20km
Dopo il ristoro lo perdo di vista, come al solito non mi sono fermato ma ho solo rallentato cercando di evitare collisioni, ho preso due bicchieri con i sali e, come al solito, ho bevuto quello che mi è riuscito.
Sento una sirena che si avvicina da dietro. Giro la testa e intravedo il lampeggio di un’ambulanza che procede lenta evitando i gruppetti di corridori. Mi sposto sul marciapiede lungo l’Arno, ormai è al mio fianco lentissima, il suono mi perfora l’orecchio destro, in questo momento non ho alcuna pietà per chi possa esserci dentro ma voglio che se ne vada al più presto e smetta di torturarmi.
Scendendo dal ponte San Niccolò vedo con sorpresa la banda dei bersaglieri che suona una marcia militare sotto un gazebo sull’angolo con il lungarno del Tempio. Lungo la dirittura vedo l’arco gonfio di aria compressa che segna la mezza maratona. Un’ora e cinquantasette minuti, sono in anticipo di tre minuti sulla tabella di marcia.
Lungarno Colombo, casa. Ho vissuto qui per trentacinque anni, per una quindicina ho corso abitualmente all’Albereta o comunque lungo l’Arno. Comunque negli ultimi anni vengo spesso per variare un po’ il paesaggio, perché da queste parti la valle si restringe, le colline sono molto vicine al fiume e il paesaggio è molto vario, invece a valle delle Cascine c’è una pista ciclabile molto più lunga che da questo lato, ma è molto più monotona, non si vede niente al di là della duna che separa la pista dalla piana, si può vedere il fiume con la sua fauna ma alla fine ci si annoia. Qua invece si può ammirare un panorama punteggiato di ville annidate su colline verdi, osservando si scoprono dettagli che non si conoscevano.
Dopo il ponte da Verrazzano siamo verso il ventitreesimo chilometro. Adesso sto andando a 5.41, è l’andatura che avrei dovuto tenere fin dall’inizio. Adesso ci sono, ma “salendo”, e quindi vuol dire che sto inesorabilmente rallentando anche se di poco e sono arrivato a una velocità accettabile, anzi quella desiderata. Il difficile sarà mantenerla. Ricordo ancora con sgomento un allenamento in cui dopo il venticinquesimo ho cominciato inarrestabile a rallentare fino a 6.30, era la prima volta che mi succedeva, però da allora mi è successo anche altre volte nei lunghissimi, prima un rallentamento che mi porta a sforare i 6 minuti al chilometro, e poi dopo altri cinque chilometri tra il venticinquesimo e il trentesimo il rallentamento si fa netto fino a 6.30 e poi 7.00 tra i trenta e i trentacinque.
All’altezza del Ponte da Verrazzano scansare le pozze è veramente difficile. E poi ogni gesto deve essere commisurato e limitato allo stretto necessario, non mi sogno neanche di fare balzi o deviazioni repentine di traiettoria: basterebbe una storta o anche solo un affaticamento anormale per mettere in crisi tutto il sistema.
Costeggiamo la mia vecchia scuola elementare e poi, dopo dei giardini al cui centro c’è un campetto da calcio in cui ho tirato i miei primi calci, tra quarta e quinta elementare, che poi furono anche gli ultimi. Calci: come difensore ero temuto, i calci erano al pallone e dintorni. Attaccante avvisato, attaccante meno disinvolto.
Si è creato un gruppo o meglio mi sono affiancato a due ragazzi, con la maglia uguale, di un gruppo sportivo.
- Di dove siete, faccio solidale. Stiamo andando alla stessa andatura, la solidarietà vien naturale.
Il più vicino a me dice: - Di Cuneo
L’altro specifica: - Di Alba... provincia di Cuneo.
- Sì, sì, faccio io rassicurante, so dov’è Alba.
Spero di non averli offesi, non volevo dire che non avevo bisogno di aiuto, ma solo tributare alla loro città l’importanza che merita. Tartufo a parte.
- Tu sei di Firenze-Firenze?
- Sì, e mi alleno spesso da queste parti. Non è facile trovare percorsi lunghi in città, se non vuoi fare salite, visto che poi in corsa non ci sono salite se non minime.
- Eh sì, fanno loro, queste non sono salite, se vuoi vedere delle salite dovresti venire dalle nostre parti.
Ma non si stanno vantando, è solo rassegnazione mista a fierezza: non ho dubbi che dalle loro parti ci siano ben più salite che qui a Firenze e soprattutto sento la fatica di quelle salite nella loro voce.
Comincio a cercare Emanuele. Abbiamo fissato che lui mi avrebbe aspettato da dopo la mezza. Avrebbe parcheggiato dalle parti di piazza Ferrucci e avrebbe cominciato a camminare fino a che non lo avessi raggiunto, in modo da correre non più di una quindicina di chilometri. Quindi lo so che è presto però comincio a controllare le persone sul marciapiede, temendo che possa non vedermi mentre passo.
Al Saschall c’è musica alta e due ragazze con due immense parrucche colorate che ballano sotto la pioggia incitando noi che passiamo.
Quando passo davanti alla RAI in via Aretina cerco sempre con gli occhi il secondo piano della casa di fronte, in cui abitava un compagno di classe delle elementari, una volta che passavo di lì lo vidi in terrazza. Stefano! Ciao! Non lo più visto da allora, chissà se abita ancora lì, probabilmente no, e comunque non lo vedo neanche stavolta. A dire la verità non sono neppure sicuro di ricordami davvero di averlo mai visto in terrazza mentre passavo da lì, forse sapendo che lui abitava lì tutte le volte che passavo di lì guardavo se per caso non lo vedevo in terrazza. Però poi non l’ho mai visto e mi è rimasto il ricordo fittizio di averlo visto in terrazza mentre passavo e di averlo salutato. Un falso ricordo.
Finora, non ho visto nessuno che conoscessi tra i passanti e i curiosi, Emanuele di solito saluta almeno due o tre persone ogni volta che ci alleniamo. Comunque neppure a farlo apposta poche decine di metri dopo la casa del mio compagno delle elementari vedo sul marciapiedi una collega che mi sta guardando passare senza riconoscermi, allora mi tolgo il cappello e le grido:
- Fulvia!
Lei mi guarda stupita e mi sorride, sono già passato. Sono contento che finalmente ho incontrato qualcuno che conosco.
Ormai siamo nella seconda metà della corsa, ci stiamo indirizzando allo stadio intorno al quale si compierà il trentesimo chilometro, sarà un momento brutto, lo temo molto. Proseguiamo in via Aretina tornando verso il centro. La strada si restringe in quella che è la parte vecchia della via, quando ero piccolo questa era via Aretina: da qui fino a piazza Alberti. Per me non aveva significato di strada che va a Arezzo. Anche perché io pensavo che si chiamasse via Retina.
Il gruppo è sgranato, non ci diamo noia, a dire la verità non sto osservando molto gli altri intorno a me. Ormai da qualche chilometro sto monitorando, facendo finta di non farci particolare attenzione, i pedoni, chiunque stazioni o si muova sui marciapiedi che costeggiamo nella speranza di individuare Emanuele. Ce la potrei fare anche da solo, sono sicuro, però ormai mi aspetto di trovarlo e quindi temo di sorpassarlo inavvertitamente e non avrei modo di comunicare in nessun modo, non ho con me il cellulare e poi sarebbe idiota mettersi a telefonare mentre corro.
Il Madonnone. Chiamato così per via di un tabernacolo con l’immagine affrescata di una Madonna. Deviamo per via San Salvi sulla parallela lungo la ferrovia. In fondo alla strada vedo una porzione del cavalcavia dell’Affrico che collega piazza Alberti con la zona dello stadio. Ci sono già dei corridori che ne scendono in direzione del centro, hanno già oltrepassato lo stadio e il trentesimo chilometro lasciandoselo alle spalle, mi impedisco di soffermarmi a invidiarli. Io ho la mia corsa e il mio destino da compiere. Giriamo a destra per passare sotto al ponte. Una banda sta suonando al riparo del ponte. Imbocchiamo via Mannelli costeggiando la ferrovia alla nostra destra. Siamo in leggera discesa. Tra poco arriverò al ristoro. Procedo a finire il minipack già aperto. Di Emanuele nessuna traccia.
Puntata seguente
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