Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

martedì 29 marzo 2016

Grazie a una coda di cavallo e a un nerobarbuto ho ripreso a scrivere (di corsa): lector docet.


Qualche tempo fa un'affezionata e attenta lettrice mi fece notare che ultimamente non scrivevo più, almeno di corsa. 

Io non obbiettai e l'attenta lettrice proseguì nella sua analisi: "forse perché non corri o corri meno o corri con meno interesse". 
La prima reazione fu quella di negare, non c'entra niente, non è vero, sto correndo. Però mi controllai, e mentre sorridevo cercando una risposta spiazzante, in pochi secondi mi è ripassata davanti tutta la mia formazione, il compianto maestro (anche se lui non lo ha ovviamente mai saputo) Umberto Eco, quando più di vent'anni fa decisi di leggere tutti i suoi saggi capendone una frazione minima, bastò però a farmi capire che è il lettore a avere sempre ragione e che l'autore una volta resa pubblica la sua opera ha perso ogni diritto che non fosse già nelle parole scritte (per chiudere la parentesi, se proprio dovessi consigliare un solo libro, suggerirei Lector in fabula, sebbene piuttosto tecnico), le mie fissazioni sul fatto che dell'autore reale non ci deve interessare alcunché ma solo di quanto leggiamo. Ed eccomi là, autore reale, di fronte a un lettore. Colto non da umiltà ma da fastidio risposi: "Sì e no. Sì, può darsi che tu abbia ragione (l'orgoglio mi impediva di darle pienamente ragione): in seguito a vari piccoli infortuni ho corso meno in questo periodo e senz'altro con minore soddisfazione e quindi, forse, con minore ispirazione per la scrittura. No perché ho comunque corso regolarmente: forse ho scritto meno di corsa ma avuto modo di scribacchiare di altri argomenti."
Detto ciò restava comunque il fatto che negli ultimi mesi ho scritto davvero poco sulla corsa. 
E questa breve discussione, in tutto due frasi (la lettrice non ha potuto visualizzare tutta la digressione interiore che mi aveva incautamente causato), mi era quasi sfuggita di mente. Se non fosse che oggi, lunedì dell'angelo, dopo varie ore di guida, un pranzo frugale, un riposino iniziato per caso e prolungatosi per due ore, avendo poco tempo prima di cena ho deciso di fare una quindicina di chilometri in agilità, per mettere alla prova i vari miei pezzi (soprattutto piedi e caviglie) ancora sotto osservazione.
Sono partito con allegria e convinzione: mi sono accorto solo dopo circa un chilometro che non mi era neppure venuto in mente di prendermi le cuffiette per distrarmi con la musica: non avevo alcun bisogno di distrarmi, volevo proprio correre e sentire me stesso.
Dopo sette chilometri stavo reggendo bene ma iniziava una fase rischiosa: in questo periodo riesco a correre a ritmo sostenuto solo per tratte brevi: otto, dieci chilometri, oltre non si sa, quindi ero a rischio "flessione", quando mi sorpassa, lentamente ma inesorabilmente, una giovane ragazza, a occhio poco più che ventenne, sobriamente vestita,  che mostrava un passo molto disinvolto e una coda di cavallo che ondeggiava ritmicamente un passo a destra e uno a sinistra. Ça va sans dire che ho cercato di resistere e, una volta lasciatole qualche metro di vantaggio, ho forzato per mantenere la distanza con un minimo di onore, sia pur ferito, quasi ipnotizzato da quella coda di cavallo (alcuni miei lettori, di sesso maschile, a questo punto avranno già un sorriso ebete e penseranno di ben interpretare queste ultime parole come un'ironica metafora: ebbene no, stavolta i lettori si sono sbagliati, ipotizzando che l'autore teorico, nonché quello reale, fossero attratti da ben altra parte, non foss'altro che per la semplice ragione, nel testo lasciata in ombra, che la giovane ancorché atletica non era particolarmente ben formata nella sua parte posteriore. L'autore reale si scusa con le lettrici ma, purtroppo, è la verità. Tornando alla corsa: ho retto abbastanza bene finché dopo circa un chilometro la fanciulla ha rallentato e invertito il senso di marcia. Io sono sfilato senza neanche guardarla, ho solo pensato: e adesso me la devo cavare da solo e mi mancano ancora sette chilometri.
Mi sono distratto facendo un po' di conti su fino a dove sarei dovuto arrivare per poter poi rientrare a casa completando precisamente i miei quindici chilometri in modo da evitare di dover allungare alla fine quando sarei stato stanco e quindi soggetto a cedimenti psicologici che poi avrei rimpianto. Verso il dodicesimo chilometro cominciavo a sentire le gambe appesantite e l'oscurità che seguiva il tramonto si adattava al mio stato d'animo: tutta l'allegria e la convinzione erano incredibilmente evaporati. Quando si immette alla mia sinistra un uomo magro, barbuto e di nero vestito che sembra avere un buon passo oltre che il giusto physique du rôle: lo affianco e gli chiedo: "Ti posso fare compagnia per un po'? sono stanco". Lui accetta di buon grado e aumenta pure l'andatura per aiutarmi a tenere il passo che stavo invece rallentando: abbiamo chiacchierato per circa un chilometro e mezzo a una velocità ben superiore a quella mia allegra iniziale tanto che l'ho salutato ben volentieri per far rotta verso casa, rallentando ma sia pur sempre mantenendo un passo decente.
Ho finito il mio allenamento improvvisato molto soddisfatto e grato per la disponibiltà e l'aiuto che tra runner non ci neghiamo, anzi ci doniamo con gioia. Consciamente: il nerobarbuto, inconsciamente: la giovane dalla coda di cavallo. Ma tant'è: ho corso bene e con ispirazione ed eccomi qui!
Aveva ragione la lettrice. Come al solito.