Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

domenica 26 gennaio 2014

Il Running Entertrainer (hai letto tutte le erre?)

“Eh, lui sì che corre!” dice Marco indicandomi con un cenno della testa a un collega che non conosco mentre mi incrociano in corridoio.
“Mah, - faccio io imbarazzato, - più che correre faccio l’animatore, l’intrattenitore di quelli che corrono!”
Ci siamo lasciati salutandoci ma il loro sguardo stupito mi ci ha fatto ripensare: questa storia dell’animatore l’ho già tirata fuori un paio di volte, un po’ per uscire dall’imbarazzo, perché rispetto a buona parte dei miei amici e colleghi del gruppo podistico corro più piano e quindi usare lo stesso termine, correre, per tutti, e in particolare per me, mi pare esagerato, d’altra parte ci saranno senz’altro tanti altri a cui non penso che corrono più lentamente di me e quindi è esagerato anche il mio imbarazzo. Però oltre all’imbarazzo c’è dell’altro: tra il blog, i racconti in cui mi lancio durante le uscite collettive, le barzellette, in fondo quello che cerco di fare è di rendermi utile animando il gruppo. Ossia fare un po’ l’animatore.
Dopo il Running Motivator (decantato da un po’ di mesi su ‘Correre’ a colpi di intere paginate, ma che mi lascia assai dubbioso) ecco il ‘Running Entertainer’.
Entertainer... trainer: l’assonanza fa scoccare la scintilla ed ecco il neologismo: ‘entertrainer’ che è, a seconda dell’occasione, un ‘entertaining trainer’, un allenatore che ti intrattiene, o un ‘training entertainer’, un intrattenitore che ti fa allenare.
A pensarci bene però il problema, per essere un valido ‘entertrainer’, è che tu vada al passo con il tuo ‘entertrained’, quindi si può fare in “discesa” ma difficilmente potrò intrattenere qualcuno che corra più veloce di me. E questo, indubbiamente, mi taglia la buona parte del mercato. Peccato ho perso una interessante opportunità lavorativa.

Nonostante ciò continuo a pensarci: cosa fa il ‘Running Entertrainer’?

Prima. Progetta il percorso in base alla distanza da percorrere (tra un’uscita da una decina di chilometri e un lungo da una trentina c’è una bella differenza, e in quest’ultimo caso la difficoltà risiede più nel non ripetersi per non annoiarsi), al tipo di allenamento (piano o collinare, asfalto o sterrato), alla stagione (un bel giro primaverile o autunnale è ben diverso da uno nel freddo e nel gelo di febbraio), alle condizioni meteorologiche (se è prevista pioggia o vento è preferibile un percorso più riparato, come invece d’estate è fondamentale correre su un lato in ombra piuttosto che in pieno sole). La scelta del percorso spesso influenza tutto l’allenamento: se l’idea di andare fino ai Renai angoscia Luigi ancor prima di partire, il suo rendimento ne potrebbe essere impattato. Grande soddisfazione mi ha dato il ringraziamento del mio compagno di corsa dopo un giro che in 18km ci ha portato per ben due volte su e giù per la collina del Piazzale Michelangelo e di Arcetri, salendo e scendendo sempre per una via diversa (e quindi in totale quattro diversi percorsi): i panorami e le atmosfere saranno il ricordo più forte di quell’allenamento. Non va neppure scordata la distanza stessa: può sembrare banale ma se si ha in programma di correre 28km è assai fastidioso completare l’allenamento e ritrovarsi a un chilometro o due dal punto dove abbiamo lasciato l’auto oppure passare davanti alle sirene accosciate sul cofano della propria auto e scoprire che invece ti manca ancora un chilometro per assolvere il compito del giorno. Il buon Running Entertrainer fa in modo che l’allenamento e la logistica siano in perfetta armonia.
Ovviamente, in precedenza si saranno analizzate e confrontate le tabelle di allenamento, con la giusta serietà ma anche leggerezza: sono così tante le variabili in gioco che l’esperienza ci rassicura che anche “sbagliare” un dettaglio non sarà letale.

Durante. Oltre a tenere d’occhio il passo del gruppo, ne approfitta per fare conversazione, ovviamente meno si è e più semplice è intraprendere una discussione approfondita. Già da tre persone si è costretti a argomenti che siano ben accetti a tutta la compagnia, in cui non è detto che vari membri abbiano la stessa confidenza e familiarità gli uni con gli altri. A parte gli usuali temi legati alla corsa stessa, come allenamenti passati, corse future, scarpe acquistate o prospettate, infortuni e aneddoti, si può parlare di tutto: libri da leggere (un bell’esempio: Via della trincea scoperto durante un’ascesa a Monte Morello), film da vedere, filosofia (un esempio legato alla corsa è “Running with the pack” che ho illustrato al gruppo salendo alle Cave di Maiano), paesaggi inaspettati (il Giardino delle Rose ben nascosto sotto il Piazzale Michelangelo, stradine del centro mai percorse, un andito di campagna in piena città), digressioni linguistiche (cosa vuol dire “riscontrare” e come si usa? Si può andare a riscontrare in bici qualcuno che sta correndo?) e poi ovviamente le barzellette.

Dopo. Con un racconto orale o scritto (talvolta prima orale e poi scritto) rende un fatto banale un evento epico, istituzionalizza un percorso casuale in un tragitto riconoscibile e ripercorribile in futuro, raccoglie le barzellette più insulse trasfigurandole, una volta associate ai momenti eroici in cui sono state raccontate. Insomma si fa cantore di storie e facitore della Storia.

Però: bello questo mestiere di ‘Running Entertrainer’, certo il bello, o il brutto, è che va fatto di corsa e come dicevo all’inizio lo si può svolgere solo con chi corre veloce come te o più lento. È uno stimolo a allenarsi di più e poter ‘intrattenallenare’ (non malissimo anche se ‘entertraining’ è più bello) una più vasta platea di runners.

Vabbè, diciamocelo: il ‘Running Entertrainer’ non esiste, se però esistesse mi piacerebbe esserlo.

giovedì 23 gennaio 2014

Il gilet di Firenze 2013 non serve a un ca.zo (ma è bellissimo)

L'abbiamo pensato tutti.
È bello, anzi è bellissimo, elegante, rifinito nei dettagli. Il quadrato rosso con il numero 30, a fianco dello stemma Firenze Marathon, vale una decorazione al valore militare. A me ha fatto venire in mente un ricordo di bambino, quando la Fila faceva una serie di abbigliamento da tennis dedicato a Bjorn Borg e, accanto al quadrato con la F di Fila, ci stava un altro quadrato con le lettere "Bj" che a pensarci bene non sono neppure le iniziali ma evocavano immediatamente il grande Bjorn. Ovviamente ero fiero di quel duplice marchio. Ecco forse perché apprezzo ancor di più questo "30".
È comodo, ha due belle tasche, i colori, azzurro e bianco, sono in linea con i precedenti capi, anche se fa a meno del rosso (mi accorgo che sto trascurando la maglietta del 2012, nera e “kiwi”, chiaramente una caduta di stile ma l’hanno appena fatta dimenticare, e io l’ho dimenticata).
È pesante e non è impermeabile.

A che serve?, ci siamo chiesti tutti, quando lo metto?
Se fa freddo metto una maglia tecnica UnderArmour che da sola basta fino agli zero gradi, senza vento.
Se tira vento o pioviscola ci abbino un gilet impermeabile, ne ho di varie tinte: giallo, arancione, azzurro.
Se proprio proprio fa freddo, tira vento e pure piove, ho uno giacchino Kalenji che pare una muta da sub e tiene fino a zero gradi con vento.
E quando lo metto questo gilet che è pesante ma senza maniche?
Per cominciare, non la domenica dopo la maratona, anche se ne ho visti vari a giro che lo mostravano come si sventola uno stendardo dopo una vittoria, ma quella dopo ancora, ho messo una maglia a manica lunga ma molto leggera, in modo da avere le braccia coperte ma addosso ci pensava il gilet.
Il giovedì dopo che faceva abbastanza freddo, ho messo una maglia a manica lunga di una sfumatura inferiore al necessario e ci ho nuovamente abbinato il gilet.
Insomma dalla maratona l'ho indossato almeno (ma in media anche di più) una volta a settimana. Della serie “mai più senza!”.
Domenica scorsa, che onestamente non faceva freddo, ma mi facevano comodo le tasche... e allora l'ho capito che una giustificazione la devo sempre trovare per indossarlo: è la mia coperta di Linus, mi fa sentire al sicuro, io che starei a calcolare lo strato ottimale in base alle condizioni meteorologiche ecco che sopporto pure un po' di caldo pur di trovare una combinazione che lo includa, il gilet della maratona.
La morale (applicabile, per quanto mi riguarda, non solo alla corsa): gli indumenti che razionalmente non rispondono a una necessità specifica diventano spesso i più indossati.

Che sia il “razionalmente” a reggere l’affermazione?