Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

lunedì 29 ottobre 2012

No, non è triste Venezia... (una barzelletta sul Ponte della Libertà)

Venezia con una pioggerellina grigia potrebbe essere triste.
Arrivare a Venezia dopo aver corso per quarantadue chilometri costantemente sferzati da pioggia e vento forte non è triste, è epico.
Oppure è stupido (lo so, Elena, lo so!).
Dipende dai punti di vista.
Tu sei lì, solo con te stesso in mezzo a migliaia di altri individui soli di fronte a un ambiente meteorologico avverso, poco vestiti (ho visto molte braccia e gambe violacee!) e ti chiedi perché.
La risposta me l’ero data pensando a un’altra barzelletta (*) da terza elementare che mi è venuta in mente al terzo chilometro ma Luigi mi ha fermato: me la racconti sul Ponte della Libertà!
Aveva ragione: son bravi tutti a scherzare quando si è all’inizio, è al trentacinquesimo chilometro che bisogna dimostrare qualcosa, supponendo che ci sia qualcosa da dimostrare.
Vabbene, faccio io, ricordami solo: “tu sei un eroe!”
Poi ci siamo persi e ritrovati proprio sul quel benedetto ponte, lungo quattro chilometri, che collega la terraferma a Venezia.
Un vento a sessanta chilometri orari tagliava perpendicolarmente il ponte, fustigando con pioggia gelata gli increduli passanti (nessun passante a parte i cinquemilanovecento che sono arrivati alla fine). A metà del ponte Luigi me lo ha ricordato: “Tu sei un eroe!”
Allora ho riso pensando alla situazione in cui ci trovavamo, al freddo e al gelo, cercando un passo dopo l’altro di non smettere di correre e di resistere (come i cormorani, aveva detto Aldo Rock (**), e noi ci riparavamo il volto con il cappellino messo di sbieco). E io che racconto una barzelletta.
Una folla porta un uomo in trionfo.
Questi, trasportato da tutte quelle mani grida “m’avete preso per un coglione!”
E tutti: “Tu sei un eroe!”
Lui: “Vi dico che mi avete preso per un coglione!”
Loro: “No, tu sei un eroe!”
L’avevano preso per un coglione.
A causa della pioggia e del vento non ho potuto vedere Luigi che rideva, ma ero sicuro che stava ridendo.
Abbiamo finito la maratona. Anche grazie a una barzelletta.


sabato 27 ottobre 2012

Com'è triste Venezia...se piove! (Ricordarsi dei cormorani)

Valigia chiusa: ho riempito un trolley che di solito uso per trasferte fino a tre giorni e uno zainetto...
D'altra parte avevo già deciso tutto e invece con le previsioni attuali (5° con pioggia e vento) ho preso cinquanta sfumature di magliette e tutto quello che mi è venuto in mente. Stasera in albergo deciderò con gli altri moschettieri (siamo quattro...)
Ci manca solo l'acqua alta per arrivare a San Marco. 

Ieri Aldo Rock a "Deejay chiama Italia", quando Linus ha rivolto un augurio a chi avrebbe partecipato alla maratona di Venezia, ha detto: quando siete sul ponte fate come i cormorani... mettete la testa sotto l'ala! 
Mo' me lo segno!

martedì 23 ottobre 2012

Barzellette e ripetute (con differenza tra alba e aurora)

“Oggi abbiamo visto l’alba e l’aurora” affermo con tono piatto mentre, di ritorno dall’”Indiano”, incrociamo lungo il viale alberato un ormai raro cavallo da trotto con dietro calessino e fantino.
“Che differenza c’è?” chiede il mio infaticabile sodale.
“L’alba è un chiarore, è bianca, mentre l’aurora, che viene subito dopo, è arancione.”
Proseguo perso dietro una mia madeleine: “O meglio rosa, come diceva Omero - butto lì con posata nonchalance - ‘rodudàctulos Éos’...”
Siamo a metà della seconda ripetuta da 5km a ritmo da mezzamaratona con un recupero di 1km a ritmo maratona (per impegno morale e programmatico non parlo di tempi e velocità, ma qui serve per comprendere il tipo di sforzo – ripetute lunghe ma non velocissime - e così ognuno è libero di figurarsi le velocità che gli si confanno e può meglio immedesimarsi), riesco ancora a fare lo sbruffone ma non a lungo: mi zittisco per recuperare.
“Ancora due chilometri” proclamo poco dopo, incoraggiando anche me stesso.
“Potresti raccontarmi qualche barzelletta, come quella di Persèo” mi provoca  Luigi.
Rispondo riciclando un paio di stupide freddure da terza elementare (un pietoso esempio: “Pierino hai mangiato la molla?” “Nòin!... Nòin!...”) che mi aveva raccontato Giovanni qualche lunghissimo fa.
“Certo, quella di Persèo era meglio, più interpretata” commenta Luigi ridacchiando.
“Eh sì, - ammetto io, - però quella te l’ho raccontata in un lunghissimo, mica durante una ripetuta!”
La barzelletta idiota di Persèo l’avevo raccontata pure a Giovanni (Luigi non c’era quella volta, così l’ho potuta usare ben due volte raccontandola anche a lui qualche domenica dopo quando invece non c’era Giovanni) e appunto lui aveva ribattuto con quelle freddure che ho riciclato stamani (a eccezione di questa di Persèo, non mi sono mai ricordato le barzellette neppure da bambino, figurarsi a distanza di decine di anni...).
Il buffo di questa barzelletta, che è veramente stupida, è che io di tanto in tanto, magari mentre corro da solo e ho esaurito tutti gli altri pensieri positivi, ci ripenso e me la ri-racconto. Sì, avete capito bene: me la ri-racconto.
Immaginate la situazione: sono stanco, ho già fatto una ventina di chilometri, sono sperduto in qualche via di campagna con ancora più di dieci chilometri da percorrere prima di poter pensare di essere vicino a casa. Ecco che io già sorrido all’idea di quella vecchissima barzelletta e me la racconto mentalmente.
La scena si svolge in un campo di battaglia, dopo un sanguinoso scontro tra greci e persiani (a pensarci bene potrebbero anche essere Ateniesi e Spartani, l’importante è che almeno una delle due fazioni sia greca). La piana è un intrico di cavalli, scudi, cadaveri e lance. Un anziano padre si aggira cercando disperatamente il figlio che non ha fatto ritorno. E grida: “Persèo!... Persèooo!”
Una mano tremolante emerge da un ammasso di corpi (io di solito a quel punto accompagno il racconto con la mano aperta e irrigidita dal dolore che si fa lentamente strada).
Il vecchio si avvicina a quella mano, scopre un volto insanguinato e, incredulo ma speranzoso, domanda: “Sei Persèo?”
E la voce morente: “Trentasèo!”
E io qui rido come un idiota. Non solo la barzelletta farebbe ridere al massimo un bambino che non la sapesse già e che avesse alle spalle una traumatica esperienza di tabelline (cosa che oggigiorno non mi risulta più di attualità) ma se uno la sa già, o addirittura la racconta lui medesimo, e per sovrappiù a se stesso...
Eppure, immancabilmente, io sorrido.
E, senza accorgermene, ho fatto un altro mezzo chilometro.

La morale? Ce ne possono essere varie.
Sono stupido.
O faccio il furbo. Anche con me stesso.
Oppure sono un fine psicologo.
Oppure: quando non ce la fai più ti attacchi a tutto. 
“Chi si accontenta gode” unito a “il male voluto non è mai troppo” potrebbero essere due adagi che, benché usurati, sintetizzano in modo abbastanza appropriato.

In ogni caso ci sono barzellette adatte ai lunghissimi e barzellette adatte alle ripetute.
Converrete con me che quella di Persèo sia da lunghissimo!

sabato 20 ottobre 2012

La moglie del maratoneta (a letto con la febbre)


Ho passato indenne tutte le influenze, raffreddori, mal di gola di Elena in questi ultimi tre mesi. Oggi il termometro sancisce l’ennesimo allarme: trentanove e quattro. Non di sera, quando è usuale che la temperatura salga, ma appena sveglia.
Preparo due colazioni in parallelo e servo a letto la colazione a Elena con il tavolino da letto: succo di arancia, tazza di tè, bricchetto con latte freddo, qualche biscotto anche se ha già dichiarato di non avere fame, il barattolo di nutella: consolante anche solo a vederlo.
Soddisfatto dalla sorpresa riuscita, me ne torno in cucina a consumare la mia colazione, avevo in programma di fare colazione fuori stamani, non ho niente che mi attiri, ma la mia è fame e non solo voglia di qualcosa di buono: mi tosto due fette di pan carré ai sei cereali e mi condisco cinquanta grammi di bresaola. Caffè lungo e succo di arancia anche per me.
Un pensiero mi assale mentre addento soddisfatto il mio panino: ce la farò anche stavolta? Saranno valsi come una sorta di immunità gli allenamenti mattutini uscendo di casa quando è ancora buio, i lunghissimi stremanti, le inflessibili ripetute del giovedì? Avranno forgiato il mio corpo rendendolo immune ai virus in agguato? (visualizzo Thor con la fattezze di quell’attore biondo altissimo e dalla muscolatura abnorme)
Oppure cadrò tra qualche giorno senza aver più il tempo di recuperare prima della maratona, uno sforzo che non ammette ulteriori debolezze a quelle insite in ogni essere umano.

La morale? Sempre avere un piano B (sono iscritto alla maratona di Venezia, ma sono anche iscritto a quella di Firenze in programma un mese dopo...)

PS: Cara mogliettina, sappi che il mio amore supererebbe anche questa prova. Certo, ne farei a meno...

martedì 16 ottobre 2012

Runner’s surviving kit – Open in case of emergency

L’avevo detto (qualche giorno fa) e l’ho fatto: il paio di pantaloncini usurati erano già stati selezionati, poi l’occhio è caduto su un paio di calzini rammendati, una maglietta tecnica “da pacco gara” niente di che, e per ultimo un paio di mutande tecniche che mi stanno troppo piccole. Anche un piccolo asciugamano di quelli sintetici, visto che è facile dimenticarsi pure quello. 
Individuata pure una busta di plastica trasparente con la chiusura con lo zip, preparato una copertina ed ecco pronto il kit di sopravvivenza del runner dalla memoria labile. Mancano solo le scarpe ma se qualcuno dimentica pure quelle...

“E se te lo fregano?”, mi ha chiesto Giovanni mentre gli esponevo l’idea.
“Pazienza, avrò perso ben poco, a parte la convinzione che si possa essere onesti e condividere qualcosa senza dover necessariamente temere l’altrui tradimento, la furbata, la fregatura.”
Basta cliché sul fatto che siamo italiani. Partiamo dal fatto che siamo persone per bene. E runners. Poi, casomai, vorrei stupirmi invece che ci siano le eccezioni (sperando che non ci siano!). 
Stamani ho depositato il kit sugli armadietti negli spogliatoi.
Ai posteri...

domenica 14 ottobre 2012

Corsa e politica (correndo per Firenze una domenica mattina)

Stamani, che era una bella domenica d'autunno, ho attraversato Firenze da ovest a est e viceversa, il mio solito "giro dei ponti" dalle Cascine al Girone (a proposito come sarebbe bello se la stupenda pista ciclabile recentemente estesa fino al Girone venisse ulteriormente allungata fino alle Sieci e Pontassieve... lo spazio ci sarebbe, ci vorrebbero soldi e volontà).
Passando tra un gruppetto di camminatori, ciascuno provvisto di zainetto e bastoncini, come se si stessero avventurando in una remota valle alpina mentre erano su una pista ciclabile sull'argine dell'Arno, ho colto uno stralcio di conversazione "eh ma io l'avevo capito fin dall'inizio, infatti non l'ho votato per sindaco" "e ora come si fa?" è intervenuta una voce di donna.
Chilometri dopo, ho quasi investito due signori che da Ponte Vecchio stavano attraversando verso via Por Santa Maria: quello più giovane diceva al più anziano "e perché Bersani allora?". Incrociandoli perpendicolarmente ho perso il contatto troppo rapidamente per cogliere la risposta e ricomporre la domanda.
Insomma domenica mattina, senza la partita (ma voglio credere che sarebbe stato così anche se la Fiorentina avesse giocato nel pomeriggio) in città si parlava di politica, la politica era nell'aria, tra le persone normali, tra amici, parenti, come argomento di conversazione normale e non di rigetto o di indignazione. Magari l'antagonismo eccessivo tra i protagonisti e il conseguente clima da derby calcistico potrebbero sovralimentare l'interesse però mi ha fatto piacere annusare nell'aria, pulita dalla pioggia del mattino, questo vento di interesse e di passione.
La finisco qui, ci manca solo che parli di politica con il pretesto della corsa. 

Ma oggi la questione era un'altra: grazie alla corsa ho potuto percepire voci della città, più distanti tra loro che se avessi fatto una semplice passeggiata, mentre, se avessi fatto un giro in bici ben più lungo, difficilmente avrei però ascoltato da vicino delle conversazione tra passanti.
La morale? La corsa come strumento sociologico...

lunedì 8 ottobre 2012

Cosa penso quando corro la maratona


Non intendo cosa penso in ogni momento durante una maratona, quello lo posso sapere solo a posteriori, dopo averla corsa e riportando più fedelmente possibile quello che mi è passato per la testa, durante quelle quattr'ore e quei quarantadue chilometri (come per altro ho cercato di fare in una serie di una quindicina di post dedicati al racconto chilometro per chilometro della maratona di Firenze del 2010).
No, intendo quello che vorrei pensare, in modo da evitare errori come quello occorsomi alla maratona di Roma dello scorso marzo, quando, tutto concentrato su cosa avrei dovuto fare dal trentesimo chilometro in poi, mi scordai il primo "pasto" programmato (anche di questo ho parlato diffusamente nel post Maratona fallita: una lezione (e elaborazione di un lutto)).
Sii presente a te stesso, mi ripetevano durante l'addestramento militare, e di tanto in tanto me lo ripeto tuttora quando mi accorgo che mentre la sera sono a teatro mi accorgo che sto ancora rimuginando a cosa avrei dovuto dire alla riunione del pomeriggio appena passato. Stay focused, stare concentrati a quello che sto facendo in ogni momento (hic et nunc, qui e ora). Concentrati sempre, sì, ma non necessariamente nello stesso modo. Mi spiego meglio: le gambe devono andare possibilmente a una velocità costante, non voglio entrare in questioni di strategia di gare, “negative split” eccetera, ma facciamola semplice: decido prima della partenza l'andatura che sarò (o vorrei essere) in grado di tenere per l'intera gara e cerco di mantenerla. Il corpo tutto deve supportare le gambe. E la mente deve essere in armonia con tutto il corpo, permettere di avvertire ogni disallineamento, percepire ogni allarme, ogni messaggio e apportare le correzioni all'uopo, siano esse fisiche (rallentare, aumentare, fermarsi, muovere di più le braccia, respirare più ritmicamente) o psicologiche (quel dolorino alla caviglia sinistra tra un po' passa, è normale essere stanco dopo trenta chilometri ora tiri fuori il meglio di te, ce-la-sto-fa-cen-do!, ce-la-sto-fa-cen-do!, manca poco ormai, e tutte gli incoraggiamenti che abbiamo sperimentato durante le gare e i lunghissimi precedenti).
Però sono fortemente convinto che il tipo di concentrazione mentale non debba essere "costante" come il nostro passo. Anzi. E torno all'esempio del mio errore di Roma: essere concentrato su cosa avrei fatto dal trentesimo chilometro non sarebbe, in sé, stato un errore, se mi fossi trovato intorno al trentesimo chilometro!...
Ho cercato allora di decidere quali sono per me - si tratta chiaramente di scelte assai soggettive - gli atteggiamenti mentali che si adattano ai vari momenti e per fare ciò ho diviso la corsa in tratti significativi, che possono essere d'aiuto e di riferimento durante la corsa stessa. Mi riservo il diritto di raffinare questa strategia con delle ulteriori suddivisioni.


0-10km: Eeeh, toro!
Mia madre mentre, alla guida della sua Fiat 127, stava frenando, era solita dire: eeeh, toro! era come dire Fermati! alla macchina, ma in modo affettuoso. E io devo frenare perche' sicuramente sarò partito troppo forte, è inevitabile alla partenza. E poi rilassarmi, anche guardarmi intorno fa bene per abbassare lo stress della partenza. Di solito fino a quattro o cinque chilometri soffro e mi stupisco della mia sofferenza: siamo solo all’inizio! ma verso l’ottavo-decimo chilometro comincio a sentirmi meglio. Bene così.

11-20km: Feel it!
Avvertire il proprio corpo, regolare la carburazione, verificare che tutto vada bene. Soprattutto: mangiare prima della prima ora, anche se non ho fame: in gara non mangio per fame, mangio per evitare un brusco calo di zuccheri che mi farebbe vedere tutto scuro, tutto brutto, prima di rendermi conto che si tratta di un calo di zuccheri.

21-30km: Concentrazione!
Ho passato la metà ma non devo pensare che ne mancano altrettanti. Concentrarmi sul movimento, sulla respirazione, mantenere tutto nei parametri regolari. Sono un paio d’ore che corro, ovviamente posso essere un po’ stanco ma niente di che, però non bisogna farsi deprimere. Hai mangiato? Mangia!

31-40km: Hic sunt leones.
Qui non si sa cosa ci sia, bisogna procedere amministrando saggiamente le energie rimaste. Ogni caloria persa potrebbe rivelarsi più tardi come uno spreco irecuperabile. Lo stesso vale per la muscolatura, con i crampi che, si dice, “vanno gestiti”. Sarà, per me quando sento anche solo l’inizio di un possibile crampo è il panico!... E poi, guai a chiamarlo “muro”, però a un certo punto qualcosa si incrina, hai voglia tu di spiegarti che il glicogeno è finito e che si deve cambiare combustibile: intanto il motore tossisce e la macchina va a scossoni... Resistere, resistere, resistere.

41-42km: Comunque vada sarà un successo
Se sono arrivato qui non mi ferma piu' nessuno, a costo di camminare, ormai ce l'ho fatta. Nessuna strategia  serve più e non sembra neppure che sia servita prima (ammesso che ne abbia applicata qualcuna). Inutile voler pensare qualcosa, ormai non penso più a nulla.

mercoledì 3 ottobre 2012

Alien nei miei polpacci (dopo 35km però)


Finito l’ultimo lunghissimo, fatto poco stretching e sono tornato a casa. Mentre mi toglievo faticosamente l’armatura (pantaloncini “grigliati” Salomon - Quello che le mogli (dei runners) non sanno - e gambaletti della nonna) sono rimasto sdraiato per terra con la sensazione che, come mi fossi mosso, sarei stato colto da un crampo da qualche parte.
Restando sdraiato a terra ho sollevato i piedi poggiandoli sul letto, pensando di fare cosa sensata. Aiuta la circolazione? In che modo? Non solo sapevo esattamente e comunque ero troppo stanco per pensare e la posizione con le gambe dritte in diagonale dal letto a me sul pavimento non pareva essere fastidiosa. Noto un movimento, il polpaccio sinistro vibrava, pulsava. Ho guardato anche il destro e vedo la medesima pulsazione.
Ho chiamato Elena per avere un testimone, e ho anche urlato che si sbrigasse, non volevo che il fenomeno sparisse, come ero certo, da un momento all’altro. Ma il fenomeno non è sparito. Arrivata anche Elena, le ho indicato i polpacci e anche lei si è messa ad osservarli con la curiosità di un entomologo di fronte a uno scarafaggio gigante.
I due polpacci continuavano indisturbati a pulsare come se fossero stati percorsi da onde sottocutanee che andavano dal piede verso il ginocchio e poi indietro, come una risacca.
Non erano contrazioni, né terminavano in crampi, anzi questi “gonfiori” continuavano a muoversi in modo fluido. Ho pensato che fosse la circolazione che riprendeva una volta tolta la costrizione dei gambaletti ma ho osservato attentamente e non erano il fluire del sangue nelle grosse vene superficiali, anzi le vene si muovevano solidalmente con l’onda.
La cosa è continuata per vari minuti su entrambi i polpacci. Tanto che ho chiesto a Elena di massaggiarli sommariamente per vedere se il fenomeno cessava. Poi ho tirato giù i piedi e con i polpacci morbidi li ho un po’ “palleggiati”. Alla fine ho deciso di ignorare per un po’ il tutto nella speranza che se non avessi guardato sarebbe passato tutto. Mi sono alzato con fatica e sono andato a fare la doccia evitando di guardare in basso.
Ma io lo so, perché io li ho visti: c’erano due alien che si aggiravano su e giù dentro i miei polpacci.