Dopo
È finita. Tutto è ovattato, come quando la febbre è passata ma ancora non stai bene. Mi muovo lentamente, mi aggiro per casa disorientato. Elena mi prepara una pasta, non so neppure io cosa mi va di mangiare e se mi va di mangiare. Nel dubbio, decido di mangiare, anche se sono già le tre e mezzo quando mi siedo debolmente in cucina. Mi sembra di essere un paziente sotto osservazione, per fortuna Elena è affettuosa e evita asserzioni, usuali durante la preparazione, del tipo “il male voluto non è mai troppo” perché adesso soccomberei. Ho bisogno di cura e non che mi si ricordi che se sono fava e mi vado a autodistruggere è colpa mia.
Mangio meccanicamente, non riesco a gustarmi i maccheroni integrali (ben cento grammi!) con un ricco sugo di pomodoro che mi vengono serviti amorevolmente.
Poi alzo e mi indirizzo, sempre lentamente verso il letto. Sono troppo stanco per dormire e soprattutto non so dove mettere le gambe: in qualunque posizione sono a rischio crampo, c’è poco da fare: per ogni muscolo che stendo ce n’è senz’altro uno che invece si contrae... una posizione che trovo rilassante è su un fianco con le gambe né stese né piegate, una via di mezzo che non mi mette troppo a rischio ma non soddisfa davvero nessun muscolo, desideroso di stendersi totalmente.
Un riposino faticoso, come quando si dorme con la febbre.
Quando mi alzerò, sempre con grande cautela anche nel ruotare le gambe da sdraiate a verticali, quasi che le ginocchia possano piegarsi di lato e non nel verso giusto, sarò ancora stanco ma un po’ meno.
Quando mi alzerò domani mattina sarò stronco ma ancora un po’ meno. In ufficio camminerò più lentamente del solito, con particolare attenzione ai cambi di direzione e, ahi ahi, ai gradini, sia in su che in giù. Però via via che passa il tempo, mi accorgerò che cammino con minor difficoltà fino a che, magari martedì, realizzerò che non ci sto più facendo attenzione e sto camminando normalmente. Ma sarò contento di ubbidire al comandamento di Fulvio di aspettare almeno una settimana prima di calzare di nuovo le scarpe da corsa.
Di tanto in tanto, mentre sono da solo, penserò con piacere e orgoglio all’impresa, mi commuoverò anche un po’ a ripercorrere quegli ultimi chilometri, però potrò, senza mancanza, aspettare ancora qualche giorno senza correre.
La morale, dunque. È molto semplice: l’importante è arrivare sano. Tutto il resto viene dopo.
Dopo si ricorderà solo di avercela fatta, o magari di aver fatto un buon tempo rispetto all’anno precedente, di essersi migliorato. Ma è un sovrappiù. Per poter festeggiare bisogna esserci. E essere sani. Ce l’ho fatta. Ci ho messo ventidue minuti meno dell’anno scorso ma soprattutto ho sofferto meno e sono arrivato più integro.
La lista del giorno prima! La devo aggiornare: la prossima volta sarà bene che consideri anche i guanti, poi magari decido di non prenderli ma deve essere una scelta. Allora ricordiamoci di modificare il file, sennò poi alla fine me li scordo: i guanti!
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