Veniamo
ora allo splendido giro. Peraltro mentre lo stavo correndo mi sono reso conto che è sostanzialmente
il percorso della Firenze-Fiesole-Firenze che si corre solitamente la prima
domenica di dicembre. Solo che facendo la gara avevo visto un decimo di quello
che ho ammirato stamani.
Iniziamo
la descrizione da piazza Edison. All’inizio
la pendenza è dolce, largo tornante alberato e siamo a Camerata, la strada si
spiana ed ecco San Domenico. Fin qui tutto bene.
Dopo
la chiesa la salita si fa più seria, inoltre non c’è marciapiede, da nessun
lato pertanto bisogna fare attenzione. Il mio prossimo punto di riferimento è
il tornante al bivio con via Benedetto da Maiano con la vecchia pubblicità “PENSIONE
BENCISTÀ aperitivi, terrazza”.
La
variante masochista (già descritta in Firenze – Fiesole (leccandosi anche ledita)) prevedeva fare un tratto di viale Righi e salire poi per via del
Salviatino, spuntando appunto qui. La distanza percorsa da piazza Edison
sarebbe stata la stessa ma la salita sarebbe stata più corta di circa un
chilometro. Dipende se vi sentite più o meno eroici.
Dal
tornante la salita prosegue insistente fino alla pettatina in curva per
spuntare su piazza Mino da Fiesole. Si ti tira di lungo (invece di soffermarci
a curiosare nell’immancabile mercatino che stanno finendo di allestire). La
salita non è finita. Fino al bivio per Vincigliata il percorso è lo stesso già
descritto.
Riprendiamo
da qui. Si prende a destra via di Vincigliata, seguendo le indicazioni per
Vincigliata / Montebeni. Qui si tocca il punto più alto del giro: 400m slm. Si
prosegue con un saliscendi fino a Villa Peyron, Villa Bosco di Fontelucente,
per la precisione, con lo splendido giardino e il laghetto. Questo è un altro gioiello da non perdere ma conviene
informarsi prima di andarci non è ovvio trovarla aperta.
Passando
e mirando il panorama che si gode dalla villa ho avuto una illuminazione i
Peyron (padre e figlio) che avevano individuato quella locazione per erigere la
loro dimora oltre che amanti di Firenze, molto ricchi, cripto-massoni, erano
anche in contatto con gli alieni: da lì si vede di filata una linea verde che
taglia la città fino a incrociare perpendicolarmente l’altra linea verde che è
l’Arno. Si tratta del torrente Affrico, oggi coperto, costeggiato di alberi e
che separa nettamente un magma bianco e rosso. Elena poi mi ha fatto notare che
non taglia la città, perché è piuttosto periferica (effettivamente è fuori dai
viali). Certo ho prontamente ribatutto, ma divide la città che si vede da lassù.
Ovviamente ho avuto una visione astorica oltre che cretina: quando il Peyron
padre ha acquistato il luogo l’Affrico divideva ben poco, lì era quasi tutto
campagna...
La strada
è facile, solo un’attenzione: al bivio Montebeni/Settignano a sinistra e
Vincigliata a destra, tenere la destra.
Improvvisamente
sembra di essere in un pieno medioevo con il tipico castello con le mura
merlate e il camminatoio, i posti di guardia protetti, il mastio, la torre. Si
gira per tre quarti intorno al castello di Vincigliata, ovviamente immaginifica
ricostruzione di fine ottocento.
Si torna nella realtà urbana (o quasi) a Ponte a Mensola. Anche qui un gioiello, della cucina tradizionale fiorentina: Trattoria da Osvaldo. Quando mi capita di tornarci sono felice.
Si
segue via D’Annunzio e siamo di nuovo all’Affrico e a Campo di Marte: da qui
ognuno può tornare al suo punto di partenza. Il giro tornando per viale Righi a
piazza Edison conta circa 15km.
Prima di concludere: nel titolo ho menzionato una paura.
Da venerdì,
dopo aver realizzato che sarei stato da solo, ho cominciato a percepire un
fastidio, un’incertezza, una sorta di paura.
Di
che? Di non farcela. Di non farcela? Non era certo una maratona, e non andavo
nel deserto. Di farmi male in discesa dove passano poche persone soprattutto la
domenica alle otto? No, soprattutto di non farcela e di dovermi fermare e
proseguire a piedi.
C'è un precedente. È
successo, due anni fa, proprio con i primi caldi, era un sabato pomeriggio,
aspettai fino alle 6 di pomeriggio e poi partii in direzione dei Renai con
l’idea di fare 24km. Poi arrotondato conservativamente a 20, finché al ponte
dell’autostrada sono tornato indietro accontentandomi di almeno 14km. Alla stazione
delle Piagge dopo appena 8km mi fermo stupito. Era come se il motore si fosse
spento inspiegabilmente e non ne volesse sapere di ripartire. Sconsolato e
indispettito di ritrovarmi a piedi a circa 6km da casa, telefono a Elena sperando
che si offra di venirmi a prendere. Invece mi consiglia di chiamare un taxi.
Cosa che faccio senza risultato: nessuna delle due cooperative cittadine ha una
vettura disponibile. Richiamo Elena che stavolta mi suggerisce di arrivare a
una via vicina dove avrei potuto prendere un comodo autobus che mi avrebbe
portato fino a casa. Mesto per la defaillance e nudo come un bruco (vabbè in
pantaloncini e maglietta, sudato, ma vi assicuro che salire su un autobus che
porta gli adolescenti in centro un sabato prima di cena non è granché come
situazione). E in più non avevo il biglietto, ovviamente (tutto chiuso nei
paraggi e non si poteva comprare a bordo allora). Me ne sto guardingo a ogni
fermata, pronto a scendere: ci manca pure di essere intercettato dal
controllore per completare la serata. A due fermate dalla mia, le porte si chiudono
e ben due controllori spuntati dal nulla cominciano i controlli. Io sono già davanti alla porta (chiusa), due semafori verdi ed ecco la fermata: scendo in scioltezza e
proseguo a piede per le ultime centinaia di metri felice di essere di nuovo a
terra. Mi ci vollero mesi per riprendermi da quella umiliazione, non tanto dell’autobus,
quanto dell’essermi fermato dopo neppure dieci chilometri per un motivo
imprecisato: il primo caldo, come dicono gli anziani, mi parve la spiegazione
migliore: non sopporto il caldo e effettivamente era stato inaspettatamente
caldo e anche alle sei, sette di pomeriggio il sole era fastidioso e l’aria
afosa.
Poi c’è stata la crisi alla maratona di Roma quest’anno...
Con questa sensazione sono uscito stamani, fiero anche di affrontare questa sfida intima. E il momento critico non è stato la salita ma i chilometri (in pianura) finali: ero stanco (della salita e della discesa), ho rallentato ma ce l’ho fatta. Ma perché non avrei dovuta farcela, mi chiedo. Boh. La paura era lì.
Poi c’è stata la crisi alla maratona di Roma quest’anno...
Con questa sensazione sono uscito stamani, fiero anche di affrontare questa sfida intima. E il momento critico non è stato la salita ma i chilometri (in pianura) finali: ero stanco (della salita e della discesa), ho rallentato ma ce l’ho fatta. Ma perché non avrei dovuta farcela, mi chiedo. Boh. La paura era lì.
PS:
Due parole più eque sui due nipoti: l’”acquisito” mi ha affiancato, supportandomi
e sopportandomi, in ben tre preparazioni per la maratona, il “naturale” si è
appena affacciato al mondo della corsa e a occhio è promettente: non si meritavano
la vendetta ma è stato più forte di me...
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