Presa diretta, respiro ansimante, immagine traballante, anzi leggermente ma
periodicamente saltellante. La camera inquadra Viale delle cascine che si
avvicina lentamente a noi.
Voce fuori campo, quasi un urlo, in lontananza sulla sinistra:
- Quanti?
La camera ruota rapidamente di novanta gradi a inquadrare due tizi, uno con
una maglia arancione, che si stanno cambiando vicino a un’auto nel piazzale del
Re.
Il protagonista prende fiato e risponde, urlando:
- Trentatré!
- Roma?
- Sì!
- Forza!
A uno spettatore ignaro parrà uno scambio in codice tra iniziati,
probabilmente il fuggitivo grazie alla corretta parola in codice ha trovato
accoglienza amica, e viene lasciato passare indenne. Se avesse detto “ventotto”
oppure “no” dopo “Roma” sarebbe stato falciato da una smitragliata e l’ultima
inquadratura sarebbe stato il viale delle cascine, stavolta immobile, visto da
terra, ruotato di novanta gradi, radente asfalto. Buio.
Ecco a parte la drammatizzazione cinematografica forse eccessiva, lo
ammetto, e il what-if dell’ipotetico ignaro spettatore, questa scena si è
svolta esattamente in questo modo.
Se non ci fossero stati quei due tizi, ovviamente due runner come me, che
avevano riconosciuto in me (forse dall’andatura incerta e trascinata?) un loro
pari che stava concludendo di volontà un lunghissimo, forse ce l’avrei fatta lo
stesso, però mi hanno alleviato l’ultimo chilometro e mezzo (avevo allargato:
non ero ancora a trentatre chilometri...) trasmettendomi una carica
inaspettata: ogni centinaio di metri mi chiedevo a voce alta: Quanti? E poi mi
rispondevo: Forza! E mi veniva un sorriso sul viso che contrastava con la
maschera di fatica che sicuramente vi albergava. Chi mi ha sentito (ammesso che
non fosse un’altro della nostra stessa specie) avrà pensato che ero matto:
parlavo da solo ripetendomi parole sconnesse: “quanti?... Forza!”. D’altra
parte quella domanda mi tornava in mente come un mantra e l’idea che avessero
voluto trasmettermi, con la loro solidarietà (non richiesta), quella piccola spinta
di cui avevo bisogno, mi commuoveva (la fatica gioca brutti scherzi, direte
voi...). Che non fossi uno che stava finendo un giretto da pochi chilometri era
evidente per loro perché sicuramente anche loro erano appena passati nella mia
stessa condizione, ma erano in due e io in quel momento ero solo, questa sarà
stata la molla che ha fatto gridare uno dei due, invece di starsene zitto e
godersi il meritato riposo.
Purtroppo erano lontani e io non ero in condizioni di fare deviazioni, né
questo era il loro intento né la loro aspettativa, ma mi dispiace non poterli
riconoscere (da lontato ho distinto solo la maglia arancione di uno dei due,
niente più) e mi sarebbe piaciuto e mi piacerebbe ringraziarli.
Lo faccio qui: un grazie al runner ignoto che saluta il suo simile e
addirittura lo incoraggia se necessario.
La morale? Due.
L’allenamento è una conditio sine qua non, non si discute, ma poi una buona
parte della corsa (non saprei quantificare) è nella nostra testa. Quindi curiamola nello stesso modo.
E se assistete a una gara non lesinate un applauso e non vi sentite idioti
a gridare dei perfetti sconosciuti: bravi, forza, manca poco! sappiate che li
avete aiutati, anche a voi non sarà sembrato gran cosa.
Tu lo dici. E' proprio così.
RispondiEliminaMi chiedevo quanta parte di allenamento sta nella testa e quanta nelle gambe....credo che me lo chiedero' ancora!!!!
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