Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

mercoledì 28 maggio 2014

9.1 San Gersolè (Infarto in Fattucchia)

Asfalto e sterrato / saliscendi impegnativo / 13 km (giro) 

Lasciamo per un attimo da parte il titolo con la compiaciuta allitterazione bisillabica, lasciamolo lì come il fucile di Cechov, lo ritroveremo alla fine.

Maggio è il mese... degli iris! Sì... Del primo mare di stagione! Anche... Delle scampagnate! Ecco, sì: delle scampagnate, ma delle scampagnate correndo con gli amici sulle colline. Vabbè ma allora è un mese come gli altri, direte voi. No, la differenza è che, contrariamente al solito, non  abbiamo obbiettivi, né velocità da rispettare, né chilometraggio misurato, tutto è lasciato al piacere della giornata, ognuno ne approfitta condividere con gli altri un percorso che lo ha colpito o che gli è caro per un qualche motivo.

Il percorso ve lo racconterò come avrebbe dovuto essere, senza gli errori che non sono rari in queste scampagnate, anche perché ce li possiamo permettere, ci possiamo anche fermare tutte le volte che vogliamo a vedere i paesaggio e la performance non ne risentirà, quindi si può anche rischiare. E perdere, senza essere sbeffeggiato.

Partendo da Ponte a Ema, nei pressi della grande rotonda vicina all’ingresso dell’autostrada (noi per intendersi avevamo parcheggiato davanti alla Licosa, la cui scritta sul tetto è ben visibile). Tappa di trasferimento fino alle Cascine del Riccio passando dalle Cinque Vie.
Alle Cascine del Riccio si passa il ponticino e si prosegue oltre la Casa del Popolo (senza considerare la contrada che spunta proprio dopo il ponticino). Al bivio con la fontanella si tiene la sinistra (a destra sale e ci porterà a troppo a est): si deve passare sotto l’autostrada, prendendo subito dopo a destra salendo fino a spuntare sulla strada Nuova di Pozzolatico (noi invece prendendo a destra alla fontanella ci siamo spuntati molto più in basso e ci siamo dovuti sorbire il traffico del sabato mattina, incluso il camion della nettezza urbana...). Si continua a salire per poche centinaia di metri fino a che non si legge l’indicazione per S. Gersolè e si prende a sinistra. Un saliscendi riposante ci conduce al punto fisso della gita, sicuramente Emanuele lo conosceva ma non è un luogo abituale, io invece ci ero passato in bici e la volevo rivedere quella frazione, non è neanche un paese, c’è giusto una chiesa e qualche casa, da cui si gode un bel paesaggio su ambo i lati della collina immemori del rumore dell’autostrada poco distante.
Si comincia a scendere verso pian di Grassina ma al primo bivio si prende sulla sinistra verso San Giusto. La strada asfaltata scende un po’ dalla cresta della collina, sono convinto che una strada bianca vicinale, chiusa da un cancello ma con un passaggio per i pedoni, ci avrebbe permesso di mantenerci in quota ma non abbiamo avuto il coraggio di provare stavolta (e se troviamo un cane?...).
Via di Poggiosecco passa dalla chiesetta di San Giusto: sulla collina di fronte a noi, al di là dell’autostrada, distinguiamo la Torre del Gallo, Arcetri e, più a destra, il campanile di Santa Margherita a Montici.
Finiamo su via di Vacciano: scendendo si arriva direttamente alle auto, ma secondo le mie stime non sarebbero neppure tredici chilometri. Salendo si arriva in vetta alla collina cosiddetta di Fattucchia e da lì si prende a sinistra (e non a destra dove indica per Grassina) una strada sterrata che sale e scende su questa specie di altopiano. Dopo neanche un chilometro, in corrispondenza di due grandi cipressi si imbocca un sentiero che scende nettamente fino a via di Campigliano (in realtà l'ascesa e la discesa da Fattucchia l’ho già descritta partendo dal piazzale in "2.1 Fattucchia").
Oramai siamo arrivati: costeggiamo l’Ema (il fiume) verso sinistra, attraversiamo il centro di Ponte a Ema per poi tornare a dove abbiamo lasciato le auto.

Questa la scampagnata e il compagno della mattinata era Ema, detto anche “Mille scuse” dagli amici di Grassina.
Che devono essere assai maligni, i suoi amici.
In questo giro ha, nell’ordine: chiesto, fermandosi, indicazione, alle Cascine del Riccio a un ragazzo che conosceva (in quel caso a ragione perché avevamo chiaramente sbagliato strada), facilitato, fermandosi, il passaggio della auto che lo superavano in salita sulla via di Pozzolatico, attraversato, camminando, la strada per prendere il bivio per San Gersolè, domandato, fermandosi, a un un tizio che parlava al cellulare indicazioni per san giusto.
Quando palesemente non c’era alcuna scusa ha confessato con aria tra il complice e il sacrosanto: “devo recuperare”.

Arrivati al bivio, di fronte al dilemma se scendere alle macchine (sorriso sollevato) oppure affrontare l’ennesima salita (siamo già a tredici chilometri!...) ma come – ho tagliato corto – sei di queste parti, non puoi non conoscerla! e ho proseguito:
“Tanto c’è solo un’ultima salitina, anche se dura”.
“È questa?” fa speranzoso.
“No, questa non te l’avrei neppure chiamata salita, la salita vera comincia dopo la curva e il tornante tra gli alberi.”
In realtà erano due pettate da prima ridotta, però quando ha cominciato a dire “non ce la faccio”, eccomi di nuovo sergente Foley a gridargli “non ti fermare, non camminare, corri pianissimo ma corri”,
Una volta arrivato alla bene e meglio in vetta, non si è smentito: “devo recuperare!”,
“Senti non ti prenderà un infarto, quindi corri!”
Poi, dopo rapido calcolo del rischio: “Guarda se ti prende un infarto è colpa mia, va bene?” Questa gli è piaciuta – questa la puoi anche scrivere - e ha continuato. Poco dopo una discesa troppo impervia lo ha costretto a procedere con cautela. Camminando,...

Un altro problema di quando corriamo insieme è che non riusciamo a correre fianco a fianco. Siamo partiti e lui stava davanti, io di tanto in tanto provavo a dire non era necessario andare forte. I primi km erano in pianura, l’andatura era tranquilla anche se non di tutto riposo. Poi è cominciata la salita, ci siamo immessi (avendo sbagliato, era molto più giù di quello che ho descritto sopra e che avevamo programmato) sulla via Nuova di Pozzolatico: salita costante con discreta pendenza anche se non eccessiva. Peraltro poche settimane prima (“Saluti misti”) mi ero trovato nella situazione opposta: scendevo in bicicletta e ho salutato qualcuno che correva in salita. Ho rivisto lo stesso punto in cui ho salutato il runner e in quei pressi ho incrociato un ciclista che scendeva. L’ho salutato.
Tornando a noi due, abbiamo proseguito la salita e Ema stava ancora davanti a me, non che la cosa mi preoccupasse perché non sapendo cosa mi aspetti io in salita di solito vado “alla stessa fatica” ossia corro facendo la stessa fatica che farei in pianura andando però più veloce. Dopo due o tre volte che gli faccio notare che potrebbe andare più piano, e lui acconsente, “sì, sì, bisogna andare più piano”, gli ho detto: “Guarda che sei sempre due metri avanti a me, delle due l’una: o sei molto più in forma di me, o sei molto più fava.”
“La seconda che hai detto”. Un altro paio di curve senza che la salita accenni a alleggerirsi e vedo davanti a me un filo di fumo bianco...


Tornati infine alle auto mi ha detto “Grazie”. “E di che?” Di avergli intimato di non fermarsi, di essere stato un aguzzino? Elena poi a casa se glielo racconto mi rimproverarà e anche se obbietterò che non è che non ce la facesse davvero, che era solo nella sua testa, che in certi momenti hai bisogno di qualcuno che ti sproni, altrimenti ti fermi e poi a posteriori ti penti e ti dispiace, un dubbio mi assalirà: e se gli fosse preso un infarto in Fattucchia. Ma è solo un attimo. Però: che bella allitterazione. 


mercoledì 14 maggio 2014

Correre in stormo (racconto)

Ci è voluto un anno e mezzo quasi, sedici mesi per l’esattezza, durante i quali almeno una volta a settimana, ma spesso due volte, ho frequentato lo stesso spogliatoio e ho corso nello stesso parco e negli stessi paraggi. Solo buongiorno e arrivederci.
A dire la verità un primo passo avanti l’avevo già fatto durante il periodo di Natale: un giorno in cui nevischiava e c’era nebbia, ricordo che feci anche delle foto che mandai ai miei compagni che nello stesso momento stavano uscendo per correre a Firenze, – per fare  lo smargiasso: tanta neve tanto onore! Quel giorno lì, nello spogliatoio deserto, incontrai solo due dei più assidui, che casualmente arrivarono in tempi diversi, per cui mi trovai da solo a solo prima con uno e al ritorno con l’altro: attaccai discorso non ricordo esattamente su cosa, senz’altro sul tempo. Fatto sta che stabilii un minimo di contatto, anzi due contatti, tanto che la volta dopo, uno di questi mi guardò e, ammiccando agli altri che affollavano lo spogliatoio, mi disse: ma l’altra giorno non c’era così tanta gente!... Orazio invece scoprii che era originario di Scandicci: per uno lontano da Firenze è come un piemontese e un sardo che si incontrano al polo nord: compaesani! Con loro due potevo almeno scambiare due parole nello spogliatoio. È stato proprio Orazio, un paio di settimane fa, a farmi l’onore di invitarmi a correre insieme, era solo e stavamo chiacchierando mentre ci preparavamo: abbastanza ovvio, ma non scontato. Potrei contare quell’evento per sancire la mia entrata in società ma non mi sembra corretto: era sempre una persona o due, mentre per tutti gli altri continuavo a essere uno sconosciuto che correva accanto a loro ma in un universo parallelo. Quante volte li ho sentiti scherzare tra loro, parlare delle imprese del fine settimana, uno di loro ha fatto ben sette volte il trail del Monte Bianco, un altro fa i lunghi da trenta chilometri, senza forzare, a un’andatura a cui io riesco a correre un chilometro: non era facile inserirsi – ingenuo gradasso – in una conversazione.
Stavolta sono arrivato presto, mi sono cambiato e sono uscito mentre tutti arrivavano alla spicciolata. Poi mi sono messo fuori a aspettare che il Garmin agganciasse i satelliti e li ho visti uscire uno alla volta e aspettarsi fino a che il gruppo è partito. Erano cinque. Uno di loro, che non avevo mai visto prima, mi ha pure sbirciato, per capire chi fossi: ero lì ma non correvo con loro e neppure mi salutavano uscendo. Un pària.
Il Garmin non ne voleva sapere di prendere questi benedetti satelliti, intanto erano spariti. Ecco, posso partire. Trotterello verso l’uscita del parco e li vedo sfilare fuori dal cancello: allora sono ancora vicini! Non ho idea di quanto possano andare veloci e se io sarei stato in grado di correre con loro quand’anche mi avessero invitato, cosa che non hanno fatto. Comunque, anche solo come diversivo, decido di seguirli. Sono a un centinaiao di metri, girano a sinistra. Quando anche io arrivo all’angolo, sono sempre alla stessa distanza. A un incrocio taglio leggermente e guadagno una decina di metri. A un semaforo loro rallentano per il rosso, io passo con il verde pieno, sono a una trentina di metri. Controllo: non stiamo andando troppo veloci, potrei tenere la loro andatura. Ma devo raggiungerli senza spomparmi. Guadagno metro dopo metro e all’uscita di un parchetto sono in coda. L’ultimo del gruppo, quello che mi aveva sbirciato in partenza, sorpreso dal rumore di passi alle spalle si sposta leggermente di lato per dare spazio, io mi mantengo dietro. Quando la strada si allarga mi affianco ai due più “anziani” e dico, rivolto al vuoto davanti a me con tono sostenuto:
“Chiedo il permesso di aggregarmi a voi”.
“Permesso accordato”, mi risponde il più alto in grado, anche lui senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte.
Da quel momento sono parte della squadriglia, dello stormo, facendo attenzione a non stare davanti ma neppure sempre e solo dietro, che non pensino che non ce la faccia a tenere il passo, meglio in seconda fila e comunque sempre senza intralciare il cammino degli altri, che continuano a chiacchierare e scherzare tra loro. Io, sia pur silente, sto nel gruppo: ci muoviamo sincroni, ci adattiamo alla situazione modificando la formazione, in fila indiana, appena possibile in fila per due, in uno spiazzo ci apriamo a ventaglio: quattro davanti per chiacchierare meglio e due in retroguardia, nel viale che circonda il laghetto siamo compatti tre e tre, per poi tornare in fila da due quando rientriamo in strada, e rapidi in fila indiana se passa un’auto. Mi sento bene perché mi muovo a tempo con gli altri. Mi accorgo che, senza farlo vedere, ognuno di loro mi osserva di sottecchi, quando gli sto accanto o momentaneamente davanti o dietro. Ma nessuno mi detto niente.
All’ultimo chilometro il più alto in grado si rivolge a me. Che è il più alto in grado l’ho pensato da subito, per come è sicuro senza essere uno sbruffone, per come gli altri gli stanno intorno, in formazione: lui è sempre al centro ma spostato in avanti, guida senza però essere necessariamente il primo. Ha una maglietta di cotone dell’Ikea e un paio di pantaloncini non particolarmente tecnici, non ha bisogno di farsi notare con tenute professionali: natural born leader.
Si scusa per la goliardia del gruppo, a Firenze sarete più seri. È una frase di cortesia buttata lì, poteva chiedermi del tempo e sarebbe stato lo stesso. È l’autorizzazione al livello superiore, la parola, dopo l’apprendistato silenzioso del novizio.
Sono entrato nello stormo.

domenica 11 maggio 2014

8.2 I lunghissimi di Gianluca (esaurite le colline tra Lastra e Ginestra!)

Se qualcuno mi pone un problema, non resisto, scatta in me qualcosa che mi trasforma nel “mi chiamo Wolf e risolvo problemi” di tarantiniana memoria.
È bastato che Gianluca dovesse trovare dei percorsi collinari abbastanza impegnativi (ma corribili) che però fossero sufficientemente lunghi per i suoi lunghissimi in preparazione della Pistoia-Abetone. Oltre che per il gusto e l’onore di risolvere un problema, una ottima occasione per fargli vedere i miei luoghi privati di fatica, strade che tante volte ho calcato in solitaria e che apprezzo ogni volta per gli squarci di natura e di paesaggio che riservano.

Il primo passo è stato facile: ho unito il percorso 8 e il percorso 8.1 creando un giro interessante:

Lastra-Roveta-Ginestra

Asfalto / saliscendi (540m dislivello) / 20,5km o 22,5km (giro)

L’incertezza dipende se nell’8.1 si risalga da Carcheri oppure dalla vecchia pisana per quella che ho solo recentemente scoperto essere nota come la salita del “Grillaio”, nel qual caso si allungherà di un paio di chilometri.
Come percorrenza, preferisco partire da Inno e fare prima il giro in Roveta per poi, ripassando da Inno, proseguire fino a Sant’ilario, piuttosto che partire e tornare a Sant’Ilario (che potrebbe essere logisticamente più comodo) in modo da attaccare la salita di Roveta senza aver prima speso energie su via di Valle. Va però detto che partendo da Inno si è costretti a aggiungere un paio tratti per collegarsi al percorso somma di 8 e 8.1 portando il chilometraggio a 26-28km (e un dislivello sui 600m).

Gianlunca ha provato il giro "breve" (che però partendo da Inno era da 26km) e mi è parso di capire che abbia apprezzato, anche se pare che durante i chilometri finali, con le salite di via di Valle e poi di Mazzetta, gli siano  sgorgati genuini e spontanei improperi in direzione del sottoscritto (opportunamente assente). Con affetto s’intende. Spero.


Il secondo è un vero lunghissimo:

Lastra a Signa-Roveta-Ginestra-Inno-Ginestra-Malmantile

Asfalto / saliscendi (825m dislivello) / 35km (giro)


Ovviamente si sfrutta il lavoro appena fatto e si costruisce sul giro summenzionato. 
Il concetto è che, una volta risaliti dalla Ginestra per Carcheri fino a Inno, si ridescenda per la salita del Grillaio fino a Ginestra (usando in discesa la variante del percorso 8.1).
A quel punto, arrivati alla gelateria Genius si gira a destra uscendo dalla Ginestra, si passa sotto la Fi-Pi-Li e dopo cinquecento metri lungo la provinciale verso Montelupo si trova una strada alla nostra destra: è via di Bracciatica. La si prende salendo rapidamente nel bosco. Lungo il crinale si nota sulla destra il ristorante-pizzeria I Fagiolari: piacevole soprattutto nelle seratae estive per le grandi terrazze all’aperto (non è pubblicità: io ci vado almeno una volta a stagione e mi ci sono sempre trovato bene).
Oramai tornati in quota, si raggiunge Malmantile e da lì le Quattro Strade, ricollegando al percorso precedente, verso Inno o verso Sant’Ilario a seconda di dove siamo partiti, tramite Marliano: ormai le strade sono quelle...


Alla fine Gianluca conoscerà tutti i crinali e le valli tra Ginestra e la Lastra...

sabato 3 maggio 2014

PHILIPPINES

Ponte Bailey sotto la Certosa del Galluzzo, un uomo che corre davanti a me. Mi sto avvicinando, io sono in bici. Non ha il fisico del podista, ha un busto largo e le gambe sembrano distanziate tra loro. Mi avvicino ancora e noto che sta correndo con passo spedito e deciso. Dopo il ponte una breve pettata porta al piano della statale, lo sto per raggiungere ma lui aumenta attaccando la salita, lo percepisco nettamente. Intanto l'ho raggiunto e non mi trattengo, ho bisogno di comunicargli che sono con lui, anche se in questo momento sono sotto altre spoglie: “Forza!” gli dico da dietro.
Solo allora, sulla sua maglietta bianca con una manica azzurra e una rossa, leggo alle sue spalle una scritta: PHILIPPINES.
Lui si gira sorpreso e mi sorride. è piuttosto alto e ben piazzato per essere un filippino.
insisto: “Vai forte!?!”
Si sta allenando per la Pistoia-Abetone, mi dice sempre sorridente, l'ha fatta l'anno scorso e vuole migliorare il suo tempo. 
“Complimenti. Continua così, si vede che vai bene!”. 
Lo saluto e proseguo insieme a Matteo verso Firenze.
Tornati alle Cascine, sbattuto le bici in auto, abbiamo fatto un giro per provare per la prima volta cosa significa correre dopo aver pedalato per un'ora, ma non è questo l’aneddoto che vi volevo raccontare. Mentre stiamo per finire i nostri otto chilometri, sento un passo avvicinarsi alle nostre spalle. Ci sorpassa: PHILIPPINES.
“Oh ciao”, gli grido. Lui si gira e ci saluta stupito.
“Ci siamo incontrati poco fa”.
“Ah sì?, - fa lui, - dove?”
“Al Galluzzo” replico, ma dal suo sguardo vuoto capisco che non può riconoscerci: eravamo mascherati con occhiali e caschetto e in più non stavamo correndo.
“Eravamo in bici e ti ho salutato!” 
Gli occhi gli si sono illuminati, ci ha salutato e ha proseguito del suo passo.

Quando ho raccontato questo episodio a Elena mi è uscito: “Una cosa che mi dispiace è non gli ho chiesto il suo nome”.
“E che ti cambia?”
“Niente, però mi avrebbe fatto piacere sapere che ho incrociato George o Pepito, piuttosto che 'uno' con una maglietta con su scritto PHILIPPINES.


PS: Non è stato difficile scoprire il nome di un filippino che ha corso la Pistoia-Abetone dello scorso anno. Riconosco che non mi ha cambiato molto il sapere il suo nome, anzi me lo voglio scordare: ricorderò il suo sorriso aperto e quel fiero PHILIPPINES sulle sue spalle.