Arrivare a
Venezia dopo aver corso per quarantadue chilometri costantemente sferzati da
pioggia e vento forte non è triste, è epico.
Oppure è stupido
(lo so, Elena, lo so!).
Dipende dai
punti di vista.
Tu sei lì, solo
con te stesso in mezzo a migliaia di altri individui soli di fronte a un
ambiente meteorologico avverso, poco vestiti (ho visto molte braccia e gambe
violacee!) e ti chiedi perché.
La risposta me
l’ero data pensando a un’altra barzelletta (*) da terza elementare che mi è
venuta in mente al terzo chilometro ma Luigi mi ha fermato: me la racconti sul Ponte
della Libertà!
Aveva ragione:
son bravi tutti a scherzare quando si è all’inizio, è al trentacinquesimo
chilometro che bisogna dimostrare qualcosa, supponendo che ci sia qualcosa da
dimostrare.
Vabbene, faccio
io, ricordami solo: “tu sei un eroe!”
Poi ci siamo
persi e ritrovati proprio sul quel benedetto ponte, lungo quattro chilometri,
che collega la terraferma a Venezia.
Un vento a
sessanta chilometri orari tagliava perpendicolarmente il ponte, fustigando con
pioggia gelata gli increduli passanti (nessun passante a parte i
cinquemilanovecento che sono arrivati alla fine). A metà del ponte Luigi me lo
ha ricordato: “Tu sei un eroe!”
Allora ho riso
pensando alla situazione in cui ci trovavamo, al freddo e al gelo, cercando un
passo dopo l’altro di non smettere di correre e di resistere (come i cormorani,
aveva detto Aldo Rock (**), e noi ci riparavamo il volto con il cappellino
messo di sbieco). E io che racconto una barzelletta.
Una folla porta un uomo in trionfo.
Questi, trasportato da tutte quelle mani grida “m’avete
preso per un coglione!”
E tutti: “Tu sei un eroe!”
Lui: “Vi dico che mi avete preso per un coglione!”
Loro: “No, tu sei un eroe!”
L’avevano preso per un coglione.
A causa della pioggia
e del vento non ho potuto vedere Luigi che rideva, ma ero sicuro che stava
ridendo.
Abbiamo finito
la maratona. Anche grazie a una barzelletta.
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