Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

sabato 27 luglio 2013

“Correre con il branco”, recensione di un libro che non c’è (ancora)

Premetto che si tratta di un libro non ancora uscito in italia. Non è snobismo: è che non potevo aspettare che uscisse (ammesso che prima o poi esca) in italiano.(*)

Mark Rowlands è un filosofo che corre, ha corso per tutta la sua vita e per cui correre e pensare sono inscindibili.
La sua duplice competenza gli permette di affrontare l’argomento “corsa” in Running with the pack (letteralmente “correre con il branco”) con la giusta leggerezza e la dovuta serietà.

Innanzitutto la lettura è piacevole, si tratta di narrativa e non di un saggio filosofico. Il libro è costituito da una raccolta di racconti che, tenendo come linea conduttrice la partecipazione impreparata ad una maratona, ripercorrono vari momenti della vita del protagonista che intrecciano inestricabilmente la filosofia, l’amore per i cani e la corsa.

La parte che mi ha interessato maggiormente e di cui vorrei rendervi partecipi, invitandovi a approfondire la questione, è la categorizzazione delle fasi del pensiero durante la corsa individuati da Rowlands:
- Fase spinoziana
- Fase cartesiana
- Fase humiana
- Fase sartriana

La fase spinoziana è la fase iniziale, quella in cui sono acutamente sensibile a ogni parte del mio corpo, ogni minima dissonanza, ogni percezione anomala in un polpaccio. Sono un tutt’uno, un amalgama indivisibile di mente e corpo in azione, come immaginato da Spinoza.

Fase cartesiana: è il momento del dualismo tra corpo e mente, in cui il corpo è chiaramente percepito dal mio “io” pensante come cosa altra, distinta. È in questa fase che “io” cerco, con obbiettivi specifici o ingannandolo con argomentazioni raffinate, di spingere il corpo a compiere azioni o sforzi per i quali parrebbe recalcitrare. Il corpo non è più parte integrante di me ma semplicemente qualcosa che sto usando per arrivare dove voglio andare. Ma è una fase precaria: il corpo può facilmente ribellarsi e diventare da schiavo a padrone... in ogni caso si tratta di una fase agitata.

Ad un certo momento, senza che me ne accorga, correndo, la distinzione tra corpo e mente viene dimenticata, e pensieri spuntati da chissà dove mi sorprendono e mi ci abbandono. È la fase humiana. È in questa fase che posso pensare un racconto che poi trasferirò su carta non appena sarò rientrato a casa (certe volte ho preso appunti anche prima di fare la doccia per timore di dimenticarmi i dettagli, come quando al risveglio si potrebbe scordare il sogno fino a  quel momento chiarissimo). Il filosofo scozzese David Hume afferma che ogniqualvolta cerca di addentrarsi in se stesso si imbatte in pensieri, sensazioni, emozioni, o in quello che l’autore definisce “stati mentali”. L’ego che comanda si dissolve, non c’è più una mente pensante ma vengo disperso in pensieri che arrivano da non so dove e spariscono altrettanto facilmente chissà dove. Quelli che l’autore chiama “pensieri danzanti”.

La corsa lunga può essere vista quindi come lo svolgersi di un processo in cui il me stesso prima incarnato in un unicum si trasforma progressivamente in una contrapposizione duale cartesiana per poi trasfondersi in pensieri danzanti.
Ma una corsa non si sviluppa necessariamente nelle varie fasi in questo ordine, talvolta non tutte le diverse fasi si manifestano oppure lo fanno in ordine diverso.
Ma quando ciò avviene, questo è il nocciolo della questione per l’autore, io mi sto addentrando sempre più profondamente nel “cuore pulsante della corsa” e il mio me stesso evapora.

E quando l’autore pensa che questa dissoluzione del se stesso nelle varie fasi abbia raggiunto il culmine ecco che si rende conto di essersi sbagliato che c’è un’ulteriore fase che va oltre. Nella fase humiana sebbene io non distingua più un essere pensante da uno non pensante, sono comunque tentato dal riconoscermi nei pensieri, nelle sensazioni. Io sono qualcosa.

Ecco la fase ulteriore, la fase Sartriana. Secondo il filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre la consapevolezza è consapevolezza di qualcosa, non ha contenuto in se stessa. E questo qualcosa, non necessariamente qualcosa di fisico, è comunque frutto di interpretazione umana. In ogni caso è qualcosa fuori da me stesso.
In quest’ultima fase, l’autore si rende conto che questi pensieri, queste sensazioni riguardano “cose” al di fuori di sé e che comunque non hanno alcun potere su di sé: non ci sono ragioni che possano fermarlo. Qui l’autore si addentra in una distinzione piuttosto complicata tra ragioni e cause (come per esempio la rottura di un tendine, che invece possono fermare la sua corsa).
Ho volutamente descritto quest’ultima fase evitando la prima persona e il “me stesso” perché ammetto che, mentre riconosco di aver esperito le prime tre fasi descritte, quest’ultima mi resta incompresa.

Mi sono soffermato in passato sull’evoluzione o comunque sul modificarsi del mio pormi nei confronti di me stesso durante il prolungarsi della corsa (come per esempio l’utilizzo a fini narrativi dei pensieri occorsi in corsa in Correre è una cosastupida), avevo addirittura proposto (in Cosa penso quando corro la maratona e in Verso la maratona - Pillola 5: L’atteggiamento mentale in gara) una strategia mentale per le varie fasi della maratona, suddividendola proprio in accordo a quello che il mio me stesso sarebbe stato portato a fare: una prima fase di iperconsapevolezza che potrei assimilare a quella “spinoziana”; una seconda fase di conduzione del mezzo fisico, squisitamente “cartesiana”; una fase in cui sento il bisogno di fare particolarmente attenzione al controllo, proprio perché tale controllo verrebbe naturalmente meno, in corrispondenza di una fase di pensieri danzanti, proficuamente utilizzabili in allenamento ma da gestire in modo opportuno durante una gara; per poi arrivare alla fase finale in cui tutto viene meno e non resta che resistere. Mi ha sorpreso la sia pur rozza somiglianza della esperienze di individui fisicamente e culturalmente così distinti: l’unico tratto comune resta la corsa. Ed questo che avvalora le tesi proposte dall’autore.
Menzione a parte merita la riflessione sul valore della corsa in sé, che è appunto il tema centrale del libro: la corsa, in quanto “gioco” e non “lavoro”,  non è un tramite per raggiungere un altro valore. Ne discende – è la tesi dell’autore – che sia un valore in sé.
Come solo chi corre può capire.
Ma non vale la pena insistere su questo punto che sconfina in ciò che uno crede, quasi come si trattasse di una convinzione religiosa: in generale cerco di evitare di discutere con un amico di religione e di politica: è impossibile convincere l’altro, si rischia solo di offuscare un’amicizia. E io considero a suo modo amico colui o colei che sta leggendo queste parole.
Oltretutto non sento la necessità o l’importanza di sapere che la corsa è un valore in sé: tanto mi piace correre lo stesso!...

Conclusione: un libro da leggere, che inspira amore per la corsa e per gli animali oltre che far venire voglia di pensare. Correndo, ovviamente. 

Mark Rowlands
Running with the pack (thoughts from the road on meaning & mortality)
Granta Books, UK
2013



(*) Buone nuove: giorni fa un collega e amico che ho incrociato alle cascine mi ha chiesto se ero io a avergli parlato di "Correre con il branco"... l'aveva visto in libreria...


Effettivamente è uscito in italia il 23 settembre 2014: finalmente!

Mark Rowlands
Correre con il branco
Mondadori, Strade Blu Saggi 
2014