Alla fine Elena è sbottata: “Non se ne può più di foto di gente che corre, di filmini di gente che corre, quando finirà questa rievocazione?”
Ha proprio usato questo termine, rievocazione, che ho apprezzato perché rende la sacralità che io tributo all’evento.
“Io non ho vissuto questa esperienza percui non mi dice niente, se non che vedo te che corri, come ti vedo in tante altre occasioni.”
E qui ho capito due cose fondamentali, legate all’esperienza e la visione.
Innanzitutto ha senso, o almeno ha più senso, celebrare un evento con chi lo ha, almeno in una certa misura, condiviso con te.
Mancando a questa condizione, ossia l’esperienza comune, io pensavo comunque di far cosa gradita a mia moglie nel mostrarle immagini di me, amato maritino, in un determinato contesto che mi rendeva particolarmente fiero di me medesimo. Evidentemente mi sbagliavo.
Però qui si verifica la seconda "comprensione": quello che per me è eccezionale, ossia vedere immagini di me che corro, per lei - e per gli altri in generale - è cosa molto più normale. Innanzitutto perché mi vede in continuazione, cosa che invece non vale per me stesso, tranne che nei momenti in cui mi trovo davanti a uno specchio, e poi mi vede anche correre, almeno partire e tornare, abbastanza spesso.
E qui per me invece è l’aspetto più estraneo: io non mi vedo mai correre, e mentre è usuale farsi foto mentre si cammina in montagna o mentre si festeggia un compleanno assai più difficile che ci sia qualcuno che mi fotografa mentre corro.
Per questo nella partecipazione a una gara, oltre alla soddisfazione del prendere parte, del gesto atletico, c’è anche una ricompensa particolarmente apprezzata: qualche foto che mi immortala in un momento in cui i miei cari non mi stanno vedendo e soprattutto io non mi sarei mai visto.
È la prospettiva che è completamente diversa, la situazione della corsa è puramente intima, vissuta solo con me e con chi sta correndo in quel momento con me, ammesso che ci sia qualcuno, ma soprattutto i miei ricordi sono le sensazioni che provavo in quella situazione associati con le immagini che i miei occhi inquadravano nel momento in cui provavo tali emozioni. Una specie di colonna “visiva” delle mie emozioni o viceversa le mie emozioni sono la colonna emotiva delle immagini che scorrevano davanti a me.
In tutto ciò però manca la mia immagine. È per questo che mi colpisce, mi incuriosisce e talvolta mi commuove vedere un me stesso che corre, che fatica, che sorride, meglio ancora se non si accorge di essere fotografato: allora corro al ricordo di quel momento vissuto dalla parte giusta, cioè da dentro e rivedo cosa vedevo e sentivo, cosa vivevo io in quell’istante cristallizzato dalla foto che trattiene il me stesso in quell’istante.
Non c’è da meravigliarsi che allora mi venga spontaneo correre da Elena con la foto e condividere con lei il mio stupore, la mia commozione.
Non c’è da meravigliarsi che allora a lei quella foto non desti che un sorriso di simpatia per l’amato maritino fissato con la corsa, il suo eterno bambino che gioca in pantaloncini corti.
Va bene, ho capito un paio di cose, e ora torno a gustarmi quelle immagini sacre e mi perdo nel rievocare quei momenti tutti miei.
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