Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

giovedì 10 gennaio 2013

Passi dietro di me nell'oscurità (Clòppete-clòppete)


Nebbia e oscurità davanti a me. Sono le sette di una fredda e inusualmente nebbiosa mattina di gennaio.
Figure si materializzano davanti a me per poi scomparire alle mie spalle.
Sento un passo pesante, clòppete-clòppete, che si avvicina da dietro. Non mi giro neppure, sto andando libero senza guardare il cronometro e sento che posso aumentare senza fatica.
Clòppete-clòppete. Il passo è vicino, deve essere a pochi metri, resisto anzi forse aumento ancora un po’, fendendo la nebbia e la penombra.
Clòppete... clòppete... Lo sto distanziando, fmhm!...lo sapevo: avrà pensato di fare “le gare” con me, ma oggi mi sento superiore e per niente solidale: potevo lasciare che mi affiancasse e usufruire della sua compagnia, due chiacchiere tra sconosciuti nell’oscurità. Non ne ho bisogno, oggi sono autosufficiente e soprattutto sto bene con me stesso.
I rari lampioni si spengono e paradossalmente la visibilità aumenta, con lo scomparire dei coni nebbiosi che nascondevano più che illuminare. Il chiarore del giorno mi fa sentire più sereno, siamo all’Indiano, mantengo il passo in curva ma, clòppete-clòppete, i passi sono di nuovo pochi metri dietro di me, non mi giro ma intravedo una figura nera. Resisto. Poco prima dell’ippodromo il mio scalpiccio sulla terra sparsa sull’asfalto dal passaggio dei camion e subito dopo clòppete-clòppete scalpicciato. È più vicino, mi sto stancando e lui è lì. Clòppete-clòppete. Torno verso il fiume e qui ci separiamo: io torno verso l’Indiano per un secondo giro, lui se ne tornerà verso la passarella. Appena presa la dirittura verso la nebbia che cela il ponte all’Indiano mi rendo conto con sgomento che, clòppete-clòppete, lui è ancora a pochi metri da me: mi sta seguendo, ha girato anche lui dietro di me per un secondo giro: non ci posso credere. 
Mantengo il passo ma sono sempre più stanco. Clòppete-clòppete. Non guardo il Garmin per impegno con me stesso ma a occhio devo aver percorso già circa 5km. Tanto peggio: non voglio farmi raggiungere. Forzo anche al secondo passaggio all’indiano: mi piace sentire che non rallento in curva, ma lui è lì, clòppete-clòppete, saranno due o tre metri, non di più. Insisto in salita. So che è una salita, anche se leggerissima, probabilmente meno di un grado, e poi alla curva in vista dell’ippodromo diventerà discesa, anche lì un grado o poco più, ma dopo averla corsa anni fa verso il trentesimo chilometro di maratona riesco a percepire nettamente quella pendenza ancorché minima.
In discesa scarto di lato per riposare la caviglia sinistra sempre sensibile al dorso d’asino delle strade e lui, clòppete-clòppete, quasi mi affianca. Lo guardo appena, voltando di poco la testa a destra: ha degli occhiali da corsa con la montatura nera piuttosto spessa che spuntano da sotto il cappellino, non dico niente e aumento, riprendendo la testa mentre torniamo verso il fiume. Ma sono stanco. Clòppete-clòppete. Si riaffianca di nuovo e mi chiede come va. 
Costretto alla resa,  ammetto di essere stanco, quasi giustificandomi. 
Gli chiedo quanto fa. 
“Venti chilometri”.
“Ah, - faccio io con rispetto - io solo una decina, senza guardare il tempo”, come a sottointendere che sennò chissà come sarei potuto andare veloce!
“Avevo visto che tenevi un buon passo, - fa lui, - e mi sono accodato.
“Eh sì, - ammetto inorgoglito e allo stesso tempo scoraggiato dal fatto che lui a quel passo faccia tranquillamente venti chilometri, - ma io di solito vado più piano.” Non voglio sottointendere niente: tanto lo capisce benissimo.
Giro a sinistra, stavolta: direzione Firenze. Sono stanco ma con lui accanto non posso che  mantenere il passo.
Alla passarella gli annuncio -a mo' di saluto - che devo rientrare: "Ti accompagno" mi risponde con cortesia.
Sono preso in contropiede e infastidito: già mi pregustavo di rallentare e prendere fiato ma con lui accanto sono costretto a tenere il ritmo.
A questo punto ne approfitto per fare un po’ di conversazione. Scopro che è italiano ma vive in Spagna, infatti ha un forte accento ispanico, è a Firenze per Pitti. Due parole su di me, ma il fiato è limitato e non voglio ammettere di avere il fiatone, quindi taccio allungando.
A poco centinaia di metri da casa lo informo che sono quasi arrivato e lui mi saluta tornando verso le Cascine.
Finalmente. Guardo il Garmin: ho fatto più di dieci chilometri in un buon tempo e tenuto conto che i primi due chilometri prima di sentirmi inseguito li avevo fatti piuttosto rilassati, vuol dire che gli altri otto li ho corsi a un ritmo ben superiore al solito. Soddisfatto, non solo rallento ma mi fermo, proseguendo a piedi fino a casa.

La morale? diffidare degli sconosciuti! E soprattutto umiltà e dubitare sempre, in particolare alle Cascine: se passi uno che va nettamente più piano di te, non necessariamente sei tu a andare veloce, potrebbe essere lui che sta recuperando dopo una ripetuta o semplicemente si sta riscaldando con cura. Umiltà e guardare solo noi stessi.
Niente di nuovo, ma ripeterselo non fa mai male.
Comunque quando eravamo verso casa, e ormai era giorno pieno, l’ho osservato mentre mi stava a fianco: correva! Voglio dire: si vedeva che stava andando a una bella andatura, non stava corricchiando. E siccome andavamo affiancati... Beh, insomma, son soddisfazioni!

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