15km
L’uscita dalle Cascine avviene passando accanto al Circolo del Tennis. Poche centinaia di metri prima del secondo ristoro ai 15km, subito dopo lo Sferisterio, ingerisco, sempre lentamente, la seconda metà del minipack e poi catturo, sempre senza fermarmi, due bicchieri di acqua e sali, ne prendo due per sicurezza visto che buona parte me la butto sulle gambe. Bagnato, sono già bagnato. Sarebbe diverso immergere un piede in una pozzanghera e avere una scarpa che fa cià-cià, ma addosso non sento alcuna differenza.
Riprendiamo il viale, scendiamo nel sottopasso e risaliamo verso il ponte alla Vittoria. Planiamo con leggerezza sulla rotonda che circondiamo tenendo la corda, anche passando sul marciapiedi per poi imboccare il lungarno Santa Rosa. Passando davanti alla Trattoria Vittoria vedo il signor Giovanni sulla porta che guarda la corsa insieme a un cameriere, non mi vede, vorrei salutarlo, ma riconoscermi con cappellino e tutto non è neanche facile. Sono già oltre e lascio perdere.
Lungo l’Arno, davanti al Seminario Maggiore il vento si intensifica e ferisce i passanti, quasi tutti stranieri, che ci osservano e ci incitano. A parte il freddo, mi inorgoglisce passare quasi indifferente accanto a loro che si stanno coprendo come possono per ripararsi dal vento e dalla pioggia, mi sento forte anche se fa un freddo boia, ma non c’è certo bisogno di giacconi e ombrelli, si può fare anche senza. Una volta che sei bagnato. Ma mi rendo conto che visto dall’altra parte ci possa essere incredulità che si possa prendere un tale freddo e acqua volontariamente e con la sola ricompensa di aver percorso quarantadue chilometri.
Via dei Serragli. Io questa strada la odio, dico sottovoce a me stesso. Perché è in salita fino a piazza della Calza. Ora, che sia in salita sfido chiunque ad accorgersene nella vita reale, anche qui saranno pochissimi gradi o frazioni di grado ma è percepibile al corridore.
Un vecchietto e una vecchietta con l’ombrello cercano di attraversare la strada. Ne sono impediti dal flusso continuo di corridori. La vecchietta guarda stupita la fiumana e chiede:
- O quanti sono?
- So una sega! Ribatte lui.
Avrei voluto rispondere con precisione, diecimilaquattrocento iscritti, ma non so quanti siano partiti esattamente e neppure quanti ne siano già passati da lì e soprattutto quanti ne restino ancora da passare. Rido e quello accanto a me, con un cappellino verde, si gira a guardarmi. Sorride anche lui. Accetto il suo sguardo sorridente e gli spiego la storia dei due vecchietti. Avevo bisogno di contatto umano ormai era circa un’ora che non parlavo con nessuno.
Facciamo affiancati anche via Romana, provo un dolorino al ginocchio sinistro, scuoto un po’ la gamba, allungo il passo accentuando il movimento della gamba e del ginocchio, speriamo che non sia niente e che passi. Effettivamente in piazza San Felice è già passato e non lo ricordo neppure più.
In piazza Pitti c’è una delle pochissime fontanelle ancora esistenti in Firenze, insieme a quelle che resistono in qualche giardinetto.
All’altezza di ponte Vecchio il mio vicino, siamo sempre affiancati, mi chiede: ma quello è ponte Vecchio. Io gli spiego che sì, è lui, e che poi ci passeremo sopra verso la fine. A quel punto non resisto, devo fare conversazione, gli chiedo di dov’è, visto che non è di Firenze. È campano ma vive a Milano e lavora a Vicenza, mi dice sorridendo. Ha già corso una decina di maratone e quest’anno è già la terza. Gli chiedo spiegazioni perché non è usuale farne più di un paio in uno stesso anno. Mi spiega che si iscrive sempre a due maratone a breve distanza di tempo l’una dall’altra, in modo da evitare che un leggero infortunio o un inconveniente imprevisto gli mandi a monte la preparazione. Lo ascolto interessato, ho appena sperimentato sulla mia pelle quanto abbia ragione. Solo che, continua, stavolta ha corso Milano e è andato tutto bene, poi Treviso, e poi già che c’era ha provato Venezia e ha finito pure quella. Stavolta però non si sente bene e si fermerà alla mezza. Siamo quasi a venti chilometri. Stiamo andando ancora sui 5.30, sempre troppo veloce per me, devo rallentare. Mi sento bene.
All’altezza di piazza Demidoff mi apro un altro minipack e cerco di ingerirlo a piccoli sorsi prima di arrivare al ristoro.
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