Premetto che si
tratta di un libro non ancora uscito in italia. Non è snobismo: è che non
potevo aspettare che uscisse (ammesso che prima o poi esca) in italiano.(*)
Mark Rowlands è
un filosofo che corre, ha corso per tutta la sua vita e per cui correre e
pensare sono inscindibili.
La sua duplice
competenza gli permette di affrontare l’argomento “corsa” in Running with the
pack (letteralmente “correre con il branco”) con la giusta leggerezza e la
dovuta serietà.
Innanzitutto la
lettura è piacevole, si tratta di narrativa e non di un saggio filosofico. Il
libro è costituito da una raccolta di racconti che, tenendo come linea
conduttrice la partecipazione impreparata ad una maratona, ripercorrono vari
momenti della vita del protagonista che intrecciano inestricabilmente la
filosofia, l’amore per i cani e la corsa.
La parte che mi
ha interessato maggiormente e di cui vorrei rendervi partecipi, invitandovi a
approfondire la questione, è la categorizzazione delle
fasi del pensiero durante la corsa individuati da Rowlands:
- Fase
spinoziana
- Fase cartesiana
- Fase humiana
- Fase
sartriana
La fase
spinoziana è la fase iniziale, quella in cui sono acutamente sensibile a ogni
parte del mio corpo, ogni minima dissonanza, ogni percezione anomala in un
polpaccio. Sono un tutt’uno, un amalgama indivisibile di mente e corpo in
azione, come immaginato da Spinoza.
Fase
cartesiana: è il momento del dualismo tra corpo e mente, in cui il corpo è
chiaramente percepito dal mio “io” pensante come cosa altra, distinta. È in
questa fase che “io” cerco, con obbiettivi specifici o ingannandolo con
argomentazioni raffinate, di spingere il corpo a compiere azioni o sforzi per i
quali parrebbe recalcitrare. Il corpo non è più parte integrante di me ma
semplicemente qualcosa che sto usando per arrivare dove voglio andare. Ma è una
fase precaria: il corpo può facilmente ribellarsi e diventare da schiavo a
padrone... in ogni caso si tratta di una fase agitata.
Ad un certo
momento, senza che me ne accorga, correndo, la distinzione tra corpo e mente
viene dimenticata, e pensieri spuntati da chissà dove mi sorprendono e mi ci
abbandono. È la fase humiana. È in questa fase che posso pensare un racconto
che poi trasferirò su carta non appena sarò rientrato a casa (certe volte ho preso
appunti anche prima di fare la doccia per timore di dimenticarmi i dettagli,
come quando al risveglio si potrebbe scordare il sogno fino a quel momento chiarissimo). Il filosofo
scozzese David Hume afferma che ogniqualvolta cerca di addentrarsi in se stesso
si imbatte in pensieri, sensazioni, emozioni, o in quello che l’autore definisce
“stati mentali”. L’ego che comanda si dissolve, non c’è più una mente pensante
ma vengo disperso in pensieri che arrivano da non so dove e spariscono
altrettanto facilmente chissà dove. Quelli che l’autore chiama “pensieri
danzanti”.
La corsa lunga
può essere vista quindi come lo svolgersi di un processo in cui il me stesso
prima incarnato in un unicum si
trasforma progressivamente in una contrapposizione duale cartesiana per poi
trasfondersi in pensieri danzanti.
Ma una corsa
non si sviluppa necessariamente nelle varie fasi in questo ordine, talvolta non
tutte le diverse fasi si manifestano oppure lo fanno in ordine diverso.
Ma quando ciò
avviene, questo è il nocciolo della questione per l’autore, io mi sto
addentrando sempre più profondamente nel “cuore pulsante della corsa” e il mio
me stesso evapora.
E quando
l’autore pensa che questa dissoluzione del se stesso nelle varie fasi abbia
raggiunto il culmine ecco che si rende conto di essersi sbagliato che c’è un’ulteriore
fase che va oltre. Nella fase humiana sebbene io non distingua più un essere
pensante da uno non pensante, sono comunque tentato dal riconoscermi nei
pensieri, nelle sensazioni. Io sono qualcosa.
Ecco la fase
ulteriore, la fase Sartriana. Secondo il filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre
la consapevolezza è consapevolezza di qualcosa, non ha contenuto in se stessa.
E questo qualcosa, non necessariamente qualcosa di fisico, è comunque frutto di
interpretazione umana. In ogni caso è qualcosa fuori da me stesso.
In quest’ultima
fase, l’autore si rende conto che questi pensieri, queste sensazioni riguardano
“cose” al di fuori di sé e che comunque non hanno alcun potere su di sé: non ci
sono ragioni che possano fermarlo. Qui l’autore si addentra in una distinzione
piuttosto complicata tra ragioni e cause (come per esempio la rottura di un
tendine, che invece possono fermare la sua corsa).
Ho volutamente
descritto quest’ultima fase evitando la prima persona e il “me stesso” perché
ammetto che, mentre riconosco di aver esperito le prime tre fasi descritte,
quest’ultima mi resta incompresa.
Mi sono
soffermato in passato sull’evoluzione o comunque sul modificarsi del mio pormi
nei confronti di me stesso durante il prolungarsi della corsa (come per esempio
l’utilizzo a fini narrativi dei pensieri occorsi in corsa in Correre è una cosastupida),
avevo addirittura proposto (in Cosa penso quando corro la maratona e in Verso la maratona - Pillola 5: L’atteggiamento mentale in gara)
una strategia mentale per le varie fasi della maratona, suddividendola proprio
in accordo a quello che il mio me stesso sarebbe stato portato a fare: una
prima fase di iperconsapevolezza che potrei assimilare a quella “spinoziana”;
una seconda fase di conduzione del mezzo fisico, squisitamente “cartesiana”;
una fase in cui sento il bisogno di fare particolarmente attenzione al
controllo, proprio perché tale controllo verrebbe naturalmente meno, in
corrispondenza di una fase di pensieri danzanti, proficuamente utilizzabili in
allenamento ma da gestire in modo opportuno durante una gara; per poi arrivare
alla fase finale in cui tutto viene meno e non resta che resistere. Mi ha sorpreso
la sia pur rozza somiglianza della esperienze di individui fisicamente e
culturalmente così distinti: l’unico tratto comune resta la corsa. Ed questo
che avvalora le tesi proposte dall’autore.
Menzione a
parte merita la riflessione sul valore della corsa in sé, che è appunto il tema
centrale del libro: la corsa, in quanto “gioco” e non “lavoro”, non è un tramite per raggiungere un altro
valore. Ne discende – è la tesi dell’autore – che sia un valore in sé.
Come solo chi
corre può capire.
Ma non vale la
pena insistere su questo punto che sconfina in ciò che uno crede, quasi come si
trattasse di una convinzione religiosa: in generale cerco di evitare di
discutere con un amico di religione e di politica: è impossibile convincere
l’altro, si rischia solo di offuscare un’amicizia. E io considero a suo modo
amico colui o colei che sta leggendo queste parole.
Oltretutto non
sento la necessità o l’importanza di sapere che la corsa è un valore in sé:
tanto mi piace correre lo stesso!...
Conclusione: un
libro da leggere, che inspira amore per la corsa e per gli animali oltre che
far venire voglia di pensare. Correndo, ovviamente.
Mark Rowlands
Running with
the pack (thoughts from the road on meaning & mortality)
Granta Books,
UK
2013
(*) Buone nuove: giorni fa un collega e amico che ho incrociato alle cascine mi ha chiesto se ero io a avergli parlato di "Correre con il branco"... l'aveva visto in libreria...
(*) Buone nuove: giorni fa un collega e amico che ho incrociato alle cascine mi ha chiesto se ero io a avergli parlato di "Correre con il branco"... l'aveva visto in libreria...
Effettivamente è uscito in italia il 23 settembre 2014: finalmente!
Mark Rowlands
Correre con il branco
Mondadori, Strade Blu Saggi
2014
Correre con il branco
Mondadori, Strade Blu Saggi
2014
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