Ne ho parlato poco e
scritto niente. Ci sarà stato un motivo. Per elaborare definitivamente il lutto
niente di meglio che un breve ricordo, non un epitaffio, sono ancora vivo, ma pochi
ricordi visuali e sonori di una maratona sofferta (quando mai il contrario?,
però c’è sofferenza soddisfatta – almeno dopo - ma non è questo il caso).
Comunque sia l’evento da
elaborare è la Maratona di Milano, corsa a inizio aprile.
Nota positiva: ho
completato una maratona dopo l’infortunio che lo scorso autunno mi ha impedito
di correre quella di Firenze nella sua interezza.
Nota negativa: oltre alla
sofferenza, una prestazione che mi ha fatto tornare indietro di quattro anni. E
qui la finisco con le lamentele.
Vorrei trattenere qui solo
ricordi.
Il viadotto pedonale che
attraversa il quartiere fieristico a Rho, all’alba, invaso da una truppa dalle
divise multiformi che attraversa dubbiosa una città del futuro abbandonata,
tranne una navicella spaziale attraccata a una banchina a cui io, Ema e Andrea
prendiamo un caffè.
Il sole che, spuntato dalla
foschia già prima di partire, scalda la pelle: sarà una giornata bellissima.
Maledizione.
Solo tra centinaia di
persone, vago nella campagna, frazione dopo frazione dai nomi letti solo sulla
cartina, finché un cartello mi dice Milano: cerco di imprimermi i dettagli, di
capire dove sto passando ma mancano le didascalie.
Porta Venezia: Elena e
Elisa che mi incoraggiano. Elisa mi dice: “Se sei stanco rallenta!” E io: “Ho
già rallentato!”
Mi rendo conto che finirò con un tempo molto peggiore
di quanto ipotizzato nel peggiore degli scenari, sono cosciente che mi aspettano
15km di sofferenza, che non ce la faccio più già adesso come posso correre per
altri 15km?
“Ce l'avete
l'energia, non lo sapete ma c'è l'avete
dentro di voi!”
È una volontaria che ci
sta gridando a un incrocio.
“Che cazz dice”, mi
ribello.
“Però forse, se lo dice”,
Non lo sapete, le parole rimbalzano molli nella mia testa
stanca, dentro di voi, attutite.
“E se ce l'avessi davvero
quell'energia?”. intanto manca un km di meno.
Piazza del Duomo, il sole.
Barbara che mi chiama dalle transenne. La foto di me che mi giro sorridente con
il duomo illuminato alle mie spalle: quello sarà un mio ricordo di me quando la sofferenza e l'insoddisfazione saranno dimenticate.
Voglio arrivare in fondo. Non
guardo più il garmin da chilometri ormai, almneo da Porta Venezia, e non lo guarderò
più altrimenti mi fermo. No, ecco fermarmi no, il ricordo di Roma è un monito che non posso ignorare.
Pietre rossastre da
centrare con attenzione, verghe dei tram da scansare, le caviglie da conservare
con cura. Conto le centinaia di metri al ristoro, adesso cammino per bere e mangiare pezzi di banana, l’idea di un gel dolcissimo
mi disgusta. Riparto e purtroppo mancano cinque chilometri al prossimo.
Viale dritto, alla mia destra, vicino al tronco di un albero due gambe
sorrette da qualcuno mentre un altro runner schiaffeggia una persona a terra, “Signora!
Mi sente?”. Se mi fermassi, penso cercando di nascondere il senso di colpa, non
avrei la forza di aiutare nessuno. Intanto le gambe senza alcuna sensibilità mi
hanno portato avanti e la scena è uscita dalla mia visuale.
“Se mi dai una mano a alzarmi ti cedo il posto sulla panca.”
“Affare fatto!” e una mano tesa: solo così riesco a rialzarmi e uscire dal
tendone soffocante adibito a spogliatoio. Ho dovuto rinunciare a cambiarmi,
giusto la maglietta: appena provavo togliermi un calzino i crampi mi
assalivano.
Qualcuno riferisce che andando verso la metro io abbia detto che non avrei
più corso maratone. Non ricordo.