35km
Spuntando in via Martelli mi sento a casa improvvisamente a casa. Per forza, qui ci sono venuto ogni mattina per cinque anni. L’edificio che assomiglia a un carcere era il mio liceo, il liceo ginnasio Galileo Galilei. E fu proprio allora, durante l’ultimo anno che cominciai correre. Tutto è cominciato per colpa di Luigi e di Rocky. Con Luigi ci conoscevamo dalla seconda elementare e da quel giorno siamo stati inseparabili, come Tex Willer e Kit Carson, Starsky e Hutch, Batman e Robin. Rocky invece è proprio Rocky, il film. Una sera l’abbiamo rivisto in televisione. E la scena che ci piaceva di più era quella della corsa la mattina, quando è ancora buio e lui attraversa la città. Dal giorno dopo, Luigi alle sei era sotto casa mia, non suonava per non svegliare i miei, io scendevo. Facevamo due giri dei ponti (San Niccolò e Da Verrazzano), suppergiù quattro chilometri, poi rientravamo, doccia e di nuovo a letto. Quando dieci minuti dopo suonava la sveglia per andare a scuola, mi alzavo con la sensazione di essere fresco e riposato. Dopo una settimana il professore di italiano durante la lezione mi scosse dicendomi “Mimmo, mimmo: che c’è, ti senti male?” balbettai qualcosa… non potevo dirgli che mi ero addormentato. Cambiammo orario della corsa spostandola a prima di cena.
Passaggio tra Duomo e Battistero poi via Roma. Conosco bene questo tratto, ogni corsa che si tiene a Firenze non può prescindere da partenza, passaggio o arrivo in piazza del Duomo e piazza della Repubblica. Quest’anno ci siamo passati due volte nella mezzamaratona a Aprile mentre “Corri la vita” è partita proprio dal Battistero verso piazza della Repubblica.
Questo è il tratto in cui ci dovrebbe essere più pubblico, sicuramente c’è ma lo vedo a malapena, sento qualche incoraggiamento indirizzato a me come a tutti quelli che passano, un incitamento generico ma lo prendo individualmente come se fosse proprio per me, tutto fa, ne ho bisogno per riscaldarmi e andare avanti. In via della Vigna Nuova mi sento come una bilia in un flipper, incanalato, guidato dalla stretta via e dagli alti palazzi. Mi ricordo che anno scorso passammo di qui verso il venticinquesimo chilometro, eravamo ancora pimpanti, Emanuele sempre un passo avanti a me, e poi proprio qui davanti a palazzo Rucellai ebbe la prima crisi di crampi e io lo lasciai, vigliacco, lo lasciai al suo amico che ci seguiva in bicicletta che gli tirava il piede mentre lui era steso in terra, e io non mi sono fermato, come se non potessi neppure incrinare la mia andatura, dove non c’era niente da buttare via, niente di superfluo, ripresi a guardare in avanti e continuai senza neppure rallentare. Mi avrebbe ripreso dopo quando avrei avuto io le mie crisi di crampi.
Ma stavolta lui è lì solo per me, e io sono stanco e vado avanti stando attento a tutto, a dove metto i piedi, alle gambe che non stanno avendo problemi, alle braccia che continuano a andare avanti e indietro, ai pugni stretti ma non troppo. E rilasciare la mandibola, che si era serrata, approfittando dell’espirazione. Soffiando riesco a mollare e decontrarre i muscoli senza che i denti siano a contatto forzato.
Poi ci sono i punti in cui ci si sfiora: alle cascine c’è un tratto, come ho già detto, in cui tre fiumi di maratoneti ancora energici sono separati da qualche siepe e poche decine di metri. Arrivando allo stadio e venendone via si usano aree contigue di uno stesso incrocio a distanza di due o tre chilometri di percorso. Poi c’è piazza del Duomo in cui due flussi attivi, uno subito dopo i trentacinque chilometri e l’altro verso i quaranta, si sfiorano passando tra il battistero e la facciata del duomo in direzioni opposte separati da una esile fila di transenne. E infine Borgo Ognissanti che scorre parallelo al Lungarno Corsini.
Poco prima di ponte Santa Trinita mi rendo conto con timore, me ne ero scordato, che un’altra variazione al percorso consiste nell’attraversare l’Arno due volte rientrando trionfalmente da Ponte Vecchio. Da un punto di vista scenografico è un’ottima soluzione peccato che io ricordi ancora, a distanza di un anno, la fatica estrema provata solo sfiorando le rampe dei ponti, figurarsi doverci salire sopra per ben due volte.
Ormai ci siamo, affronto la salita e la curva stretta alla spalletta per risparmiare il tragitto e mi accorgo del fotografo che mi sta immortalando: sorrido. Per pochi secondi.
Del tratto di Borgo San Jacopo, Ponte Vecchio, via Por Santa Maria, Piazza della Signoria, via Calzaiuoli fino a Piazza Duomo non ricordo assolutamente niente, niente. Se mi sforzo vedo i luoghi, perché so che ci sono passato, ci devo essere passato per forza dato che poi sono arrivato alla fine, però sono come fotografie senza persone, vuote, non riesco a riviverli, a visualizzare dalla prospettiva individuale. Niente.
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