Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

mercoledì 28 marzo 2012

I percorsi d'allenamento: 4.2.3 Il muro di pietra (che mantiene quel che promette)

Asfalto e sterrato / saliscendi / circa 8 km (giro, da parco Lippi)

Per valutare la lunghezza del giro prendo a riferimento come al solito la partenza dal parco Lippi ma è indicativa perché l’avvicinamento e il rientro possono variare.
Per la descrizione del percorso passerò direttamente alla parte precipua suppondendo di essere già di fronte alla Villa di Castello procedendo in direzione di Sesto.
Dopo essermi lasciato la Villa alla mia destra prendiamo la prima contrada sempre sulla destra in direzione delle colline. È via Giovanni di San Giovanni che dopo un centinaio di metri gira a sinistra. La prima a destra è via del Lasca: la prendiamo e capisco subito che ci siamo e il perché del nome. Che "muro" stesse per pendenza considerevole, me lo ero immaginato e quindi  non posso che avere confermate le aspettative, quello che però continuo a sperare è di scoprire alla prossima curva che la salita è finita. Cosa che non si verifica.  E allora sposto il mio obbiettivo alla prossima curva: quella sarà davvero la fine, non c’è verso... purtroppo sono destinato a essere più volte disilluso... la salita in tutto sarà circa un chilometro o poco più: alla fine quei muri a secco che mi affiancano sembrano stringere, verrebbe voglia di usare anche le mani per aiutarsi...

Il perché del “di pietra” è altresi evidente: questa sorta di mulattiera pare scavata nella pietra, non c’è pericolo di perdere aderenza sul ghiaino, dal momento che di ghiaino non ve n’è o quasi. Di tanto in tanto viene il dubbio o la speranza che andando sulla parte in terra, dove sopravvive della rada erba, il passo sia facilitato. Ma subito dopo viene il dubbio o la speranza opposti, e si torna a calcare il nudo sasso. In conclusione, non v’è differenza apprezzabile dato che il passo tende allo stazionario... e il timore, semmai, è che qualcuno che cammina non ci sorpassi. 
Alla fine si spunta su via della Castellina proprio in corrispondenza della chiesa di S. Lucia alla Castellina: chi è credente ringrazia il Signore (ma anche il non credente ha improvvisi ricordi di catechesi e sinceri slanci di riavvicinamento alla fede).















Si prende a destra, riposandosi con un leggero saliscendi per poi prendere la prima strada in discesa sulla destra che è via della Covacchia. Si torna a casa. 
Dopo la prima curva a destra, all’altezza di un secondo gruppo di case si prende un sentiero sterrato che parte alla nostra destra. Un coinvolgente odore equino ci accompagna nella discesa, attenti ai sassi (tanti) e agli eventuali escrementi.




Rispuntiamo su via Giovanni di San Giovanni che ci riaccompagna a via di Castello da dove era cominciata la descrizione.

Il giro è breve ma intenso.
A quel punto si rientra come meglio si crede e il totale sarà sugli otto chilometri ma non sarà la distanza ad aver segnato l’allenamento.
Ora conosco il muro di pietra: runner avvisato, mezzo salvato...

domenica 25 marzo 2012

5. Firenze – Fiesole (leccandosi anche le dita)


Asfalto / saliscendi / circa 13 km (giro)

La pubblicità di certe patatine dice che sono così buone che se non ti lecchi le dita, godi solo a metà... tralasciando la credibilità dell’affermazione, teniamola da parte.
Stamani, non avendo un obbiettivo specifico, perché non andiamo a Fiesole? ha buttato lì Ema. Saranno stati un paio di anni che non ci andavamo, da quando abbiamo partecipato a una Firenze-Fiesole-Firenze, quindi ho accettato con entusiasmo. Noi siamo partiti da Piazza Ferrucci come al solito però il giro che abbiamo fatto e che voglio descrivere può avere come partenza un qualunque punto di Firenze.

Per comodità prenderò come punto di partenza proprio la chiusura del circuito, ossia lo spiazzo con una sorta di rotonda dove via Lungo l’Affrico sembra terminare (in realtà ho scoperto che prosegue dritta) e da dove partono via del Salviatino sulla destra e viale Righi sulla sinistra.

Abbiamo optato per salire da Via del Salviatino: più breve ma più impegnativa, ho sentenziato.
















Effettivamente si comincia a salire con pendenza costante e i primi due tornanti ti fanno credere di stare affrontando una salita seria ma lo strappo prima del bivio per le Cave di Maiano, dove prendiamo a sinistra per via Benedetto da Maiano, ci fa intuire che il meglio deve ancora arrivare.




Un po’ di saliscendi ci ha credere a più riprese di essere quasi arrivati fino a che non spuntiamo sulla strada principale all’altezza di un largo tornante, che io ricordo solo per un cartellone che indica un Hotel Bellavista (che non ho mai saputo dove fosse esattamente).










Si continua a salire per via Angelico e dopo qualche largo curvone si arriva, dopo l’ultimo strappetto in piazza Mino da Fiesole, dove si può usufruire pure di una fontanella












Se qualcuno a questo punto dicesse: siamo arrivati a Fiesole, quindi si può anche tornare a casa, incorrerebbe nell’errore deprecato dalla pubblicità che citavo all’inizio: godrebbe solo a metà...
Sì, perché Fiesole non è finita qui, e guarda caso è tutta in salita: per dire che siamo stati a Fiesole bisogna almeno arrivarne alla fine. Quindi si prosegue senza mai lasciare la via principale (via Matteotti), si oltrepassa la Casa del Popolo con l’ingresso graffitato con un finto Keith Haring, si ignora un’indicazione per Monte Ceceri, la strada cambia nome in Via Ferrucci.
Finalmente si esce da Fiesole: il panorama sulla valle e sulle colline sul lato opposto a Firenze è mozzafiato, è valsa la pena: adesso il godimento è completo. Potremmo tornare indietro ma per mettere un punto fermo proseguiamo fino al bivio per il Castello di Vincigliata: sarà oggetto di una descrizione a parte, perché se la merita.
Per stavolta torniamo indietro per la stessa via e quando sotto Fiesole vedremo il cartellone dell’hotel Bellavista proseguiremo sulla strada principale percorrendo tutto il tornante. Adesso si possono lasciare andare le gambe scendere e immaginarsi di poter correre rapidi e con facilità. La discesa finirà però prima o poi... anche per adesso ce n’è: arriviamo a San Domenico, proseguiamo sempre sciolti (la strada è divenuta Via di San Domenico) fino a arrivare a Piazza Edison, dove sulla sinistra prendiamo Viale Righi.  La discesa è finita e di lì a poco raggiungiamo il punto di partenza.
È stato davvero un bel giro. La prossima volta, quando ci saremo scordati quanto è dura la salita, proseguiremo il giro scendendo da Vincigliata...

martedì 20 marzo 2012

Maratona fallita: una lezione (e elaborazione di un lutto)

Prima di partire per Roma avevo elencato i tre obbiettivi principali
- arrivare sano
- fare un tempo migliore
- conoscere di più Roma

Avevo commesso un errore logico: arrivare e essere sano sono due obbiettivi separati.

Posso essere confortato di essere sano (a parte un dolore a un legamento del ginocchio destro che però è sparito con una notte di riposo). Q
uesto è l’obbiettivo principale, la "conditio sine qua non".
Poi il secondo obbiettivo: arrivare. L’ho miseramente fallito. Di conseguenza pure il terzo (migliorare) è andato a quel paese. Anche Roma l'ho rivista parzialmente: mi sono perso tutta la parte finale in centro...

Quindi, questa maratona (la mia quarta) per me è stata un disastro. Vorrei però elaborare il lutto in modo che una debacle si trasformi in una lezione per me.

Prima i fatti.

Innanzitutto, fin dai primi chilometri ho avvertito una stanchezza, una inadeguatezza. Nessun malessere specifico, nessun dolore.
Per me è abituale arrivare verso l’ottavo-decimo chilometro e sentire come una sorta di rinfrancamento, un “ora sì che prima no” e da lì comincio a correre con maggiore scioltezza. Stavolta però non ho avvertito questo rinfrancamento. Anzi verso il 13km ho cominciato a avere un desiderio: quello di non dover più correre, di essere in albergo, di aver già finito.
Stupore. Poi mi rendo conto che non ho mangiato niente, ed è più di un’ora che corro.
Lo so che dopo 12-15 chilometri, anche a seconda dell’intensità della gara o dell’allenamento, sono puntualmente assalito da foschi pensieri. Non si cura con la psicologia, basta la biologia e la chimica: un po’ di zuccheri e via!
Sorbisco un mezzo gel.
Dopo un paio di chilometri il cielo è più chiaro. Meno male, penso, ma devo fare attenzione a  mangiare regolarmente e in sintonia con i ristori dove posso bere. Come ho fatto a distrarmi?
Passano un altro paio di chilometri e mi rendo conto che faccio fatica a stare dietro a Giovanni.

Non pensare, mi rassicura lui, e stammi dietro.
Obbedisco anche se è un po’ presto per aver bisogno di questi stratagemmi.
Non ce la faccio, perdo terreno. Mi arrendo all'evidenza che sto rallentando. A questo punto mi concentro a arrivare alla mezza e avere la conferma che comunque non sto andando male. Effettivamente sono nei tempi ma sto faticando e ora non vedo più Giovanni. La cosa mi incupisce e mi preoccupa.
Improvvisamente un tizio con un palloncino arancione mi ha affiancato e mi sta superando. Poco dopo ecco un altro pace maker delle 3.45 (il mio obbiettivo) che mi sorpassa, stavolta con tutti e tre i palloncini arancioni. Dopo qualche altro minuto una voce alle mie spalle mi canzona bonariamente: è Lucio, avevo letto che sarebbe stato uno dei pace-maker delle 3.45. Mi incoraggia, cerco di agganciarmi a lui ma inesorabilmente perdo terreno e non ho la forza di resistere.
Al 25km, all’ennesimo canto di sirena che mi suggerisce di fermarmi, acconsento, spengo il motore e esco dal tracciato.


Quando ho raccontato quanto mi è accaduto agli amici runner ho ricevuto comprensione e consolazione. C'è chi ha chiesto se non mi ero allenato troppo, chi troppo poco, chi se mi ero riposato bene, chi ha indicato lo stress dei cambiamenti ambientali (trasferta, cibi diversi, letto diverso: era la mia prima trasferta...), chi semplicemente ha ipotizzato una "giornata storta".

Può essere tutto vero, tutte le ipotesi avanzate possono essere state concause. Però io sono convinto di aver commesso un errore sopra a tutti.

La mia strategia, tutti i miei pensieri (soprattutto la sera prima di addormentarmi, che pensare alla corsa mi rilassa e mi concilia il sonno) erano rivolti a cosa avrei dovuto fronteggiare dal trentesimo chilometro in poi, per fare meglio delle scorse volte.
Quasi come se al trentesimo chilometri ci potessi arrivare in autobus, e la gara sarebbe cominciata a quel punto. A conferma di questa sottovalutazione, mi sono pure scordato di mangiare quando sapevo che avrei dovuto farlo. Ho peccato di presunzione, anche se ovviamente è stata presunzione inconsapevole.

Sono arrabbiato e dispiaciuto. Non solo per me ma anche nei confronti dei compagni di corsa e di avventura. Nei loro confronti mi sembra di aver commesso una vigliaccheria, un tradimento: loro se li sono fatti tutti quei 42 chilometri soffrendo ben più di me, e io invece me ne sono tornato in albergo (lasciamo perdere il fatto che è stata un’odissea e su questo scriverò a parte).


Avrei potuto ascoltare Luigi o Guido e ripartire con loro quando mi hanno raggiunto fermo di lato. Ma ormai avevo già spento ed ero arrabbiato ma quasi contento di non correre più (sono dolci le sirene!).  Forse ho peccato anche di orgoglio: piuttosto che riprendere e finire malamente ho preferito smettere e evitare un "brutto tempo". Può darsi, è come quando uno distrugge un castello di sabbia a metà perché ha capito che sta venendo su male e preferisce semmai ricominciare da capo. Orgoglio? Perfezionismo? Ma forse è stata semplicemente l'idea di soffrire (e sempre di più, quello lo sapevo) per altri 17-18km, dopo aver cominciato a soffrire troppo presto. 

La morale? 

Non esiste un dopo senza un prima, una vetta senza una base, e tutte le volte bisogna mettersi con calma e ripartire daccapo, dal livello di difficoltà minore per poi arrivare a quello di difficoltà maggiore, puoi solo fare con più scioltezza i livelli inferiori, ma saltarli mai, e se sbagli hai perso. Quindi correre sempre chilometro dopo chilometro.
Lezione di maratona, ma ci vuole ben poca perspicacia per scorgerci una sana lezione di vita.



E ora? Ora si ricomincia. Daccapo.

sabato 17 marzo 2012

TORNO SUBITO

Durante il fine settimana sono solito correre di più e anche scrivere di più.
Questa volta correrò ancora di più ma so già che non avrò tempo per scrivere in modo disteso... domenica mattina sarò tra i quindicimila o giù di lì che trotterellerano per Roma.
Obbiettivi:
- arrivare sano
- fare un tempo migliore dello scorso novembre
- conoscere di pù Roma


A presto

martedì 13 marzo 2012

I percorsi d’allenamento - 4.1.2 Terzollina

Asfalto / saliscendi / circa 9 km (giro)

Come anche il percorso dei Gradoni questo percorso può essere visto come variante del già descritto 4.1 Villa Corsini... Loggia dei Bianchi.

Dalla Villa della Loggia dei Bianchi, si prende a sinistra in via delle Gore. Si sale leggermente (la strada diventa via delle Masse) in direzione Serpiolle/Cercina ma alla prima a sinistra (via del Mulino) se ne approfitta per scendere verso il torrente.












Si costeggia quello che doveva essere il mulino e si risale bruscamente spuntando su via del Terzollina. Si prende a destra attraversando il torrente. Sulla sinistra un micro-giardinetto con delle panchine. Si risale nel bosco sull’altra collina per poi ridiscendere fino a Piazza di Careggi.

Attenzione: poco prima della piazza, sulla destra abbiamo oltrepassato un ottimo ristorante, Lo Zibibbo. Non c’entra niente con la corsa ma è uno dei ristoranti fiorentini che vale la pena di conoscere (la proprietaria è un'ottima cuoca e tiene anche dei corsi, cucina toscana sia di mare che di terra, ottima cantina con vini suggeriti anche al calice, ambiente raffinato ma accogliente: non se la tirano, per intendersi, e il rapporto prezzo/qualità è superiore alla media cittadina).




Intanto avremo imboccato la discesa per Viale Pieraccini in direzione di Careggi (alla sinistra il parcheggio sotto il nuovo Meyer) e alla prima a sinistra ci butteremo giù a rotta di collo per Via delle Oblate fino a ripassare sopra il Terzolle e ritrovarci di nuovo in Via delle Gore. A quel punto si rientra per uno dei percorsi noti.

I percorsi d’allenamento - 4.2.1 La cava

Asfalto / saliscendi / circa 10 km (giro)

Sebbene lo modifichi sostanzialmente, non tanto nella lunghezza – 1km in più – quanto nella difficoltà, tratterò questo percorso come una variante “alta” del già descritto 4.2 Villa di Castello e Campi sportivi di Sesto.

Quindi supponiamo di aver già trotterellato fino a Quinto Alto per uno dei tragitti soliti. In cima alla salitella si abbandona via di Castello, che gira bruscamente a sinistra cominciando a ridiscendere, per via della Castellina che invece prosegue dritta sempre più in alto.


Dopo la prima curva si trova un bivio: si prende a sinistra (via di Palastreto) e si continua a salire. Si prosegue sempre senza abbandonare la strada principale anche se la strada diventa via di Tassinaia
Si scende all’ingresso della cava e in quel momento ci si rende conto di essere in una piccola valle tra due poggi, non si vede più la piana né si immagina alcuna città oltre quel colle “che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude”. 
Pace. Cerco di non turbare il silenzio, con passi lievi. Si segue la sterrata che si insinua nel bosco fino a spuntare su via di Fontemezzina (già menzionata) e si scende a valle e ci ritroviamo in via di Castello qualche centinaia di metri a valle rispetto a quando l’avevamo lasciata. 
Invece di rientrare direttamente da dove siamo venuti, si gira a sinistra in direzione di Sesto ma alla fine della discesa si gira di nuovo a sinistra in via degli Strozzi e si costeggia il parco di villa Solaria tenendo ancora la sinistra al bivio seguente (via della Mula). Si risale procedendo a diritto fintantoché non siamo obbligati a girare a sinistra e poi a destra. Si spunta di nuovo su via di Castello a metà della salita che introduceva a Quinto. Da qui si scende a destra e si rientra per tragitto noto.

sabato 10 marzo 2012

Ti fa male un ginocchio? Cambia scarpe!... (con morale positivista e pragmatica)


Questo è un fatto reale accadutomi una decina di anni fa quando ero ignorante. Nel senso etimologico, ossia che ignoravo quasi tutto della corsa, corricchiavo e basta.
Nel periodo in cui correvo all'Albereta cercai di aumentare la distanza ma a un certo punto mi dovetti arrendere a un fastidio al ginocchio: finché correvo i soliti 35-40 minuti tutto bene, se però passavo i 45 minuti ecco che cominciavo a soffrire sul lato esterno del ginocchio (non ricordo più quale fosse).
La cosa mi indispettiva ma il ragionamento fu: per forza, sono troppo pesante e correre non è lo sport più adatto al mio fisico, le povere ginocchia ne risentono e mi fanno capire che non è il caso di abusare. Peccato.
Per fortuna non era vero. Ma lo ignoravo.
Un giorno (questo l'aneddoto reale da cui volevo partire) ero a Parigi in vacanza. Alla Défense vidi un negozio di sport e mi ci imbucai immediatamente. Casualmente aveva un bel settore dedicato alla corsa e mi misi a guardare le scarpe. Ogni modello aveva una descrizione tecnica e una raccomandazione a seconda del tipo di runner.
Rimasi affascinato dal fatto che ci potessero essere scarpe diverse a seconda delle caratteristiche fisiche (prima scoperta). Mi concentrai allora su quelle che si dichiaravano indicate a corridori pesanti e che avevano bisogno di un'ottima ammortizzazione. Individuai un paio di Adidas che mi piacevano molto perché invece del solito bianco erano di uno strano grigio con le tre strisce arancioni.
La descrizione si confaceva, c'era solo un particolare che non capivo, colpa del francese tecnico – pensai – che non riuscivo a comprendere: erano indicate per corridori con "tendence pronatrice". Io – mi vergogno anche solo a ricordarlo – mi dico: nel più ci sta il meno, se vanno bene anche per chi ha questa tendenza andranno sicuramente bene anche per me. E le comprai soddisfatto, in realtà soprattutto per il colore.
Tornato a casa, le provai subito e mi ci trovai bene. Quando casualmente provai di nuovo a allungare un po' la distanza mi resi conto che non avvertivo il solito dolorino alle ginocchia. Riprovai: nessun problema.
Allora mi ricordai di quella parola, "pronatrice", che non conoscevo e cercai sul vocabolario e poi su internet e scoprii un mondo.
Avevo i piedi piatti, lo avevo sempre saputo, fin da piccolo mi avevano torturato con quelle orribili scarpe alte e plantari durissimi. Solo che non ci avevo più pensato e solo allora mi rendevo conto (seconda scoperta) che, come potei constatare osservando i mocassini sformati verso l'interno, soffrivo di quella che si chiama pronazione che era il contrario della supinazione. Meno male che non avevo trovato un bel modello di Adidas per la tendenza opposta, sennò con il mio ragionamento a quest'ora starei sempre correndo 35-40 minuti. Che in sé non sarebbe niente di male, però adesso posso scegliere, prima no.

Morale (positiva, anzi: positivista): l’ignoranza è bella perché più si ignora e più si è soggetti a facili e soventi scoperte che danno soddisfazione (purché non si voglia persistere nel nostro stato di ignoranza). La conoscenza ti toglie questo piacere: ti resta però il piacere del bel ricordo di quando hai smesso di ignorare e inoltre hai la possibilità di condividerlo con altri facendo loro provare un piacere simile a quello che hai provato tu: altro indubitabile piacere. 
Risultato (parziale): Conoscenza-Ignoranza: 2 a 1.

La morale pragmatica è più semplice: se ti fa male un ginocchio, cambia scarpe!

mercoledì 7 marzo 2012

Tanti maestri, tanto onore (una riflessione)

Non si finisce mai di imparare, dice l'adagio popolare. Puro buonsenso ovviamente.
Mi ripeto la frase e sento che vuol dire anche altro.
E' certo un incoraggiamento all'umiltà: non ne sapremo mai abbastanza da poter pretendere di non aver più da imparare.
Ma più ancora un invito a stare accorti, vigili, perché in ogni momento ci potrebbe essere qualcosa da imparare e che potrei perdermi per una semplice distrazione: lì per lì non ci pensavo neppure che avrei potuto anche solo vedere, incrociare qualcosa che valesse la pena di notare, apprendere... ed è già passata.
Ma a me fa venire in mente una terza indicazione: gratitudine, quel doveroso tributo ai tanti grandi e piccoli maestri di ogni momento della mia vita.
Sì, perché quando uno ha imparato qualcosa, l'ha appresa, a quel punto è sua e non gli pare possibile che prima non lo fosse, sua, che gli fosse estranea e che se non fosse stato per qualcun altro che gliel'ha mostrata, disvelata lui non l'avrebbe saputa, non sarebbe stata parte integrante di se stesso.
E non intendo i maestri veri, quelli deputati all'insegnamento, come i professori, o i genitori, quello sarebbe troppo ovvio e facile, quasi automatico il tributo.
No, intendo chi condivide con te piccolezze per il gusto di condividerle, e poi a te quelle piccolezze ti tornano in mente, ci ripensi e ti dici: eh, sì, aveva proprio ragione! Poi la volta dopo magari sei tu che quella stessa cosa la condividi con qualcun altro. Ormai è tua e ne puoi disporre come meglio credi, e spesso neppure ti ricordi che l'hai ricevuta in dono da qualcu altro.
Voglio fare un esercizio, prendendo la corsa - ovviamente! - come filo conduttore, e fare un elenco dei tanti piccoli maestri che ho avuto e delle cose che ho imparato e che ormai sono mie.
Ovviamente Fulvio. Ma delle tante cose che mi ha insegnato quella che mi torna in mente più spesso quando sono stanco, sono in difficoltà è quella storia della cordicella in vita. Quando mi corresse la postura e il movimento nella corsa, mi disse di incurvare il bacino in avanti e di lasciarmi andare come se avessi una cordicella stretta in vita e qulaccuno mi tirasse. Ecco quando sono stanco e comincio a perdere colpi, la prima cosa che faccio è concentrarmi sulla postura e sul movimento, controllare che il bacino sia incurvato, il busto leggermente in avanti, sbilanciato dalla cordicella che mi tira davanti a me, e poi le braccia che si muovano al ritmo, la falcata corta e l'appoggio sulla parte mediale del piede. E quanto mi aiuta e mi rilassa ricordarmi della cordicella.
Ma venendo ai piccoli maestri, quelli involontari.
Da Andrea ho imparato a non saltellare, e per farlo dovevo far finta di strusciare i piedi come se avessi avuto le pattine su un pavimento lucido. E' chiaro che è esagerato, ma esagerando ci si fa attenzione e anche se non si deve davvero strisciare i piedi è la "sensazione che" che serve. Adesso quando vedo l'ombra della mia testa che resta ferma accanto a quella di Emanuele che invece oscilla su e giù, penso a Andrea con gratitudine.
Riccardo mi ha invece insegnato a spingere dietro di me con la punta dei piedi: senza fare niente, quanta spinta in più!
Durante l'ultima mezzamaratona un altro Riccardo mi ha insegnato a non saltare allegramente giù dai marciapiedi, è ovvio ma io non ci avevo mai fatto caso e atterravo abbastanza pesantemente sul tallone... adesso ci faccio attenzione ogni volta che salgo o scendo da un dislivello...
Leonardo mi insegnò invece a combattere la stanchezza accorciando la falcata: quante volte viene spontaneo allungarla e invece si fa più fatica, si spreca più energia.
Emanuele invece mi ha insegnato a sorridere quando corro. Questa è una cretinata penserete voi. No, invece è una gran cosa: tutte le volte che il grande Piero Giacomelli mi faceva una foto a sorpresa (ma anche se mi accorgevo che mi stava per immortalare) venivo serio, stravolto, insomma l'inquadratura poi poteva essere anche bella ma c'era sempre qualcosa che non andava. Invece Emanuele, oltre a essere più fotogenico, ma per questo ci posso fare poco, in tutte le foto è sorridente. Non si tratta di mettersi in posa fulmineamente, lui è già "predisposto" al sorriso, anche quando è stravolto. E allora mi ci sono impegnato, prima sforzando di sorridere quando vedevo un fotografo, e poi via via a essere semplicemente più rilassato in volto, fino al risultato (secondario) di essere molto più facilmente sorridente. In pratica due vantaggi: non contraggo il viso risparmiando energia sprecata e vengo meglio in foto anche quando non sto proprio sorridendo.
E tutte queste cose che ho imparato un certo momento di giorni fa, mesi fa o anni fa, adesso fanno parte integrante di me, sono me.
E questa è solo una lista delle cose che mi vengono in mente così in pochi minuti, ma ce ne sono tante altre. tanti maestri da ringraziare. E ho pensato solo alla corsa: mi viene da ridere solo a immaginare quanti insegnamenti e quanti maestri potrei ringraziare se estendessi l'esame a tutto quello che mi accade.
(La corsa come metafora della vita?, beh, forse meglio sineddoche...)
La morale? Tanti maestri, tante cose imparate, tanta ricchezza in più, tante cose da poter condividere con altri ancora.
Tanti maestri, tanto onore.
Grazie a tutti!

domenica 4 marzo 2012

3. Firenze-Signa-Firenze (Revisione 1)

Asfalto e terra / pianeggiante / 24 km (giro completo partendo da Agraria) / 2 fontanelle

I percorsi sono vivi e soggetti a mutamenti, a evoluzioni.
C’è voluta una nuova stagione di lunghissimi per forzarmi a revisionare un percorso che ormai davo per consolidato. Si tratta del Firenze-Signa già dettagliatamente descritto.
Per me l’ottimo sarebbe la possibilità di evitare del tutto strade aperte al traffico.
Un compromesso accettabile sono le stradine di campagna raramente frequentate da automobili.
Il primo tratto percorso è all’interno di uno dei luoghi devoti alla corsa (la pista ciclabile Cascine-Renai) quindi non migliorabile.

Ero già piuttosto soddisfatto del modo di oltrepassare Signa e Ponte a Signa, ma con Giovanni abbiamo scoperto un’ulteriore via “verde” (anche se con breve tratto con saliscendi e cinquanta metri di fondo dissestato).
Una volta usciti dai Renai si tratta di proseguire lungo il canale che ovviamente andrà a sfociare in Arno. Si scende fino al livello del greto e qui si deve fare attenzione a non farsi male (fermare il crono, ma si tratta di un tratto brevissimo) e poi si risale subito per spuntare al parcheggio dello stadio esattamente in corrispondenza del ponte sul fiume. (in giallo la variante, in rosso il percorso iniziale).










Lo stesso sull’altro lato dell’Arno: da Ponte a Signa fino al Parco Fluviale di Lastra a Signa senza calcare alfalto stradale: si comincia stando sul sentiero sull'argine che segue la strada, poi all'altezza della ferrovia si prende una strada sterrata che si inoltra tra gli orti in direzione dell'Arno. Ci porterà al Parco Fluviale di Lastra a Signa.

Il vero cambiamento sta proprio tra il Parco Fluviale e Ugnano: anche qui totalmente “verde”. Resta solo il tratto tra il cimitero di Ugnano e il Poderaccio ma si tratta di strade che il sabato e la domenica mattina sono percorribili incontrando pochissime vetture. Dal Poderaccio siamo di nuovo all’Indiano e quindi in area “protetta” (da un punto di vista traffico).
Avevamo più volte notato che c’era una pista pedonabile che noi intercettavamo dietro al cimitero di Mantignano e ci portava a Ugnano ma non sapevamo da dove partisse. Unico modo per saperlo era percorrerlo, solo che tutte le volte che arrivavamo lì eravamo a pochi chilometri dall’”arrivo” e quindi non avevamo energie da sprecare. Stavolta avevamo chilometri in abbondanza da percorrere prima di arrivare (*) e quindi ci siamo potuti permettere di rischiare di fare un tratto inutilmente e poi di dover tornare indietro.
La cosa buffa è che per puro caso fin da subito non abbiamo avuto alcun dubbio che il sentiero era ben percorribile e doveva spuntare in qualche posto dato che ci siamo trovati a incrociare una gara con i concorrenti che ci venivano incontro uno dopo l’altro. Peraltro ho riconosciuto vari runner con i quali avevo condiviso la Mezza di Scandicci la domenica precedente, nonché vari colleghi. Il percorso corre lungo l’argine che costeggia l’Arno e da cui si vede bene sull’altra riva la pista ciclabile Cascine-Renai. La sorpresa è stata ancora maggiore quando siamo spuntati proprio nel Parco Fluviale di Lastra a Signa. A questo punto abbiamo continuato l’esplorazione proseguendo il sentiero e utilizzando una strada sterrata che serve i vari orti nell’area sottostante la nuova ferrovia che attraversa il fiume proprio davanti al Parco dei Renai.


In conclusione si riesce ad avere un anello quasi interamente “protetto” con partenza e arrivo alle Cascine. Il fio da pagare per avere un percorso più “verde” è la lunghezza: adesso il percorso è più breve. Partendo e tornando a Agraria adesso saremo a poco più di 24km contro i 25,5km della prima scorciatoia dal Poderaccio e i 28,5km della prima versione (che doveva arrivare fino a Ponte a Greve per poi rientrare da San Bartolo a Cintoia.
Adesso per migliorare ulteriormente il percorso attendo una passarella che colleghi il Parco Fluviale di Lastra a Signa con il Parco dei Renai (che sarebbe doverosa) e trovare un percorso lungo l’argine che colleghi il Poderaccio con il cimitero di Ugnano (ossia all’autostrada A1 che passa lì sopra)...

(*) Nota: mi è venuta così mentre scrivevo però non vorrei che qualcuno pensasse che copio. Si tratta invece di una citazione (inconsapevole che si è appunto resa consapevole appena l’ho scritta) di un passo di una poesia che adoro di Rober Lee Frost che dice “I’ve promises to keep and miles to go before I sleep” e che in italiano fa “ho promesse da mantenere e miglia da percorrere prima di dormire” che mi è rimasto impresso da quando l’ho sentita in un film con Charles bronson (“Telefon”, puri anni 70). Vi consiglio la poesia, il film solo per cultori del genere...

Le sorprese nell'armadio e le scarpe da corsa (un paio di consigli da vecchio zio)


Stamani stavo rimettendo in ordine un armadio. Niente a che fare con la corsa, era solo un tipico lavoretto da domenica mattina che io ovviamente evito, rimando di settimana in settimana, fintanto che non ne posso più e quindi mi ci metto, ma allora non rimetto a posto solo quello che dovevo rimettere: faccio uno scavo accurato, con le solite e inaspettate sorprese (sono sorprese e in quanto tali sono inaspettate ma se ci penso mi rendo conto che sono inaspettate solo per il fatto che mi sono scordato che cosa ho messo io stesso in un certo cassetto, o in un certo sacchetto rintanato in un angolo remoto, quindi sono io con la mia smemoratezza a creare queste sorprese) e  poi rimetto tutto a posto da zero, cercando di razionalizzare e di eliminare quello che è eliminabile.
Stamani la piacevole sorpresa è stata una tuta Adidas di quelle in acetato, con la giacca con la zip,  il pantalone largo in fondo, azzurra con le righe bianche: puro vintage, di quelle che troverei in un negozio Adidas Originals. Solo che è vintage vero, di quando avevo forse vent’anni. Mai gettata per affezione anche se non mi stava più. Adesso grazie alla corsa ho perso almeno una taglia e mi sta pure la tuta Adidas vintage!
Ma tutto questo è una divagazione, e appunto non c’entra con la corsa, a parte la perdita di peso. Il fatto è che mentre ero lì che mi cimentavo nell’impresa riordinativa mi sono accorto di un’altra situazione vergognosa: le mie scarpe da corsa che pascolano indisturbate davanti all’armadio medesimo...
Sono ben quattro paia e sono tutte “attive”: dopo aver cercato inutilmente di ordinarle da qualche parte (ma sono troppe e poi ogni volta ne uso un paio diverso), alla fine ho rinunciato e le ho lasciate lì, nell'attesa che qualcuno mi rimproverasse costringendomi a trovare loro una migliore sistemazione.

Vorrei parlare di scarpe non per consigliare una marca o un modello (ormai so che ognuno di noi ha un piede e soprattutto una postura tutta sua) ma per condividere alcune considerazioni generali che possono nascere dalla descrizione di usanze particolari.
Io faccio così: individuo una scarpa che si confà alla conformazione del piede (nella fattispecie io sono iperpronatore) e, se non mi crea problemi, la adotto. Quando devo sostuire l’attuale non faccio altro che acquistare il modello nuovo (di solito identificato da un numero incrementato di una unità). Facile.
Se fosse così semplice avrei dovuto avere uno o al più due (nel periodo di affiancamento, ne parlerò dopo) paia di scarpe.
E se fosse così, dovrei aver usato sempre la stessa marca e lo stesso modello. E invece non è così. Perché? Come in tutte le evoluzioni, c’entra il caso.
E come succede che abbia scarpe di modello diverso o addirittura di marca diversa?
Allora innanzitutto la prima questione: data la linea guida summenzionata, come si può cambiare marca o modello nel tempo?  
Cominciamo dall’inizio, quando per puro caso (ovviamente questo episodio merita un racconto a parte...) ho acquistato un paio di scarpe (per la cronaca: Adidas Supernova Control) che mi hanno disvelato il mio problema: scomparendo il dolore alle ginocchia che mi prendeva quando superato gli 8-9 chilometri ho capito che (essendo il modello acquistato anti-pronazione) ero un pronatore e che avrei dovuto semplicemente utilizzare delle scarpe opportune, che ogni marca ha nel suo catalogo.
Ho quindi cominciato a comprare sempre lo stesso modello anno dopo anno. Poi, siccome alcune marche non hanno un solo modello antipronazione ma almeno un altro che si differenzia per qualche altra caratterstica come per esempio l’assorbimento maggiore o minore della suola, per curiosità passai al modello “superiore” della stessa marca (in questo caso l’Adistar Control). L’inizio non fu indolore ma poi dopo un po’ di chilometri e di uscite mi adattai e mi trovai anche meglio con l’altro modello. E quindi cambiai modello, comprando il modello rinnovato una stagione dopo l’altra.
Ovviamente ogni azienda cerca di differenziare ogni modello con una colorazione diversa e magari con un miglioramento infinitesimo.
Tutto bene. Fino a quando, forse a causa dell’ennesimo miglioramento (coincidente con il cambio di nome, forse inappropriato, del modello: da Adistar a Salvation), le scarpe hanno cominciato a darmi fastidio.
A malincuore ho cercato un’alternativa e per consiglio di un venditore (ma di quelli esperti davvero, non il neoassunto in un negozio di una grande catena) ho acquistato, dopo più di dieci anni, di nuovo una scarpa da corsa Nike. Avevo sviluppato un’antipatia per le Nike da corsa: consideravo la Nike una marca troppo modaiola e quindi (nella mia mente) poco tecnica. Peraltro questo modello di Nike, essendo l’unico antipronazione era anche il meno modaiolo e di conseguenza pure il più brutto della collana. Comunque i malanni sparirono e mi rassegnai alla Nike, continuando con lo stesso modello per varie stagioni.   
Poi di nuovo il caso: non avevo mai provato nessuna Asics... avevo messo gli occhi un modello ad hoc e quando mi capitò un’occasione me ne comprai un paio: costavano così poco... Peccato che avesse ragione l’esperto venditore che molto tempo prima di aveva portato a scegliere le brutte Nike proprio a sfavore delle più belle Asics: “con le Asics la caviglia sinistra ti fa un ‘verso’ strano... invece con le Nike non te lo fa...” Infatti nonostante che fossero antipronazione, ogni volta che le ho usate per più di venti chilometri mi hanno causato qualche problema. Alla fine le ho dedicate agli allenamenti brevi. Nel frattempo comunque non avevo abbandonato le Nike.
Sono quasi arrivato a rispondere anche alla seconda questione: perché quattro paia di scarpe, e di marca e modelli diversi?
Un anno fa ebbi la gioia di visitare un outlet Nike negli Stati Uniti. Rigirarmi tra le mani una leggera Lunarglide e scoprire che costava l’equivalente di una cinquantina di euro fu una folgorazione: perché no?
Finalmente anche un pesante iperpronatore come me aveva una paio di scarpe non dico da gara ma almeno un po’ più leggere. E poi la pubblicità diceva che erano “autoadattive”, buone per tutti i corridori...
Ci ho voluto credere ma anche per loro è valso quanto detto sopra per le Asics: le uso solo per gare da dieci chilometri o ogni tanto per le ripetute, tanto per il gusto di usarle.
Tornando allo spettacolo indecoroso del mio gregge di scarpe da corsa: un paio di Nike Structure Triax quasi esaurite affiancate dal nuovo modello, un paio di Asics Kayano abbastanza usate ma non finite e un paio di Lunarglide usate saltuariamente e oramai invecchiate.
Per completezza devo ammettere che nell’armadio ho anche un paio di Salomon da trial ma loro hanno il loro posto dedicato: le uso solo quando vado in montagna d’estate...

Un paio di considerazioni generali (o consigli da vecchio zio):

Durata
Seguo l’indicazione bene o male comunemente accettata: 800 chilometri o un anno, quello che si realizza per primo. Non è una legge inelluttabile ma l’esperienza mi ha confermato che è facile che dopo 7-800 chilometri comincio a sentire le scarpe, ancorché comode, anzi proprio quando mi sembrano più comode del solito, ecco che le sento anche un po’ “sgonfie”. Lo stesso accade se non si percorrono tanti chilometri ma passa più di un anno, niente di molto evidente ma a farci caso le scarpe sono un po’ più rigide.
Purtroppo non è la prima volta che sento un amico o un collega lamentare un improvviso malanno completamente inspiegabile e poi vengo a sapere en passant che usava le stesse scarpe da tre anni oppure ci aveva fatto migliaia di chilometri...

Affiancamento
Anche se si usa l’accortezza di comprare lo stesso modello, e sebbene i procedimenti industriali assicurino una quasi identicità degli oggetti, è piuttosto ovvio che una scarpa che ha fatto 800 chilometri è necessariamente diversa da una nuova di zecca.
Appena si usa una scarpa nuova, nella quale, appena indossata si sta comodissimi, è quasi inevitabile che si verifichino effetti fastidiosi soprattutto se usata subito per una lunga distanza (un’unghia nera, una vescica). Meglio limitarsi inizialmente a uscite sui dieci chilometri, lasciando i lunghi del fine settimana al vecchio modello. Tempo un paio di settimane potremo usare la nuova scarpa anche per un lungo e da allora in poi usare esclusivamente quella proprio per i lunghi, in modo che quando si affrontasse una maratona avremo un paio di scarpe con almeno un centinaio di chilometri all’attivo.

Morale: in breve tempo potrò fare ordine senza dover fare scelte dolorose o creare spazio nell’armadio: le vecchie Structure Triax vanno al riciclo e le Lunarglide vengono declassate a scarpe da passeggio... Tempo un’altro mesetto e anche le Kayano saranno da riciclo. E mi troverò con soltanto un paio attivo.
E finalmente potrò comprarmi un altro paio di scarpe!