Perché

A me piace leggere, scrivere e correre. Ultimamente riesco a scrivere solo racconti o considerazioni legate alla corsa. E cerco di scovare racconti o romanzi legati in qualche modo alla corsa. E, appena posso, corro. Speriamo non sia grave.

sabato 25 febbraio 2012

Divagazione sulla memoria e sul raccontare (non solo di corsa)


Un collega con il quale ho pranzato qualche giorno fa, dopo che ci eravamo conosciuti casualmente nello spogliatoio dopo la corsa, parlando dei miei racconti, si stupiva per la quantità dei dettagli che riesco a riportare nei miei resoconti di corsa, e citava per esempio qualche particolare non propriamente ortodosso che io ho confessato di aver osservato durante la maratona (durante i primi chilometri, La maratona di Firenze - 6), e mi chiedeva come facessi a ricordarli con tale precisione. Usavo un registratore? Li scrivevo subito dopo?
Effettivamente è una cosa che stupisce anche me (davvero, non è falsa modestia) tenendo conto che, restando all’esempio molto calzante della maratona di Firenze del 2010, mi sono messo a scrivere vari mesi dopo l’evento. Comunque mi rendo conto che di solito per scrivere di qualcosa, soprattutto se impegnativo, ho bisogno di averci messo del tempo in mezzo, sia per trovare il piacere di ripensarci, sia per avere quella distanza necessaria per stupirmi come un osservatore esterno.
Certo per rivivere quelle quattro ore e quei quarantadue chilomentri mi sono anche aiutato: ripercorrendo il percorso sulla cartina, rivedendo le foto e soprattutto spezzando in piccoli tratti, non per niente ho diviso il racconto in capitoli da cinque chilometri. Dopodiché mi sono messo con calma e ho rivissuto e rivisto quello che mi era successo dall’inizio, chilometro per chilometro, ho rivisualizzato, in senso letterale, quello avevo vissuto forzandomi a riviverlo,  e “sbobinandolo” subito dopo, pezzo per pezzo, senza stare a guardare troppo la forma, perché l’importante era riscavare, raccogliere e depositare in salvo da qualche parte ogni minimo ricordo. Poi, una volta riesumato un ricordo, lo si può descrivere meglio, si può raffinare la scrittura, ma lo sforzo di ricordare è stato fatto e non ci si perderà più energia. Sì, perché questa attività di rivisitazione è faticosa, certo meno faticosa dell’atto stesso di correre quei quarantadue chilometri, ma comunque non è un dono che piove dal cielo: mi rendo conto che è un approccio che ho sempre avuto nel raccontare, e che, una volta messo in moto questo ri-vivere, poi devo solo tener dietro e “sbobinare” spippolando come un forsennato sulla tastiera. Certo riconosco che anche questo ri-vivere, come anche la scrittura medesima, è aiutato dall’esercizio e dall’abitudine.
A fine pranzo, mi sono reso conto che, intrigato dalla questione, mi ero buttato in queste elucubrazioni con una certa passione. Spero di non aver annoiato troppo il collega, la prossima volta ci penserà due volte prima di farmi una domanda.  

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