Qualche tempo fa un'affezionata e attenta lettrice mi fece notare che ultimamente non scrivevo più, almeno di corsa.
Io non obbiettai e l'attenta lettrice proseguì nella sua analisi: "forse
perché non corri o corri meno o corri con meno interesse".
La prima reazione fu quella di negare, non c'entra niente, non è vero,
sto correndo. Però mi controllai, e mentre sorridevo cercando una
risposta spiazzante, in pochi secondi mi è ripassata davanti tutta la
mia formazione, il compianto maestro (anche se lui non lo ha ovviamente
mai saputo) Umberto Eco, quando più di vent'anni fa decisi di leggere
tutti i suoi saggi capendone una frazione minima, bastò però a farmi
capire che è il lettore a avere sempre ragione e che l'autore una volta
resa pubblica la sua opera ha perso ogni diritto che non fosse già nelle
parole scritte (per chiudere la parentesi, se proprio dovessi
consigliare un solo libro, suggerirei Lector in fabula, sebbene
piuttosto tecnico), le mie fissazioni sul fatto che dell'autore reale
non ci deve interessare alcunché ma solo di quanto leggiamo. Ed eccomi
là, autore reale, di fronte a un lettore. Colto non da umiltà ma da
fastidio risposi: "Sì e no. Sì, può darsi che tu abbia ragione
(l'orgoglio mi impediva di darle pienamente ragione): in seguito a vari
piccoli infortuni ho corso meno in questo periodo e senz'altro con
minore soddisfazione e quindi, forse, con minore ispirazione per la
scrittura. No perché ho comunque corso regolarmente: forse ho scritto
meno di corsa ma avuto modo di scribacchiare di altri argomenti."
Detto ciò restava comunque il fatto che negli ultimi mesi ho scritto davvero poco sulla corsa.
E questa breve discussione, in tutto due frasi (la lettrice non ha
potuto visualizzare tutta la digressione interiore che mi aveva
incautamente causato), mi era quasi sfuggita di mente. Se non fosse che
oggi, lunedì dell'angelo, dopo varie ore di guida, un pranzo frugale, un
riposino iniziato per caso e prolungatosi per due ore, avendo poco
tempo prima di cena ho deciso di fare una quindicina di chilometri in
agilità, per mettere alla prova i vari miei pezzi (soprattutto piedi e
caviglie) ancora sotto osservazione.
Sono partito con allegria e convinzione: mi sono accorto solo dopo circa
un chilometro che non mi era neppure venuto in mente di prendermi le
cuffiette per distrarmi con la musica: non avevo alcun bisogno di
distrarmi, volevo proprio correre e sentire me stesso.
Dopo sette chilometri stavo reggendo bene ma iniziava una fase
rischiosa: in questo periodo riesco a correre a ritmo sostenuto solo per
tratte brevi: otto, dieci chilometri, oltre non si sa, quindi ero a
rischio "flessione", quando mi sorpassa, lentamente ma inesorabilmente,
una giovane ragazza, a occhio poco più che ventenne, sobriamente vestita, che mostrava un passo molto disinvolto e una coda di cavallo che
ondeggiava ritmicamente un passo a destra e uno a sinistra. Ça va sans dire che
ho cercato di resistere e, una volta lasciatole qualche metro di
vantaggio, ho forzato per mantenere la distanza con un minimo di onore,
sia pur ferito, quasi ipnotizzato da quella coda di cavallo (alcuni miei
lettori, di sesso maschile, a questo punto avranno già un sorriso ebete
e penseranno di ben interpretare queste ultime parole come un'ironica
metafora: ebbene no, stavolta i lettori si sono sbagliati, ipotizzando
che l'autore teorico, nonché quello reale, fossero attratti da ben altra
parte, non foss'altro che per la semplice ragione, nel testo lasciata
in ombra, che la giovane ancorché atletica non era particolarmente ben
formata nella sua parte posteriore. L'autore reale si scusa con le
lettrici ma, purtroppo, è la verità. Tornando alla corsa: ho retto
abbastanza bene finché dopo circa un chilometro la fanciulla ha
rallentato e invertito il senso di marcia. Io sono sfilato senza neanche
guardarla, ho solo pensato: e adesso me la devo cavare da solo e mi
mancano ancora sette chilometri.
Mi sono distratto facendo un po' di conti su fino a dove sarei dovuto
arrivare per poter poi rientrare a casa completando precisamente i miei
quindici chilometri in modo da evitare di dover allungare alla fine
quando sarei stato stanco e quindi soggetto a cedimenti psicologici che
poi avrei rimpianto. Verso il dodicesimo chilometro cominciavo a sentire
le gambe appesantite e l'oscurità che seguiva il tramonto si adattava
al mio stato d'animo: tutta l'allegria e la convinzione erano
incredibilmente evaporati. Quando si immette alla mia sinistra un uomo
magro, barbuto e di nero vestito che sembra avere un buon passo oltre
che il giusto physique du rôle: lo affianco e gli chiedo: "Ti
posso fare compagnia per un po'? sono stanco". Lui accetta di buon grado
e aumenta pure l'andatura per aiutarmi a tenere il passo che stavo
invece rallentando: abbiamo chiacchierato per circa un chilometro e
mezzo a una velocità ben superiore a quella mia allegra iniziale tanto
che l'ho salutato ben volentieri per far rotta verso casa, rallentando
ma sia pur sempre mantenendo un passo decente.
Ho finito il mio allenamento improvvisato molto soddisfatto e grato per
la disponibiltà e l'aiuto che tra runner non ci neghiamo, anzi ci doniamo
con gioia. Consciamente: il nerobarbuto, inconsciamente: la giovane
dalla coda di cavallo. Ma tant'è: ho corso bene e con ispirazione ed
eccomi qui!
Aveva ragione la lettrice. Come al solito.