Stamani
verso le sette stavo correndo lungo una provinciale in collina. Vedo un oggetto scuro sull’asfalto. Passandogli accanto realizzo
che si tratta di un riccio morto, sicuramente investito da un’auto.
Rimango
interdetto ma oramai sono oltre e proseguo. Mezz’ora dopo quando ripasso, lo vedo a distanza, sempre nella stessa posizione, mezzo metro dentro la linea bianca che
delimita la carreggiata. Questione di secondi e sono lì. Devio leggermente
stavolta.
Un calcio di esterno destro e lo faccio finire oltre il ciglio della
strada.
Irrispettoso.
Sì.
Irriverente.
Anche.
Blasfemo.
Pure.
Aspetta
un attimo: ma tu, tu che critichi e disapprovi scuotendo la testa, cosa avresti
fatto? ti saresti fermato caritatevole e con la mano avresti preso il
cadavere, peraltro sempre pungente, del riccio arricciato su se stesso? Magari prendendolo
per la coda con due dita? Sei proprio sicuro? E poi avresti proceduto a una
discreta cerimonia funebre?
Ricòrdati
anche di essere in pantaloncini e maglietta, e senza alcun sacchetto, straccio,
guanto, o qualunque attrezzo, con cui raccogliere quella specie di grosso topo
irto di aculei.
Lasciandoti alle tue riflessioni compassionevoli, ammetto però che la cosa
che mi ha più stupito è che nel tirare quel piccolo calcio con l’esterno del
piede mi sono sentito pungere e soprattutto: ma quanto era duro e pesante quel
riccio!
Non
che il povero riccio si debba pure scusare per avermi fatto male al piedino
(quarantacinque) mentre lo scalciavo in malo modo, ci mancherebbe altro.
Sono
stato cinico e irrispettoso (unico conforto per la mia coscienza è che il povero
riccio non lo sa).
A pensarci bene non si tratta solo di insensibilità, quanto dell’irresistibile e
irrazionale imperativo categorico che mi impedisce di fermarmi quando corro, se
non per smettere del tutto. E non dico durante una gara ma anche in un allenamento
qualunque. E coloro ai quali capita di
correre con me in città ne sanno qualcosa.
La morale? Boh, forse era meglio la sola insensibilità.
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