 
A un certo punto non vedo più nessuno e lancio un grido senza alcuna vergogna: aspettatemi che non conosco la strada. 
Infatti alla curva dopo vedo uno che fa capolino e mi indica da che parte girare. 
E' un attimo, quando spunto sulla strada e faccio per seguirlo non c'è più nessuno e per tutta la discesa, peraltro all'inizio molto pendente, non vedo più nessuno.


Ho visto dei panorami bellissimi di Firenze da quella collina, e anche venir giù spensierato con falcata sciolta mentre la pendenza si riduceva è stato piacevole, però mentre tornavo ho pensato: ma io sto facendo un giro "su di me", sono io il mezzo di trasporto, e se non ce la faccio e mi fermo o mi rompo, il giro finisce e sono io che si ferma o si rompe, e non potevo riposarmi e guardare solo il panorama perché "io" dovevo portarmi a casa. Dove gli altri era già arrivati e magari si stavano già facendo la doccia.
Maledetti! non ci vengo più a fare un giro con voi!


PS: devo riprendere gli appunti sui percorsi di allenamento. La prossima sezione sarà per la zona di Quinto, Sesto e le colline sopra Careggi. Se sopravvivo.
PS2: mi hanno fatto male i quadricipiti per tre giorni... Maledetti! ma come fanno!?!

mercoledì 7 dicembre 2011

Alimentazione... non ci si azzecca mai!

Quando si tratta di mangiare, sarà perché siamo italiani, ognuno ha dritta giusta, il rimedio della nonna, me l'ha detto un amico che va forte...

In passato ho cercato di tener conto di articoli specialistici, suggerimenti di esperti, per poi arrivare a conclusioni, non dico di saggezza popolare, ma almeno di puro buon senso.

Basti solo un esempio: la domenica prima della scorsa maratona stavo facendo la sgambatina insieme al gruppo di Fulvio Massini. Stavo chiacchierando con due compagni di corsa e a un certo punto, argomento sicuro di conversazione, butto lì: "ma voi come mangerete i giorni prima della corsa?"
tanto ero sicuro che ne sarebbe sorta una discussione che ci avrebbe distratto per vari chilometri (peraltro: la ciclabile fino al Girone è pressoché finita e comunque ben percorribile). 
Uno dei due, in perfetta buona fede e sicurezza comincia a dire che un suo amico (ovviamente) gli ha consigliato di non mangiare carboidrati da lunedì a mercoledì per poi concentrarcisi da giovedì a sabato...
Senza che ce ne accorgiamo, piomba come un fulmine Fulvio - in bicletta, gli piace vincere facile, eh! - che ci guarda sorridendo: "il carico/scarico? non si fa più dagli anni settanta!..." e si invola.
Discussione stroncata, ho dovuto cercare un altro argomento...

E allora? e allora anche a sentire lui ma anche il Gatteschi si era espresso in modo analogo, non bisogna esagerare, fare cose strane che di solito non facciamo onde evitare conseguenze imprevedibili in gara...
E allora? Non ci resta che leggere di tutto e ascoltare di tutto, e poi fare come ci pare?...

Non lo posso allegare per ovvie ragioni di copyright però vi consiglio l'ultimo articolo di Dimity McDowell e Luca Gatteschi sull'argomento, lo trovate sul Runner's World di Dicembre,  purtroppo uscito il giorno dopo la maratona... accidenti! (sul sito http://www.runnersworld.it/ ancora non c'è però ce ne sono di passati nella sezione Nutrition)

domenica 4 dicembre 2011

La maratona di Firenze 2011 - Tema in classe

Alla fine della maratona ero talmente distrutto che non mi sono accorto che i miei nipoti erano lì, all'ultima curva, fare il tifo per me. Quando l'ho saputo mi è dispiaciuto moltissimo di aver perduto l'occasione di sentire e vedere il loro incitamento.
Oggi ho avuto il piacere di leggere il tema che Sofia, quarta elementare, ha scritto lunedì scorso, meritando un bel BRAVISSIMA!
Anche lo zio ne è fiero!
Ve lo allego



Le foto di me che corro - una riflessione dolceamara

Alla fine Elena è sbottata: “Non se ne può più di foto di gente che corre, di filmini di gente che corre, quando finirà questa rievocazione?”
Ha proprio usato questo termine, rievocazione, che ho apprezzato perché rende la sacralità che io tributo all’evento.
“Io non ho vissuto questa esperienza percui non mi dice niente, se non che vedo te che corri, come ti vedo in tante altre occasioni.”

E qui ho capito due cose fondamentali, legate all’esperienza e la visione.

Innanzitutto ha senso, o almeno ha più senso, celebrare un evento con chi lo ha, almeno in una certa misura, condiviso con te.
Mancando a questa condizione, ossia l’esperienza comune, io pensavo comunque di far cosa gradita a mia moglie nel mostrarle immagini di me, amato maritino, in un determinato contesto che mi rendeva particolarmente fiero di me medesimo. Evidentemente mi sbagliavo.

Però qui si verifica la seconda "comprensione": quello che per me è eccezionale, ossia vedere immagini di me che corro, per lei - e per gli altri in generale - è cosa molto più normale. Innanzitutto perché mi vede in continuazione, cosa che invece non vale per me stesso, tranne che nei momenti in cui mi trovo davanti a uno specchio, e poi mi vede anche correre, almeno partire e tornare, abbastanza spesso.
E qui per me invece è l’aspetto più estraneo: io non mi vedo mai correre, e mentre è usuale farsi foto mentre si cammina in montagna o mentre si festeggia un compleanno assai più difficile che ci sia qualcuno che mi fotografa mentre corro.
Per questo nella partecipazione a una gara, oltre alla soddisfazione del prendere parte, del gesto atletico, c’è anche una ricompensa particolarmente apprezzata: qualche foto che mi immortala in un momento in cui i miei cari non mi stanno vedendo e soprattutto io non mi sarei mai visto.
È la prospettiva che è completamente diversa, la situazione della corsa è puramente intima, vissuta solo con me e con chi sta correndo in quel momento con me, ammesso che ci sia qualcuno, ma soprattutto i miei ricordi sono le sensazioni che provavo in quella situazione associati con le immagini che i miei occhi inquadravano nel momento in cui provavo tali emozioni. Una specie di colonna “visiva” delle mie emozioni o viceversa le mie emozioni sono la colonna emotiva delle immagini che scorrevano davanti a me.
In tutto ciò però manca la mia immagine. È per questo che mi colpisce, mi incuriosisce e talvolta mi commuove vedere un me stesso che corre, che fatica, che sorride, meglio ancora se non si accorge di essere fotografato: allora corro al ricordo di quel momento vissuto dalla parte giusta, cioè da dentro e rivedo cosa vedevo e sentivo, cosa vivevo io in quell’istante cristallizzato dalla foto che trattiene il me stesso in quell’istante.

Non c’è da meravigliarsi che allora mi venga spontaneo correre da Elena con la foto e condividere con lei il mio stupore, la mia commozione.

Non c’è da meravigliarsi che allora a lei quella foto non desti che un sorriso di simpatia per l’amato maritino fissato con la corsa, il suo eterno bambino che gioca in pantaloncini corti.

Va bene, ho capito un paio di cose, e ora torno a gustarmi quelle immagini sacre e mi perdo nel rievocare quei momenti tutti miei.

lunedì 28 novembre 2011

Maratona di Firenze 2011 - Il giorno dopo

La giornata da un punto di vista meteorologico è stata perfetta: fresca ma solatia.
Ho avuto la fortuna di correre con tre compagni di avventura eccezionali, eravamo diventati una squadra, chi controllava il passo corrente, chi verificava discrepanze con il ruolino di marcia, una voce di tanto per verificare che tutti fossimo vicini, se andava tutto bene, un'occhiata a un compagno che rientrava nei ranghi dopo un rapido pit-stop...
Fino al 25°km è stata una passeggiata, poi abbiamo cominciato a risparmiare le energie, se non comunicazioni essenziali.
Al trentesimo ci siamo prima bi-partiti, per poi sfrangiarci ognuno della propria lotta personale.
Ammetto che un paio di noi hanno avuto un ausilio supplementare, il "Personal Pace Maker del 30°"...
Ammetto che dal 33°km ho cominciato a soffrire e a rallentare progressivamente e inesorabilmente... non so come sarei arrivato senza il costante incoraggiamento del mio angelo custode.
Nonostante la sofferenza sempre maggiore, ho avuto degli squarci di bellezza incredibile: sul ponte Santa Trinita ho visto per un attimo il Ponte Vecchio illuminato da una calda luce autunnale riflettersi perfettamente in uno specchio di acqua immobile. Entrando da Por Santa Maria ho percepito il bugnato di Palazzo della Signoria sporgere grazie alla luce radente. Quasi al quarantesimo chilometro e ormai privo di ogni volontà ho sentito un vicino esclamare: ma che bellezza, alzate gli occhi, guardate come è bello il Duomo!
Oltre ad aver condiviso una mattinata con un gruppo di persone care e con migliaia di appassionati, in gara ma solidali, oltre alla splendida giornata e alla bellezza della nostra città, sono riuscito a migliorare il mio personale: 3h51'20". Non è granché ma per me è un miglioramento (e non di poco) rispetto alla maratona precedente.
In quegli ultimi fatidici chilometri pensavo: mai più. Però sapevo che poi mi sarebbe bastato scordarmi di quella fatica per progettare la prossima maratona...

sabato 26 novembre 2011

Maratona di Firenze 2011 - Tempo di vigilia - 5

Il pisolo del pomeriggio prima

Oggi pomeriggio ho cercato di pisolare senza successo.

Un pensiero che mi rilassa e mi incoraggia al sonno è la corsa. Per evitare brutti pensieri mentre sto per addormentarmi, il mio strategemma infallibile è precorrere l’allenamento del giorno dopo o del fine settimana, vedermelo, gustarmelo (tanto la fatica non si sente mentre si pensa e quasi si sogna, quindi me lo gusto davvero).

Oggi durante il mio pisolo ho tentato di mettere in pratica lo stratagemma infallibile ma stavolta c’era il fattore adrenalinico che ha frustrato il tentativo: pensando alla corsa di domattina mi emozionavo e quindi mi risvegliavo...

Ho rinunciato al pisolo, mi sono solo riposato fisicamente. Però ho notato una cosa: il pensiero di domattina pur agitandomi, mi rendeva felice: la visione di me che incontro i miei amici e colleghi con cui ho già fissato per almeno partire insieme mi rendeva contento.
Condividere un impresa, una fatica con persone che mi sono care.
Ma poi allargando la prospettiva, so già che condividerla anche con migliaia di sconosciuti mi renderà allegro e felice.
La stupefacente bellezza della maratona è che mentre i primi gareggiano per vincere, gli altri gareggiano per fare bene ma non per battere il vicino di gara, anzi quello è un amico, un sostegno, un sodale.
Una "gara-con" anziché una "gara-contro"
Certo agli ultimi cinquecento metri tutti cercano di “vincere”, o di superare qualcuno o almeno di non essere superati, ma dura pochi minuti, che cosa sono pochi minuti rispetto a quattr’ore o giù di lì?

Maratona di Firenze 2011 - Tempo di vigilia - 4

MEMORANDA

Vestizione
  • Mutande tecniche
  • Pantaloncini blu
  • Maglia a manica corta (compression)senza maniche blu UA oppure a manica lunga UA oppure manica lunga Adidas bianca
  • Canottiera
  • Gilet antivento azzurro
  • Calzini bianchi (torloss)
  • Gambaletti booster
  • Polsini
  • Cappellino
  • Guanti
  • Collare fucsia
  • Cardio
  • Garmin
  • Tuta da buttare
  • Scarpe nike structure triax
  • 2 minipack Enervit
  • 5€
  • Cellulare
  • Impermeabile di nylon dell’organizzazione

Da portare x prima della gara
  • barretta tecnica red
  • fruttino
  • bottiglietta con pre-gara

Nella borsa per dopo:
  • calzini
  • tuta asciutta
  • asciugamano
  • bottiglia recupero

Maratona di Firenze 2011 - Tempo di vigilia - 3


E' il mio problema esistenziale: azzeccare la tenuta. Non sia mai che abbia a soffrire di caldo o di freddo mentre corro. A parte, ovviamente, i primi ottocento metri, un chilometro di attemperamento, in cui si può avere, e si avrà, freddo.


Razionalizziamo:
Le previsioni de ilmeteo.it per domenica sono:
5 °C @ 9.00
12 °C @ 13.00
Sole con poco vento

ma in realtà sono le stesse previsioni che c'erano per i giorni scorsi e se qualcuno di voi è andato a correre a mezzogiorno giovedì o venerdì (io sono andato giovedì) avrà sentito un bel caldo, al sole, nonostante il vento che era effettivamente previsto di media intensità, cosa che non dovrebbe registrarsi domenica.

Pertanto mi sto arrendendo alla seguente considerazione
1. non pioverà (e questo è bene)
2. non farà "abbastanza" freddo (e questo è meno bene: per me l'ideale sarebbe stato tra i 5 e i 10°C, in modo da avere sempre un raffreddamento esterno senza però soffrire il freddo, a parte i primi minuti).

Passando in rassegna il mio guardaroba comincio la cernita:
- le maglie UnderArmour compression a manica lunga (che io adoro) sono eccessive e, sia pure a malincuore, ci devo rinunciare.
- ne ho una versione sempre pesantina ma a manica corta ma temo che sia comunque troppo calda.
- alleggerendosi di un livello avevo considerato una maglia Adidas (sempre a compressione) molto sottile sempre a manica lunga (ultimo acquisto di nascosto a mia moglie) ma il dubbio è: a cosa serve la manica se non fa freddo e non tira vento?
- Se “scaliamo” di pesantezza si passa alle maniche corte ma leggere.
qui la scelta è varia, ma vale un criterio, quello che si corre per quasi quattro ore e non mi posso permettere escoriazioni o scorticamenti (tipo ai capezzoli), pertanto anche qui la scelta si restringe a quelle aderenti, e tra queste la mia preferenza va a quelle comprimenti, che non comprimono come quelle invernali ma comunque di sicuro non strusciano.


Ovviamente, qualunque sia la mia scelta, sopra andrà la canotta con il logo che potrebbe avere anche una funzione antivento dato che non traspira minimimamente, ma per fortuna non ci sarà il vento... quindi farà solo da sostegno per il logo.


Ricapitolando, mi sa che opterò per una tenuta - per i miei gusti - un tantino leggera ma è giusto così, bisogna stare un po' più leggeri di quello che vorremmo quando siamo fermi.
Ovviamente i veri runners non hanno dubbi: canotta e pantaloncini frù-frù (quelli scosciati che io odio e ho nascosto nel fondo del cassetto). Ma tanto i veri runners non fanno caso alle mie fisime...

Nota per chi è alla prima maratona: ricordatevi che dovremo stare pressoché nudi come bruchi per almeno mezz'ora (8.45-9.15) ma forse anche di più. Quindi se volete prendere parte alla grande OLA della partenza procacciatevi una tuta vecchia, da dismettere o da due lire (neanche euro, lire!) che dopo averla utilizzata per mantenervi a una temperatura accettabile non vi sentiate in colpa a buttare via. Tanto vengono raccolte e date in beneficienza (dicono, io non ho mai verificato: però fa sentire la coscienza un minimo più a posto)

Maratona di Firenze 2011 - Tempo di vigilia - 2

Il PPM

Sono sicuro che ognuno di noi vorrebbe averne uno. È il Personal Pace Maker.
Quello con i palloncini direte voi.
Ma voi vi fidereste di uno con i palloncini?
E poi che mi interessa avere uno che alla partenza mi dice a quanto devo andare? Riesce a tutti andare a un passo finché si è lucidi, basta un garmin o simili. Certo, a patto di guardarlo e di avere l’accortezza di rallentare, soprattutto all’inizio.

Quello che invece fa la differenza è un sostegno individuale, proprio per me, ma quando ne ho bisogno io, ossia dal trentesimo chilomentro in poi.

Io l'ho fatto, senza che nessuno me lo chiedesse, anche se l'ho dovuto fare in bicicletta perché allora non ero in grado di accompagnare un collega per dieci chilomnetri all'andatura che lui teneva nei suoi ultimi dieci... lui era abbattuto dal freddo e dalla pioggia, e io mi sono vergognato pure.
Ma lui il giorno dopo mi ha ringraziato tanto per quel gesto, per me minimo e che pensavo minimo anche per lui, visto che lo avevo solo accompagnato e per giunta in bicicletta, e invece lui mi ha sempre detto che il solo fatto di avergli fatto compagnia, di averlo incoraggiato, di averlo distratto, gli aveva permesso di andare avanti e di superare un momento veramente duro nel quale aveva seriamente pensato di ritirarsi.

L'anno dopo l'ho provato in prima persona, e quando al piazzale delle cascine vidi Leonardo che si toglieva un giaccone e superava le barriere per affiancarmi, ricordo che tirai un sospiro di sollievo... e quanto mi aiutò per tutti gli ultimi terribili chilometri.
Anno scorso stesso copione, Emanuele mi aspettava nei dintorni del ventiseiesimo chilometro e mi ha accompagnato fino alla fine.

Quest'anno ero abituato all'idea di correre da solo, ma quando ieri Leonardo mi ha chiamato e ha buttato lì, se mi interessasse un accompagnatore, ammetto che sono rimasto sorpreso, avevo pensato alla crisi del trentesimo e alla strategia suicida, ma non avevo pensato di poter usufruire di un tale aiuto.
Ma quando ho solo per un istante realizzato questa possibilità l’ho ringraziato immediatamente e ho accettato l'offerta.
Forse è da vigliacchi, prima o poi una maratona tutta da solo la dovrò fare.
La prossima, magari.

Io, ancora oggi, sono fiero di aver aiutato Andrea, sia pure nel mio piccolo. E non mi vergogno di aver ricevuto aiuto da altri colleghi e amici, anzi lo accetto quanto più sono convinto che se mi si ripresentasse l'occasione mi presterei a aiutare un altro collega o amico.
Non è necessario sdebitarsi reciprocamente, ci si può sdebitare in modo transitivo, con il prossimo-tuo-runner, e sentirsi in pace con se stesso e con il mondo che corre.
Pertanto il mio invito a chiunque di voi NON partecipi alla maratona, perché magari non si sente in grado di correre più di 10 o 15 km, non si lasci scappare l'occasione per una buona azione, si guardi intorno e se ha un amico o un collega che la corre, si offra di essere il suo PPM per gli ultimi chilometri.
E se quello si schernisce, insista: magari quello lo fa per pudore, dica che comunque una sgambatina domenica la farebbe comunque...
Non se se pentirà

Maratona di Firenze 2011 - Tempo di vigilia - 1

Quello che è fatto, è fatto. Se siete arrivati qui senza rompervi (cosa abbastanza facile, come alcuni di voi hanno potuto constatare) a questo punto c'è solo da fare in modo che domenica mattina alle 8.45 siamo dentro le gabbie. Poi sarà quel che sarà, e ce lo racconteremo lunedì prossimo.

La strategia di corsa, ognuno ha la sua. Oppure non ce l'ha: basta arrivare...
Di solito almeno un obbiettivo di tempo ce l'abbiamo tutti, esplicito o implicito,  nel nostro intimo. I più avventati lo dicono agli amici... altri se lo tengono dentro, non sa mai... non avesse a portar male!
Io sono tra quelli che lo dicono. Ma non per fare lo sborone, - anche perché che sborone vuoi fare se sei lì che cerchi di stare sotto le 4 ore!..., - ma soprattutto per cercare di esorcizzare questa sorta di impresa che sento ciclopica, perché una volta detto, questo qualcosa prende consistenza e poi ci credo di più anche io stesso... solo che una volta detto, poi lunedì prossimo mi espongo al ludibrio della folla, o più semplicemente alla compassione dei compagni di corsa che fanno un rapido confronto tra il risultato e l'obbiettivo...
Lo so ma fa parte dei rischi, e certo sarà più dura la fatica che non la vergogna di un eventuale risultato sotto le aspettative!
Allora: obbiettivo primario: 3h50'. Sogno: 3h45'. L'ho detto.
La mia strategia (suicida) sarà la seguente: i primi 30km a 5.15-5.20 e poi "'ndo co'io,co'io".
Sì perché, come ho avuto già modo di annoiare i miei compagni di corsa, ormai è dimostrato che, sia che mangi o che non mangi, anche se tengo un passo di tutto riposo (tipo 5.40) quando arrivo al 29-30km ecco che vado in crisi e comincio a decelerare senza possibilità di inversione di tendenza (a parte l'ultimo chilometro, detto anche "chilometro dell'orgoglio").

Poi rivedrò la lista delle cose da portare come me. Con me, sottolineo, voi porterete di meno, di più o di diverso, ma non si sa mai che magari vi aiuti a ricordarvi qualcosa che se vi scordaste vi  infastidirebbe domenica mattina alle 8.45...

lunedì 7 novembre 2011

La Maratona di Firenze 2010 - 16

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Dopo

È finita. Tutto è ovattato, come quando la febbre è passata ma ancora non stai bene. Mi muovo lentamente, mi aggiro per casa disorientato. Elena mi prepara una pasta, non so neppure io cosa mi va di mangiare e se mi va di mangiare. Nel dubbio, decido di mangiare, anche se sono già le tre e mezzo quando mi siedo debolmente in cucina. Mi sembra di essere un paziente sotto osservazione, per fortuna Elena è affettuosa e evita asserzioni, usuali durante la preparazione, del tipo “il male voluto non è mai troppo” perché adesso soccomberei. Ho bisogno di cura e non che mi si ricordi che se sono fava e mi vado a autodistruggere è colpa mia.
Mangio meccanicamente, non riesco a gustarmi i maccheroni integrali (ben cento grammi!) con un ricco sugo di pomodoro che mi vengono serviti amorevolmente.
Poi alzo e mi indirizzo, sempre lentamente verso il letto. Sono troppo stanco per dormire e soprattutto non so dove mettere le gambe: in qualunque posizione sono a rischio crampo, c’è poco da fare: per ogni muscolo che stendo ce n’è senz’altro uno che invece si contrae... una posizione che trovo rilassante è su un fianco con le gambe né stese né piegate, una via di mezzo che non mi mette troppo a rischio ma non soddisfa davvero nessun muscolo, desideroso di stendersi totalmente.
Un riposino faticoso, come quando si dorme con la febbre.
Quando mi alzerò, sempre con grande cautela anche nel ruotare le gambe da sdraiate a verticali, quasi che le ginocchia possano piegarsi di lato e non nel verso giusto, sarò ancora stanco ma un po’ meno.
Quando mi alzerò domani mattina sarò stronco ma ancora un po’ meno. In ufficio camminerò più lentamente del solito, con particolare attenzione ai cambi di direzione e, ahi ahi, ai gradini, sia in su che in giù. Però via via che passa il tempo, mi accorgerò che cammino con minor difficoltà fino a che, magari martedì, realizzerò che non ci sto più facendo attenzione e sto camminando normalmente. Ma sarò contento di ubbidire al comandamento di Fulvio di aspettare almeno una settimana prima di calzare di nuovo le scarpe da corsa.
Di tanto in tanto, mentre sono da solo, penserò con piacere e orgoglio all’impresa, mi commuoverò anche un po’ a ripercorrere quegli ultimi chilometri, però potrò, senza mancanza, aspettare ancora qualche giorno senza correre.

La morale, dunque. È molto semplice: l’importante è arrivare sano. Tutto il resto viene dopo.
Dopo si ricorderà solo di avercela fatta, o magari di aver fatto un buon tempo rispetto all’anno precedente, di essersi migliorato. Ma è un sovrappiù. Per poter festeggiare bisogna esserci. E essere sani. Ce l’ho fatta. Ci ho messo ventidue minuti meno dell’anno scorso ma soprattutto ho sofferto meno e sono arrivato più integro.

La lista del giorno prima! La devo aggiornare: la prossima volta sarà bene che consideri anche i guanti, poi magari decido di non prenderli ma deve essere una scelta. Allora ricordiamoci di modificare il file, sennò poi alla fine me li scordo: i guanti!

venerdì 4 novembre 2011

La Maratona di Firenze 2010 - 15

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42.195km e oltre


L’arrivo, stavolta non lo faccio lasciando che tutti mi sorpassino come l’anno scorso, stavolta resisto e aumento la velocità sia pur di poco tanto da superare almeno qualcuno.
Tappeto azzurro.
Per timore di essere irriconoscibile nelle foto, almeno all’arrivo, mi tolgo il cappellino, ma non lo getto come molti altri hanno fatto a giudicare dai tanti cappellini che giacciono sul tappeto fradicio, al mio cappellino Nike ci sono affezionato e non lo mollo ma lo tengo in mano, e l’altra me la passo tra i capelli fradici incollati alla testa con la forma del cappellino, per aggiustarmi, come se in queste condizioni fosse possibile farmi bello per la foto all’arrivo.
Il pubblico, la colonna sonora, la felicità, sento annunciare il mio nome, il tempo sul display ufficiale dice 4 ore 13 minuti, ma il mio Garmin dice 4 ore e 9 minuti, quello che si dice “real time” dato che non il tempo atteso per passare dal via non conta, o almeno non conta per me.


Sono stanco ma riesco a camminare, urto un partecipante arrivato subito prima o subito dopo di me, ci guardiamo sorridenti e solidali, dove si prende la medaglia? Quella è la prova provata della fatica e dell’essere arrivati in fondo. Eccola, due volontari ci danno una medagliona a testa, con nostra soddisfazione condivisa, non ci eravamo mai visti prima e non ci vedremo poi, però siamo compagni di ventura.
Di Domopak me ne faccio dare due fogli, melius abundare quam deficiere, uno me lo metto come gonna mentre l’altro lo indosso come scialle.
Continuo a seguire docile il percorso guidato. Anno scorso qui in via Verdi al di là delle reti vidi Elena e scoppiai a piangere per la commozione, la stanchezza, la contentezza. Stavolta la cerco ma non la vedo. Mantengo la calma, sto benino, accetto una busta di plastica bianca da una volontaria, la busta di conforto. Dentro un cornetto del Mulino Bianco, un’arancia, una bottiglietta di acqua e una con un succo di mela e pera, non mi piace la pera ma deve essere buono.
Mi dirigo verso la Biblioteca Nazionale per poi riguadagnare i TIR dove ho lasciato lo zainetto. Intanto potrei bere il succo. Provo a aprire il tappo a vite ovviamente sigillato. Non ce la faccio, riprovo, niente da fare, ho le mani quasi congelate. Affianco una signora che osserva i corridori passare e le chiedo un piacere… le tengo l’ombrello mentre lei mi apre la bottiglietta.
Camminando con fatica arrivo al container con l’intervallo di pettorali in cui cade il mio. C’è una piccola folla di persone stanche e affaticate che reclamano il loro numero, e tre volontari che fanno avanti e indietro con lo zainetto corrispondente, qualcuno chiede più numeri alla volta per far prima ma è anche facile capire male il numero nella confusione e quindi fare un viaggio in più anziché in meno. Alla fine riesco ad avere il mio.
Adesso ho il sacchetto con i vestiti asciutti. Il problema è dove cambiarsi visto che sta piovendo. Sotto il container c’è giusto l’altezza delle zampe che lo tengono sospeso, circa un metro. Ci sono già vari corridori che si stanno cambiando alla meno peggio, il problema è che non ci si può neppure sedere per terra dato che è bagnato pure lì: ormai sono ore che piove. Ecco a cosa serve adesso il secondo Domopak: lo stendo per terra e mi ci siedo sopra. Poi comincio a slacciarmi una scarpa. Mi accorgo subito che sarà molto più difficile di quanto immaginassi dato che ho le dita quasi congelate e come non riuscivo a aprire una bottiglietta, non ho la sensibilità per snodare un fiocco triplo. Sono così soddisfatto che non mi scoraggio, lentamente ce la faccio e tolgo una scarpa. E un calzino. Tutto con molta attenzione perché basta uno sforzo eccessivo che arriva un crampo in un qualche posto a caso: piede, polpaccio, coscia. Ripeto con tenacia anche per l’altro piede. Poi tolgo i pantaloncini mi infilo i pantaloni asciutti – che bello, la sensazione dell’asciutto – della tuta. Anche infilarsi i calzini puliti è un’impresa ma alla fine posso rimettermi le scarpe, allacciandole lentamente. Togliersi la maglia UnderArmour è veramente difficile, già è difficile togliersela da in piedi tanto è aderente, figurarsi seduto sotto un container. Comunque riesco a mettermi anche la parte superiore della tuta. A questo punto è fatta e cerco di alzarmi e mi rendo conto che da seduto non ci riesco né riesco, per colpa della stanchezza, a girarmi su me stesso e aiutarmi su quattro zampe. Allora con vergogna mista a simpatia chiedo al vicino se mi dà una mano, non che lui sia messo molto meglio ma almeno è già in piedi, sia pure piegato in due sotto il container. Dopo un paio di goffi tentativi ce la facciamo e sono su due gambe. Raggruppo tutti gli indumenti fradici nello zainetto da cui ho estratto le cose asciutte e esco dall’angusto rifugio.

Mi rendo conto che non si riesce mai a pensare proprio a tutto: sono cambiato e con addosso vestiti asciutti ma non ho un impermiabile per ripararmi dalla pioggia: non avevo previsto che avrebbe piovuto ininterrottamente anche dopo la fine della corsa.
Suona il cellulare. È Elena che era rimasta dall’altra parte della piazza per i vari cordoni di sicurezza. Alla fine mi raggiunge.
Traballante, coperto con difficoltà dall’ombrellino di Elena, arriviamo allo scooter dove abbiamo l’ulteriore prova da superare: indossare la tuta impermiabile. Infine tornare a casa: ma sono in grado di guidare lo scooter, con Elena dietro? Per fortuna il baricentro dello scooter è molto basso e riesco a stare in equilibrio da fermo senza difficoltà. Elena sale. Ancora tutto a posto. Partiamo piano e poi prendo sicurezza e torniamo a casa.

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